Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Stato e Chiesa in Italia da Pio IX a Pio Xl riale, e rispose che sissignori, poteva. 1 Inutile stare a riprodurre i suoi argo– menti. Un canonista è anche lui un avvocato, e un avvocato trova sempre argomenti per rispondere a qualunque domanda, come piu conviene al suo cliente. Quello che importa notare, è che nessuno lo sconfessò: chi sa come le ossa di Leone XIII si rivoltarono nella tomba! Ma dal momento che l'avvocato o canonista che sia ha sempre le opinioni del proprio clien– te, sarebbe prezzo dell'opera sapere quale cliente pagò quell'avvocato per sostenere quella tesi. Pio X no: perché non era uomo da farsi consigliare da altri quello che lui doveva pensare o fare per instaurare omnia in Christo. Né coloro che circondavano Pio X, e che non erano piu furbi di Pio X. È probabile che il canonista tedesco sia stato ispirato da chi voleva con– vincere Pio X e i suoi consiglieri, che non avrebbero commesso peccato se avessero abbandonato una posizione non piu tenibile. Probabilmente qual– che vescovo, o qualche gruppo di vescovi tedeschi stava dietro al cano– nista autore di quel parere: i vescovi tedeschi si comportavano, di fronte al papa, con una libertà di giudizio assai superiore a quella dei vescovi francesi e specialmente italiani, che non erano oramai piu uomini, ma erano diventati animali da cortile. E forse dietro a quei vescovi tedeschi c'era l'antico ambasciatore tedesco a Roma, von Biilow, che nel 1908 era can– celliere dell'impero tedesco, e che in vista della politica aggressiva inaugu– rata dieci anni prima da Guglielmo II, e sempre piu pericolosa, pensava fosse opportuno eliminare colla questione romana un ostacolo a un'azione comune non solo fra il Vaticano e il governo italiano, ma anche fra il Vaticano e gli altri due governi della Triplice alleanza. Ad ogni buon conto, rimane il fatto che oramai non era piu né evitata né condannata l'idea, che anche la posizione territoriale, tenuta inutilmente da Leone XIII per venticinque anni, poteva essere abbandonata senza violare nessuna legge né divina né umana. Nel 1911 il governo italiano celebrò solennemente il cinquantenario della data in cui Roma era stata proclamata capitale del neonato regno d'Italia. Pio X, in una lettera del I luglio all'episcopato lombardo, deplorò quei giornali cattolici che "non si curavano dell'iniqua condizione in cui trovavasi la Sede Apostolica." Ma non pubblicò nessuna di quelle proteste veementi o solenni, che erano state di prammatica al tempo di Pio IX o di Leone XIII. 2 1 Cfr. indietro, p. 184. [N.d.C.] 2 Nel 1943 don Sturzo ci ha fatto conoscere un aneddoto assai caratteristico. Partecipando in Catania nel 1910, come sindaco di Caltagirone, a un congresso nazionale dell'associazione dei comuni italiani, fu sfidato a spiegare come conciliava il suo ufficio di sindaco e il suo abito di prete con la tesi che Roma dovesse ritornare al papa. Don Sturzo rispose che questa non era la sua tesi, che secondo lui Roma era senza dubbio la capitale del regno d'Italia, e che lui sperava in una soluzione pacifica della questione romana. Un giornale siciliano dette in caratteri cubitali la notizia che don Sturzo non assegnava piu Roma al papa. Un giornale di Firenze, "L'unità cattolica," freneticamente temporalista, attaccò don Sturzo per quella dichiarazione. Il segretario di stato, card. Merry del Val, incaricò il vescovo di Caltagirone, dal quale don Sturzo dipendeva, di fare un'inchiesta. Don Sturzo, interrogato dal vescovo, dichiarò di avere espresso una convinzione personale e che, trattandosi ·di opinione personale, non poteva disdirla. E tutto fini cosi per il momento. Ma alcuni mesi dopo, ricevuto da Pio X in udienza privata, si senti dire dal papa: "Venite, signor sindaco, venite; non vi ha ancora scomunicato nessuno?" "Nessuno - rispose don Sturzo -: chi lo 188 BibliotecaGino Bianco

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