Volontà - anno XVII - n.3 - marzo 1964

di essere felici sfruttando gli altri, gli uomini sono stati infclid nella stessa misura in cui sono stati sfruttati, o comunque slrumentalizzati per la pseu– do felicità dei pochi. In realtà dunque la politica è stata sino ad oggi più che scienza della felicità, la scienza della umana infelicità. Ma questa conclusione conferma la verità inizialmente espressa, che cioè la felicità è un fatto politico, e che l'uomo rimane responsabile politica– mente solo io quanto si sente indi– vidualmente interessato alla sua feli– cità, la pretende, si sforza di compren– derne il contenuto e il processo di rea– lizzazione. E quello che si dice di un uomo si dice di tutti gli uomini. E' la più grande ingiustizia e il più gran– de delitto quello che, in una comuni– tà, consente a pochi di aspirare alla felicità e agli altri di rassegnarsi alla infrlicità. Se la nostra cultura ha giu– stificato e giustifica ancora tutto que– sto, ci possiamo rendere conto di quan– ta menzogna e di quanta ipocrisia es• sa sia colpevole, quando parla di fe– licità-privilegio, e indica agli altri una felicità raggiungibile in un altro man• do, quello sì giusto ed egualitario, ma ... reale aldilà della nostra vita. Non è questa la sede pit, opporluna per l'impostazione del problema reli– gioso, anche in rapporto alla felicità: è certo comunque che il progresso, il processo d'incivilimento dell'umanità, ha sempre implicato il consapevole di– ritto che hanno gli uomini alla loro felicità. Chi rinunzia alla felicità ter– rena, abdica molto facilmente dinanzi alle difficoltà della vita e diventa ri– nunziatario in ogni senso. Di costoro approfittano i furbi! Ci sono quelli che hanno poco per essere felici: mi riferi- sco a coloro che sono incapaci di in– tendere e di volere, deformi, privi di arti, colpiti nei sensi, giacenti infermi, abbn.ititi dalla fatica, dalla miseria e dal vizio. Ma non è nemmeno questo il problema che potremo porci: ritor• ncrcmmo al problema religioso. Noi intendiamo riferirci a coloro che sarebbero naturalmente idonei alla fe– licità, e che un luogo comune vuole anche desiderosi di essere felici, ma che non sanno che cosa fare per es– serlo. Ma è proprio questo il proble– ma: si può essere felici ignorando il comportamento che condiziona la fe– licità? No. La felicità è una conquista razionale, che implica scelte che poi in definitiva la costituiscono. Si po– trebbe dire che la felicità si trova man mano che la si cerca, e che per essa il trovarla vale il cercarla. Non sareb– be infatti possibile essere felici se non si fosse innanzi tutto certi che è pos– sibile esserlo, su un piano di concre– teZ7.a, e se non ci fosse in noi la co• scienza che è un nostro diritto essere felici. Certamente ci sono i limiti: non a– vrebbe senso una felicità senza limiti. La felicità è reale quando viviamo be• ne, proprio nei limiti che il vivere be– ne comporta, in una libera comunità che ci accoglie e dove noi possiamo C· sprimerci, con un nostro lavoro, e do• ve possiamo fondare una nostra fami– glia, i nostri interessi. Nelle comunità primitive deve essere stato subito chiaro che la felicità di ogni individuo è solo possibile con il libero volonlario inserimento individuale nella comuni· tà felice. Quando con il dissolvimento di quelle primitive collettività volonta– rie, o meglio consorzii, fortemente condizionati dall'esterno, ma liberi al- 167

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