La Voce - anno I - n. 43 - 7 ottobre 1909

LA VOCE do e1ano stati da essi già resi appagati del lor sapere • ; o, più insidios,1mente, che egli era adatto non a insegnare, ma c. a dar buon indirizzo ad essi maestri ~ ( 1); e, cioè, riconoscevano la sua superiorità soltanto per farsene un argomento da danneggiarlo nella vita pratica. VI. Nè alla generale indifferenza, e alla leg– gerezza o alla malignità dei critici, potevano formare compenso gli amici e lodatori, che anche al Vico non mancarono. Come avreb– bero potuto mancargli, se egli ne faceva una trepida e attenta cultura artificiale? Si veda, p. es., in qual modo coltivasse il cappuccino Padre Giacchi. Ne lodava le « opere ammira– bili », « il divinissimo ingegno », « la rara sublimità delle meravigliose e di,•ine idee » ; (eppure 1 egli proprio, riL1ceva in latino d'oro le iscrizioni, che il Giacchi componeva in Ja. tino fratesco!) (2). Gli annunzia~a di aver dato a leggere ai letterati della città l'epistola elo– giativa ricevuta da lui, e che tutti ne a,•evano ammirato c. il sublime torno del concepire •· Gli comunicava, altra volta 1 che le lodi di un Giacchi avevano destato in,·idia ed erano state prese da taluni per adulazioni. - Eguali fatiche spendeva per propi1.iarsi l'arcivescovo di Bari, Muzio di Gaeta, un vanitoso, tutto pieno del proprio merito, e che non sapeva· parlare se non di sè stesso i autore di un panegirico di Papa Benedetto Xlii, pel quale, lodalo e iilo– dato dal Vico, non si saziava mai 1 • e provo– cava, anzi chiedeva esplicitamente, nuove lodi. E il Vico a inaftiarlo 1 p<1zientemente, della linfa desiderata: «la maravigliosa opera di V. S. I.» i il suo « dire da signore » i le c. digressioni demost~niche » ; l'eloquenza, che fu la fa– vella filosofica, con la quale parlarono gli antichi accademici greci, tra i latini Cice– rone, e, « tra gl' italiani, niun altro che V. S. I. > I Ali' avvocato Frnncesco Solla, che gli era stato scolaro, e si era poi ritirato in provincia, insinuava che la Scient.a nuova aspettava da lui che egli fosse tra i pochissimi 1 forniti d'alto intendimento, che volessero ri– ceverla con menle sgombra di tutti i pregiu– dizii circa i principii dell'umanità (3). Erano artifizii ingenui, fanciullaggini pietose, con le quali procurava di dare un'illusoria soddi– sfazione al suo bisogno di riconoscìmento e di lode, e un calmante ai suoi nervi ecci– tati. Ma i risultati ultimi riuscivano ben me• scbini. Nelle lettere del Giacchi, non è pa• raia che provi che colui avesse intesa una sola delle dottrine vichiane, o che, almeno, le avesse considerate con serio interesse. Mon– signor di Gaeta, dopo molti giri di frasi, gli confessa di avere e più ammirate che intese » le opere di lui (.+); e, forse, non le aveva neppure lette, tutto occupato ad ammirare la propria prosa. 11 Sella, nel quale il Vico sem– brava riporre tante speranze, aveva giudicato l'orazioJ1e per la morte di Donna Angela Cim– mini cosa superiore a tutte le altre opere del– l'autore, e alla stessa Scimta nuova/ Un simile incauto complimento rivolgeva al \"ico un altro ammiratore, pur caldo e aflCttuoso, l'Esteban ( 5). Lodi generiche o banali gli giungevano tal– volta (ma, più spesso, perdur:w.ino, ostinati, la trascuranza e il silenzio', in ricambio di alcuno dei tanti esemplari delle proprie opere, che inviava non solamente ai letterati di Napoli, ma a quelli di Roma, di Pisa, di Padova, anzi di Germania, di Olanda, d'Inghilterra: ne mandò, perfino, a Isacco Newton (6). Egli riu· sci, tull' al più, a farsi considerare erudito Ira centinaia di eruditi e letterato Ira migliaia di letterati: dotto uomo, insomma; ma niente di pili. Senza dubbio, il Vico ebbe, tra i modesti, tra gli oscuri, tra i giovani, schietti ammirarori. Di costoro era il poeta, poi oratore sacro 1 Gherardo. de Aogelis j i già ricordati Sol la ed Esteban; il frate ~icola Concina di Padova; e altri pochi. Ma, se il loro arretto era grande, la loro intel· ligenza era scarsa. Anche il Concina confes· (1) Aulob., in Opp., IV, p ... p6. (2) Furono pubblicate da me in Napoli nobi- liss., XIII (190,4), f. I. (3) Opp., VI. p. 17. (4) Opp., VI, i->. 110. (5) Bibl. vidi., pp. 103-5. (6) Opusc., ed. Villarosa, li, p. 277. sava, in mezzo al fer\'ore dei suoi entusiasmi, di non intendere troppo bene: « Oh quanti fe– condissimi e snblimissimi lumi vi sono per entro! Così avessi io talento da farne uso e da, comprendere il fondo ed il mirabile ar– tificio, che panni alquanto di ravvisare! » (i)– Il miglior ullìcio, che codesti amici potessero adempiere, era di lenire, con parole buone, se non profonde, l'animo esacerbato del Vico. Così faceva l' Esteban, concludendo la lettera, nella quale si scusa della corbelleria da lui detta intorno all'orazio1:e per la Cimmini, con frasi che aYeva dovuto cogliere sulla bocca del maestro : « Vivete sicuro che la Provvidenza, per can:ili da V. S. non im• magi nati, farà sorgere a V. S. una fonte pe– renne di glorie immortali ! • (2). Il gesuita padre Domenico Lodovico (autore del distico, che si legge sotto il ritratto del Vico), ri– cevuta la seconda Scic11\il 1111ov", mandò al– l'autore, con pratico senno, un po' di vino della cantina e un po' di p:rne del forno della casa gesuitica della Nunzìatella, con una graziosa letterina, nella quale lo pregava di accettare « codeste cosucce, comechè sem· plici, quando nè pure il Bambino Gesù rifiuta le rozze offerte de' rustici pastorelli •. E gli suggeriva di aggiungere, nella simbolica di– pintura che precede l'opera, accanto all'al– fabeto, un piccolo nano, in alleggiamento dì chi ammirando ammuta, come il monta– naro di Dante, scrivendovi sotto,« con signifi– cante dieresi », il nome : Lodo-ric.o l (3). Tra i tanti giovani del!a sua scuola, erano al· cuni, tutti pieni della dottrina di lui, pronti a difendere il maestro a spada tratta (4); ma si sa che cosa valgano codesti entusiasmi di giovani. Se quegli scolari avessero assorbito davvero le dottrine, o qualche parie delle dottrine vichiane, se ne sarebbero \•edute le tracce nella letteratura e nella cultura della generazione, che se~ul al Vico i e, invece, non ne fu nulla. Appena qualche sentenza, qualche affermazione storica, qualche concetto isolato e superficialmente inteso, fu ripetuto a Venezia dal Conti, o a Padova dal Concina, o in Spagna da Ignazio Luz:'in (il quale aveva dimorato a Napoli negli anni della pubbli– ca2.ione della Scimta 1111ot1a) (5), e, poi, ancora, nella patria dell'autore, dal Genovesi o dal Galiani. Gl' invidi, i leggieri 1 i pettegoli, i calun– niatori, gl' inintellige,nti provocavano nel Vico scoppii di collera violenta. Di questo suo peccato si confessa nel!' Autobiografia, dicendo che e con maniera troppo risentila inveiva contro o gli errori d'ingegno, o di dottrina o mal costume de' letterati suoi emuli 1 che doveva con cristiana carità e da vero filosofo o dissimulare o compatirgli » (6). Ma, in fondo, quel peccato non gli spiaceva ; vi trovava qualche bellezza. L'orazione per la Cimmini contiene una specie d' inno alla collera, alla « collera eroica » 1 che « negli animi gP.ne– rosi co' suoi bollori turbando e dall'imo con– fondendo ogni mal nata riflessione della mente, da cui nasce la razza vile della fraude, del– !' inganno, della menzogna, fa ella gli ~roi aperti, veritieri e fidi, e si, interessandoli della verità, li arma forti campioni della rngione incontro ai torti ed alle offese » (7). Benchè, nello scrivere, si guardasse « a tutto potere » dal cadere in quella passione (8), la collera si sente tumultuare, repressa, nelle let– tere private, in tutte quelle punte contro « i dotti cattivi», che« amano piì.1l'erudizione che la \'erità :., contro il comune degli uomini clic è « tu 0 tto memoria e fantasia » 1 e via dicendo. Nella conversazione, poi, era, per qutl che sem– bra, mordacissimo. Quando, nel 1736 1 Da– miano Romano pubblicò un libro contro la tesi vichiana relativ:t alle Dodici Tavole, il Vico, sehbene (narra il Romano medesimo) vi fosse stato trattato coi titoli di « douissimo > e di « celeberrimo > e con ogni altro ri– guardo, e ci addentò in maniera che fu di (1) Opp., VI, p. 145. (2) /Jìbl. vich,, p. 105. (3) Pu!JblicMa da lllt", iu /libi. vic!t.< p. 107. (4) b'ibl. vic/1., pp. 87-S8. (5) I.libi. vich., p. ,14-. (6) r/11/ob., i11 Opp., IV, p. •i 16; cfr. nella /Jibl. vùh., 1>• &J, la testim,:mianza di 1111 discepolo. (7) Opp., VI, p. 2;4. (S) Aulob., in Uj>p., IV, p .• pG. Bib.lotecaGino Bianco ribrezzo e cli orrore a chiunque vi si trovò presente » 1 vedendo egli di malissima voglia che « un garzone, come noi si russe con lui cimentato > (1). ~la :agli scoppii di collera si alternavano le ricadute nella piii profonda tristezza. In un sonetto, egli si dice oppresso da quel fato, « che 11 ingiusto odio altrui creò sovente > ; e che, perciò, si era appartato dal consorzio umano,> a vivere solo con se stesso. Da quel torpore si riscote,•a 1 talvolta 1 per qualche istante : J'oi ricaggio iu me stesso, e d,l mie gravi Cure sospi11to a tornar I!\ dov'ern, Di me, non per mia colpa, ho da dolermi (2) VII. Eppure, fra tanti tormenti e contrarietà e delusioni, in mezzo a questa tristezza eh~ veniva frequente a ricoprirlo dei suoi neri veli, il Vico provò una delle più alle felicità dell'uomo : quel « vivere di meditazione scevra e pura di passione, chè allora senza la compagnia tumultuosa e grave del corpo vi,•e veramente l'uomo solo .... » i quella vita di sicuro possesso, perchè e medesimata con l'anima, sempre presta e presente, che gli di– mostra il suo essere fisso nell'Eterno, che tutti i tempi misura e spaziante nello 'nfì– nito che tutte le finite cose comprende i e si il colma di una eterna immensa gioia, non in certi luoghi invidiosamente, nè in certi tempi avaramente ristietta, ma che senza uggia di emulazione, senza tema di scema– mento, per ciò unicamente in esso lui ac– crescere si potrebbe, se e1Ia fosse tuttavia a più e più umane menti comunicala e diffu. sa • (3). Della verità raggiunta non dubitò mai, pur continuando sempre a lavorarvi: sopra il sistema, presentalo nel I ibro del Dirillo uni– versale, la sua mente (egli dice} e riposava sod– disfatta » (4). Agli stessi dolori, che aveva cosi acerbamente sofferto, non avrebbe ri– nunziato, se, per andarne esente, gli fosse stato necessario rinunziare alle proprie scoperte : ~ Benedico ben venticinque anni da me spesi nella meditazione di siffatto argomento, ed in mezzo le avversità della mia fortuna e le remore che mi facevano gli esempli infelici degli ingegni, che han tentato delle· nuove e gravi discoperte •... » (5). Come poteva non benedire quelle fatiche e quei dolori e quelle avversità, se, ogni qual volta si sollevava dal tumulto passionale dell'uomo empirico e dalle lotte dell 1 uomo pratico, la sua mente gli mo– strav,a la necessità ineluttabile, e di ciò che egli aveva fatto, e di ciò che aveva sofferto ; e l'una e l'altra necessità, fuse in modo tra loro da costituirne una sola e indivisibile? La sua stessa dottrina filosofica gli por– geva, dunque, la medicina del male 1 e pro– moveva nel suo spirito la catarsi libera– trice: quella dottrina, che aveva per centro l'idea della Provvidenza immanente, o, come si disse poi, della necessil:l storica. e Sia pur sempre lodata la Provvidenza, che 1 quando agi' infermi occhi mortali sembra ella tutta severa giustizia, allora pili che mai è impie– gala in una somma benignità! Perchè da que– sta opera io mi ~ento aver vestito un nuovo uomo e provo rintuzzati quegli stimoli di pili lamentarmi della mia avversa fortuna, e di pii.1 inveire contro alla cofrotla moda delle lettere, che mi ha fatto tal' avversa fortuna: perchè questa moda, questa fortuna mi hanno avvalorato e assistito a lavorare quest'opera. Anzi (non sarà per a,•ventura egli vero, ma mi piacerebbe che fosse vero), quest'opera mi ha informato cli un certo spirito eroico, per lo quale non più mi perturba alcuno ti– more della morte, e sperimento l'animo non più curante di parlare degli emoli. Finalmente, mi ha fermato come sopra un'alta adamantina rocca il giudizio di Dio i il quale fa giustizia alle opere cl' ingegno con la stima dei saggi, i quali sempre e da per iUtto furono pochis– simi, non già uomini recitatori de' libri altrui, che marciscono le notti nella venere e 'I vino, o in infeste meditazioni sono agitati come, con insidinre alla \'erità ed alla virti1, debbano (1) BitJI. vic!t., 1>. 88. ('2) Sonetto pubblicato d:l G. G1::NTJLI~, lt /i.f:lio di C, Il. Vico. N~1poli,Picrro, 1905, p. 173. 13) Opp., VI, p. "287. (,1) Opj>., VI, p. 18. (5) Opp, V I, pp. 153-4., )79 covrire le scempiezze o le ribalderie commesse nel dl passato, per seguitar di parere e dotti e bnoni nel giorno appresso; non, finalmente 1 infingardi, che, stando lutti sicuri ali' ombra della 1010 negligenza, anzi scorrendo scono– sciuti nella densa notte de' loro nomi, van latrocin:1ndo l'onor don1to al merito degli uomini valorosi, ed ardiscono in ogni modo di scannare il di loro credito i ma tra le te– nebre della loro nera passione dell'invidia a,,,,enlano e profondirno nelle proprie loro \'iscere gli avvelenatissimi colpi: ma sapienti sono uomini di altissimo intendimento, di eru· dizione tutta propria, generosi; magnanimi, che non altro sperano che conferire opere immortali nel comune delle lettere .... • (1). La Provvidenza gli mostrava, dunque, la ne– cessità di tutto ciò che gli era accaduto, e gli accadeva ancora, nella vita; e, inculcandogli la r.issegnazione 1 gli prometteva la Gloria. VIII. Così, l'uomo collerico diventava, perfino, tollerante; di quella tolleranza, di quella in· dulgenza superiore, che non è da confondere col volgare tollerantismo. L'Università, nella quale aveva sperato fare avanzamento e verso cui aveva rivolto il pensiero nel comporre le sue prime opere, non aveva voluto sapere di lui; ed egli si era tutto ritirato in sè stesso a meditare la Scimz." ,mov'1. Dunque (diceva con un sorriso in cui si sente ancora alcunchè di amaro), questa mia opera io la debbo al– i' Università, che, riputand0mi immeritevole della cattedra, e non volendomi « occupato a tratt,1r paragrafi », mi ha dato l'~gio di me• ditarla. « Posso io avergliene più grado di questo?» (2). Un amico, il fiorentino Sostegni, in un sonetto a lui indirizz:tto, usciva in parole di biasimo contro la città di Napoli, che aveva tenuto in poco conto il suo gran figliuolo. E il Vico, nella risposta, giustifica, con nobili parole, la sua patria, dura con lui, perchè molto da lui aspettava e molto aveva voluto ottenere: Severa nrn.dre non vezzeggia in seuo Figlio, che ne sia poscia oscura e vile ; !\la grave in viso ancor l'ode e rimira (3). Da questa condizione di spirito nacque l' Au– tobiografia i opera che è'stata mal giudicata e del tutto fraintesa dal Ferrrari, il quale vi bia-– sima il teleologismo dominante, e vi la– menta la mancanza di una spiegazione psico– logica della vita del Vico (4). Come se il Vico medesimo non avesse annunziato di volerla scrivere «: da filosofo » ! (;). E che cosa signi– fica scrivere da filosofo la vita di un filosofo, se non intendere l'oggettiva necessità del suo pensiero, e scorgerne gli addentellati anche dove all'autore, nel momento che lo pensò, non apparivano del tutto chiari? Il Vico e me· ditò nelle cagioni cosl naturali come morali, e nell'occasioni della fortuna; meditò nelle sue eh' ebbe fin da fanciullo, o inclinazioni _o avversioni più ad alcuna specie di studii che ad altre; meditò nelle .opportunitadi o nelle traversie onde fece o ritardò i suoi pro· gressi; meditò finalmente, in certi suoi sforzi di alcuni suoi sensi diritti, i quali poi ave– vangli a fruttare le riAessioni, sulle quali la~ vorò l'ultima sua opera della Scie11z.a 11uova1 la qual provasse tale e non altra aver do· vuto essere la sua vita letteraria » (6). L' Au– tobiograjùt del Vico è, insomma, l'applicazione della Scùn{a nuova alla biografia dell'autore, al corso della propria vita individuale; e il metodo ne è, quanto originale, altrettanto gfusto e vero. Che poi il Vico riuscìsse solo in parte nel suo assunto 1 e 1 cioè, non potesse fare la cri· tica e la storia di sè stesso come i critici e gli storici del secolo decimonono o del ven– tesimo, è troppo ovdo e naturale perchè vi si debba insislt!re. - L' Autobiograjia termina anch'essa con una benedizione alle avversità, un riconoscimento della Provvidenza e una certezza di fama e di gloria. IX. Negli ultimi anni di sua ,•ita, il Vico, .iggrav:110 dalla Yecchiaia, dalle domestiche (1) Opp., VI, l>P· 29 30. (2) OPP- VI, p. 29. (3) Opp. V I, p. 446. (4) Nell'introd. al IV voi. delle Opere. (5) .41tlob., in Opp., IV, p. 40:1 .. (6) lvi.

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