Gaetano Salvemini - Stato e Chiesa in Italia

Stato e Chiesa in Italia da Pio IX a Pio Xl Vaticano poteva far ripetere da tutto il mondo che i cattolici non riconosce– vano la legittimità del governo italiano, e non l'avrebbero mai riconosciuta finché non fosse stata risolta la questione romana. Un intelligente osservatore francese scriveva nel 1909, a proposito dell'intervento dei cattolici nelle elezioni politiche durante il pontificato ·di Leone XIII: Beninteso, la partecipazione dei cattolici [alle elezioni politiche] restava individuale e riservata: essa era tollerata, non permessa; si salvava il principio, senza munire di inopportuno rigore una legge esposta a subire troppe infrazioni. Di tanto in tanto, in qualche giornale devoto alla Santa Sede, si vedeva spuntare come una minaccia il vago annuncio di un voto in blocco dei cattolici contro il Governo italiano. Ancora oggi [1909] si attribuisce a questa pretesa minaccia un senso preciso, che né il Vaticano né il Governo avevano mai pensato di darle. Leone XIII era un politico troppo avveduto, un conoscitore troppo perfetto dell'anima italiana per concepire una tale illusione, o anche per lusingarsi di mantenerla nei suoi avversari. Da entrambe le parti si sapeva ciò che potevano valere queste famose "riserve elettorali"; o meglio, si sapeva che avrebbero cessato di valere qualcosa il giorno in cui ci si fosse azzardati di metterle in atto. Ma, come finzione diplo– matica, come "modo di parlare," la minaccia delle "riserve cattoliche" era mantenuta e rendeva talora qualche servigio, sia al Governo sia alla Santa Sede, di fronte all'estero. 11 Naturalmente questa "pace in tempo di guerra" produceva in Italia, a poco a poco, una vera e propria estenuazione della questione romana. Il dissidio tra la Santa Sede e il governo italiano, mentre appariva insolubile, non impediva alla vita giornaliera di seguire il suo corso. Gli italiani ci si avvezzavano come ci si avvezza a un incomodo ineliminabile, che dura da lunghi anni, che dà qualche fastidio ma non un vero dolore, e che non ci impedisce di fare tutti i nostri affari. Della questione romana, gli uomini politici italiani dicevano che si risolveva da sé: solvitur ambulando. Il me– glio era non occuparsene. A furia di non occuparsene, se ne disinteressavano; e a furia di disinteressarsene, se ne scordavano. Nel 1895 Emilio Zola, visitando a Roma il principe Baldassarre Ode– scalchi, gli domandò che cosa l'aristocrazia romana pensasse della questione romana. Don Baldassarre gli rispose placidamente: Elle s'en fout. 12 Don Bal– dassarre esagerava. C'era per esempio in Roma la famiglia dei principi Lan– cellotti, che nel settembre 1870 aveva chiuso il portone del suo palazzo in segno di lutto, e lo teneva ancor chiuso nel 1895, e non lo riapri che il giorno in cui Mussolini e il cardinal Gasparri firmarono gli accordi del Laterano, 1'11 febbraio 1929. Questa famiglia nobile romana aveva evi– dentemente molto a cuore la questione romana. Ma quanti erano i romani, quanti gli italiani nobili e non nobili, che tenevano chiuse nel 1895 le loro porte in segno di lutto e di protesta per la fine del potere temporale del papa? I non italiani, specialmente i francesi, rimanevano disorientati dallo strano contrasto che essi non potevano non osservare quando visitavano 11 M. PERNOT, La politique de Pie X (1906-1910), Paris, Alcan, 1910, pp. 189-90. 12 U. OJETTI, Cose viste, vol. I, Milano, Treves, 1923, p. 260. · 150 BibliotecaGino Bianco

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