Volontà - anno XVII - n.3 - marzo 1964

l'interno, si sono avuti raggruppamen– ti umani, differenziati, con la spacca· tura interna fra dominanti e domina– ti, si è venuta teorizzando la felicità di pochi, la felicith degli eletti, una feli– cità non più dirilto di tutti, ma privi– legio di pochi, una felicità impolitica, che ha bisogno dell'asservimento degli altri, che strumentalizza gli uomini, che fra l'altro non si realizza mai. Queste classi dominanti, che pure di· spongono dell'intero potere nelle col– leuività, in fondo non sono felici, per– chè il delitto li rende melanconici, ro– mantici. E ricordo qui il Caligola di Alberto Camus, così esemplare così ve– ro, nella sua melanconica crudeltà! Non si può essere felici in una co– munità, se non si è tutti solidali e im– pegnati alla felicità. La distinzione delle virti1 in noetiche e dianoetiche, appare subito viziata: con essa si ri• tiene che alla felicità può giungere lo individuo che è particolarmente dota· to, scindendo la saggezza individuale dalla virtù civile. Nasce con questa distinzione la teorica giustificazione delle differenziazioni operatesi in se– no alle collettività, e si pretende che ci siano uomini destinati alla felicità e uomini desLinati a rendere felici gli altri, e che si sacrificano. Siamo così tornati alla morale del sacrificio, a quella morale che ha compromesso per sempre ogni felicità umana, quella autentica umana felicità che altro non può essere che egualitario inserimento di ogni uomo, nella collettività, pro– fondo rispetto della collettività per o– gni suo membro, cioè autonomia. « La filosofia contemporanea - dice Abbagnano (2) - non si è finora fer- (2) N. Abbagnano: Dizionario di Filosofia, Torino, 1961. Pag. 377. 168 mata ad analizzare la nozione di feli– cità nei limiti in cui essa può servire a descrivere situazioni umane effettive ed orientarle. E tuttavia che si tratti di una nozione importante è dimostra· to dell'importanza che alcune nozioni negative come «frustazione», « insoddi– sfazione » ecc ..., hanno nella psicologia individuale e sociale, normale e pato– logica. Queste nozioni cd altre analo– ghe indicano infatti l'assenza più o meno grave di quella condizione di al– meno relativo soddisfacimento che la · parola felicità tradizionalmente desi– gna. E l'importanza di esse per l'ana– lisi di stati o condizioni più o meno patologiche, denunzia l'importanza che la corrispondente nozione positiva ha per le condizioni normali della vita U· Quando il filosofo riconosce che nel nostro mondo contemporaneo non è stata approfondita la nozione di feli– cità, non può non fermarsi a questa denunzia; deve necessariamente anda– re al fondo delle cose, spingere l'inda– gine oltre quelle motivazioni psicologi– che, che non possono essere che par– zialmente vere. E proprio per questo che non basta per la felicità dell'uo– mo la salute, l'ingegno, la bellezza fi– sica, la prestanza, il suci.:esso. La fe]i. cità è um1 profonda, insopprimibile a– spirazione umana: non è solo l'ideale del saggio. li pensatore certamente più impegnato alla soluzionr.: del problema della felicità, nel mondo antico, quan· do considerava i limiti della società in cui viveva, suggeriva, e non poteva fare diversamente, a chi voleva essere felice, di vivere in disparte. Con tutto il rispetto che abbiamo per Epicuro, dobbiamo qui affermare che un'impostazione del genere è del

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