Una città - anno VI - n. 48 - marzo 1996

B OST SABILITA' Il rifiuto dell'idea di un'anormalità italiana e di ogni determinismo che usi il passato per giustificare il presente. Il Partito d'Azione non poteva cambiare la società italiana, poteva lottare contro la trascendenza dei movimenti di massa sorti in questo secolo. La crisi di quel sistema di rappresentanza sorto spontaneamente, prima addirittura della Resistenza. La speranza dei sindaci e degli "indipendenti". Intervista a Vittorio Foa. Si continua a parlare di anomalia italiana, facendo paragoni con gli altri paesi industrializzati, si predica l'esigenza di un paese "normale" ... Tu cosa ne pensi? Io non credo che siamo un paese anormale. Non credo che abbiamo delle colpe storiche né che i mali del presente siano figli dei nostri nonni o dei nostri bisnonni. Questa concezione della storia quale responsabile delle nostre cattiverie è la forma principale di deresponsabilizzazione. Quando Gobetti afferma che il fascismo è l 'autobiografia della nazione, butta sulla nazione una colpa che è tutta nostra: quella di non aver saputo resistere al fascismo. E' solo nostra. Oppure quando si dice: "La Costituente ha dato l'Italia in mano ai partiti e i partiti sono diventati corrotti", non è vero, perché i mostri che sono venuti fuori non sono figli di chi ha scritto 50 anni fa la Costituzione, perché in mezzo, tra la Costituente e oggi, ci sono infiniti impulsi vitali, che vengono da tutte le parti. Noi siamo figli della Costituzione come siamo figli di infinite altre cose. Respingo con la massima forza questo determinismo pessimistico che ci fa trovare delle spiegazioni nel passato lontano: "Perché I'Italia è stata invasa", ma tutta l'Europa è stata invasa! Quale paese d 'Europa non è stato invaso? "L'Italia è un paese cattolico e quindi non ha avuto la rivoluzione capitalistica!". Ma se il capitalista italiano più moderno di questo secolo è stato Enrico Mattei, che era un cattolico, non certo un protestante! E così pure sono contro il determinismo ottimistico, lo storicismo, che giustifica tutto. "Il compromesso storico è giustificato dal connubio fra Cavour e Rattazzi". Eh no, questo non lo accetto: non posso accettare i fili rossi, per cui dal passato nasce il presente nel bene o nel male. No, non nasce il presente, ci sono mille cose in mezzo. Per questo non condivido la linea gobettiana. Qualche giorno fa mi è successo di sentirmi fare questi discorsi con riferimento alla Francia. Bene, guardiamo la Francia. Loro hanno tenuto fermi i treni per delle settimane per esigenze di carattere corporativo, per non fare la riforma delle pensioni; noi abbiamo avuto Dini che l'ha fatta con i sindacati senza che si fermassero i treni neanche per un'ora. Ditemi chi è più in gamba, i francesi o noi? Il sindacato che ha portato avanti lo sciopero in Francia era il sindacato che possedeva tutti i posti di comando nella Sicurezza Sociale, Force Ouvrière, per ·certi ·versi simile alla Uil italiana, sebbene più forte. Allora, io non mi sento di prendere la Francia come modello, perché questo piccolo episodio dimostra che si possono risolvere i problemi in altro modo: in Italia c'è stato un governo e una classe industriale che hanno accettato di discutere con i sindacati, in Francia no. Con questo, però, non voglio dire che siamo più avanti, ho solo voluto usare un argomento polemico di fronte a quelli che dicono che lo straniero è meglio di noi. Noi non siamo meglio degli altri, ma non siamo nemmeno da buttare via. Pensate cos'eravamo nel '45 e cosa siamo adesso. Io sono molto polemico verso la società consumistica, ma bisogna anche capire cosa il consumismo ha significato per noi italiani. Ero già molto anziano quando gli operai hanno conquistato l 'automobilee voi non avete idea di cos'è stato, non potete saperlo, perché siete troppo giovani. Nessuno ne parla, non c'è nessun trattato di diritto costituzionale che parli del diritto di libertà che i lavoratori hanno conquistato con l'automobile, ottenendo così la loro vittoria sul tempo e sullo spazio: milioni di famiglie hanno improvvisamente avuto la loro vita completamente cambiata. I primi anni 60 sono stati anni straordinari di conquista della libertà. Dopodiché, figuratevi se io, che sono così vecchio e non riesco a camminare sul marciapiede tutto occupato dalle macchine e vedo i bambini nelle carrozzine che si prendono i gas di scarico, amo la società dei consumi! Però, ricordo bene cosa ha voluto dire per milioni di persone e come ha cambiato l'Italia. Il Partito d'Azione non ha rappresentato un'occasione mancata per laicizzare la società italiana? Certamente il Partito d'Azione ha fatto sentire con molta forza l'esigenza di una moralità della politica, della rottura della politica come pura tecnica, ma come poteva costruire una dimensione culturale di laicismo che comprendesse tutta la società italiana? Il Partito d'Azione veniva dopo l'esperienza fascista, dopo l'esperienza social-comunista e dopo la ripresa molto forte del cattolicesimo politico, per cui credo che questa ambizione non l'abbia mai avuta. Ancora oggi c'è l'illusione di ricostruire strumenti politici laici, "il partito laico", e ne vediamo il fallimento, che discende dal fallimento originario del Partito d'Azione. Da cosa nasce questa impotenza? Già nel 1945-46 il laicismo non implicava più la costruzione di un'organizzazione politica che desse una dimensione nazionale ai valori laici e secolari, ma era, e noi non ce ne siamo resi conto completamente, una lotta fra la secolarizzazione e la trascendenza che animava i grandi movimenti di massa venuti avanti in questo secolo. Certo, l'esigenza di moralità che noi affermavamo era anche un'esigenza di rigore: se uno sbaglia, deve pagare. Questa posizione andava indubbiamente contro la morale cattolica che, condannando l'errore ma coprendolo immeqiatamente dopo, deresponsabilizzava l 'individuo. In fondo, la critica a proposito della mancata Riforma in Italia è questa. Rispetto a ciò, vorrei aggiungere che non sono sicurissimo che la mancanza di una Riforma, come pensavano Gobetti e tanti nel Partito d'Azione, sia da considerare come un vizio organico della società italiana, come la genesi, in qualche modo, di inadempienze più profonde. Tutto sommato l'esperienza unita- -------------------dogana I& CODICE COMUNE Non so dove sia maturata né a.chi si debba in origine Einaudi). Ma non voglio ora addentrarmi nel problema, l'idea, in se stessa felice, di mettere a confronto il riserbandomi semmai di riprenderlo inseguito, giacché cardinale Carlo Maria Martini e Umberto Eco (stavo destinato a imporsi sempre più, con diramazioni e per dire il cardinale -cardinale laico- Umberto Eco) sul conseguenze in ogni ambito della vita sia religiosa che tema della morale: morale laica, morale religiosa; e civile, sia privata che pubblica. dicasi pure, in questo caso, cristiana. Felice l'idea, ma Mi basta dar conto brevemente di una almeno delle deludente il risultato. Lo dico da vecchio estimatore di ragioni di insoddisfazione che so condivisa da non Martini, sentendomi inciò più vicino al mondo laico che pochi altri, credenti e laici (mi si passi una simile a quello clericale. Quando, esordendo come arcive- distinzione, in realtà impropria. Per quanto mi riguarda scovo, si indirizzò ai suoi fedeli con una lettera pasto- io dico, parafrasando san Paolo: laici sunt? Et ego). raie -la sua prima- tutta incentrata sulla dimensione Riducendo le cose all'osso, a me pare -ma posso contemplativa, i preti ambrosiani si guardarono per- stravedere e sbagliare e sarei pronto a ricredermi- che plessi, come a dire: ma qui siamo in una diocesi dove l'idea soggiacente all'impianto del cardinale risulti alla ciòchecontasonoleopere(einquesto,bravissimi;ma fine quella di una sorta di superiorità ... morale del non senza, ogni tanto, qualche rovescio della meda- credente. Idea inaccettabile in linea di principio, e glia: certi grandi faccendieri in tonaca liabbiamo cono- contraddetta, non importa quante volte, in linea di fatto. sciuti e visti all'opera nei nostri anni milanesi). Inaccettabile in linea di principio perché, non dirò la Vecchio estimatore e deciso a restarlo e a non smet- superiorità, ma la singolarità -gaudiosa al contempo e tere di aspettarmi da lui, anche nell'eventualità di un costosa- del credente riposa in altro che non sia la suo ulteriore avanzamento nella carriera ecclesiasti- semplice morale. E contraddetta in linea di fatto perché ca, grandi cose, o almeno-poiché questo è ilsuo stile- non capita sempre (e tanto basterebbe), oserei dire grandi segnali. Una tale eventualità non è però da che non capita spesso, almeno sotto i nostri soli, che sbandierare troppo: oltre che dargli fastidio, lodanneg- l'appartenenza religiosa si sposi con un forte impegno gerebbe. Ma qui, nel confronto con Eco, mi è parso etico. Spesso l'una dispensa dall'altro. Il panorama inferiore a se stesso. Anche Eco, per la verità, l'ho che abbiamo avuto sotto gli occhi in tanti anni di vita trovato inferiore al compito e divagante, ma da lui non pubblica è lì a dimostrarlo. Per dirne una: non siamo mi aspettavo di più. Qualcosa ha trattenuto entrambi stati noi, noi credenti, noi preti, noi chiesa la prima dall'andare al fondo del problema. Che, molto sinteti- clientela? E viceversa: può capitare che l'impegno camene, si può riassumere in questi termini: morale etico, in chi non abbia altra fede, assuma una dimenreligiosa, religioso-cristiana e morale laica sono stori- sione di assolutezza, una sua sacralità. Diventi, esso, camente, filogeneticamente, inseparabili. Allalorobase, una religione. Naturalmente con i suoi fariseismi. così come alla base delle grandi letterature del nostro Chi ha una conoscenza vera, vissuta, frutto di lunga mondo, quello occidentale, sono rintracciabili le cate- frequentazione, di un certo mondo laico lo può testimogorie del Grande Codice (quello biblico), per dirla con niare. il titolo del iibro di Northrop E e (in Italia pressg ~ .Q Camillo de Piaz ria, dal 1848 in poi, è stata un' esperienza laica: Cavour lottò duramente contro la chiesa, fece arrestare il vescovo di Torino, cosa che allora non si usava fare. Nel 1945, poi, noi non abbiamo mai avuto l'immagine della conquista cattolica della società e dello stato italiani, nella quale, sia detto fra parentesi, non vedo affatto la genesi di tutti i nostri mali. Questa, d'altra parte, si realizzò dopo la scomparsa del Partito d'Azione con l'esperienza degasperiana matura. Se guardassimo ai nostri materiali, noteremmo che era del tutto assente la critica del cattolicesimo politico, sicuramente per nostra ignoranza; c'era invece in abbondanza la critica del liberalismo, del socialismo e del comunismo. Un pensiero trascendente era certamente quello comunista ... Noi vedevamo il marxismo come una struttura aridamente dogmatica, di per sé oppressiva dell 'individuo. Quello era ed è il punto nodale nel rapporto tra la collettività e I'individuo: se la comunità schiaccia l'individuo oppure in qualche modo consente all'individuo di realizzare un 'attività creativa, di determinare da sé il proprio futuro. Su questo c'era un conflitto di fondo; però, e questa è una cosa su cui il Partito d'azione è storicamente in discussione, noi, nel momento in cui, secondo la nostra logica, negavamo i valori trascendenti dell'ideologia comunista e dell'organizzazione comunista, nello stesso tempo decidevamo, in modo consapevole e rigoroso, di collaborare con i comunisti. Che tipo di collaborazione era? La pensavate come un tratto di strada da fare assieme, per poi separarsi? Questo è un punto chiave. Oggi ci viene aspramente rimproverato: "Ma voi avete collaborato con i comunisti!". E non puoi nemmeno dire: "L'abbiamo I fatto pensando che poi avremmo smesso", perché non era affatto così semplice. Non dicevamo: "Adesso stiamo con voi e poi vediamo". C'era, sì, questo elemento, ma c'era anche qualche altra cosa: "Io sto con voi perché penso che siate riformabili". Era l'idea della riformabilità del comunismo che ha dominato in qualche modo l'azionismo, o gran parte di esso. Anche dopo la scissione del gennaio-febbraio '46, quando Parri e La Malfaseneandarono. il grosso dei dirigenti rimasti nel Partito d'Azione, che poi confluì nel Psi alla fine di quell'anno, pur riconfermando la distinzione nettissima da socialisti e comunisti, continuò a collaborare con loro. Io vorrei cercare di essere capito. anche se mi rendo conto che non è facile. Se io penso al comunismo come dottrina o anche come ordinamento, quello realizzato dall'impero russo, non c'è dubbio che l'anticomunismo di sinistra è non solo giustificato, ma necessario. Bisogna essere anticomunisti. Però, vorrei che ci rendessimo conto che noi, io personalmente. siamo stati nella vita politica e nel lavoro in mezzo al comunismo, che non era per noi né la dottrina né l'ordinamento. ma erano i comunisti e le comuniste in carne ed ossa, che erano persone che lottavano per la libertà. Tu vivevi fra loro. Un conto è lo stato russo che ha ammazzato 6 milioni di contadini in Ucraina e un conto sono quegli uomini e quelle donne. comunisti, che hanno reagito a certe situazioni in un certo modo. Non credete che occorra fare questa distinzione? Per me sarebbe impossibile non farla. Ho vissuto tanti anni con una donna che era comunista, le persone con cui lavoravo erano comunisti ... Ma adesso che si sa, è giusto chiedersi se voi sapevate e in che misura la collaborazione fosse inevitabile, oppure, in qualche modo, colpevole ... Non vorrei essere indulgente con me stesso: noi potevamo anche non sapere, però sapevamo. Non sapevamo i dettagli, ma sapevamo, sapevamo anche l'entità. Questa domanda me la pongo da vecchio: potevamo reagire in modo diverso? Questo dubbio me lo sono posto sempre. Ma cosa avveniva in questa realtà? Avveniva che in un mondo fortemente diviso, qualunque tentativo che facevi di prendere le distanze da quel mondo là era immediatamente strumentalizzato dalla propaganda americana, dall'organizzazione americana, e tu diventavi un traditore, o perlomeno un uomo sospetto per amici, parenti, persone care. Questo ci tratteneva. E dico questo non certo con la coscienza tranquilla ... Poi, ci sono altre cose più complesse, di carattere culturale. Una di queste è certamente l'idea dell'avanguardia: in nome del1'avanguardia si affermava, per mezzo del marxismo pratico, rivoluzionario o quello che era, il diritto del l'organizzazione di decidere per i singoli e il diritto di reprimere e ammazzare i singoli quando I' organizzazione riteneva che fosse necessario. Ma l'idea dell 'avanguardia aveva anche un altro aspetto, quello di essere la guida esemplare, di dover dare l'esempio, e questo elemento nel Partito d'Azione era molto forte. Adesso lo considero culturalmente un forte limite, però questo limite lo riconosco dopo molti anni: nella mia giovinezza l'idea di essere l'avanguardia era un imperativo. Ma, in questa idea c'è sempre un aspetto differenziale: "Io sono avanguardia in quanto sono più bravo di te e quindi sono legittimato a condurti oppure sono legittimato a darti degli ordini o anche a metterti in prigione". Non dimentichiamo, però, che in tutta la gamma di azioni perverse, o positive, che I'avanguardia può compiere c'è anche l'azione positiva; e nella cultura del secolo, quel volontarismo che ha impregnato fortemente il Partito d'Azione, poteva prendere un segno autoritario o un segno libertario: lo scontro in quel momento era tra due volontarismi. Comunque, il rifiuto del determinismo, fortissimo nel Partito d' Azione, è stato senza dubbio il lato più bello, più libero del pensiero azionista. Mi ha colpito il giudizio non negativo sulla vittoria politica dei cattolici... Io distinguerei. perché essa è venuta avanti in modi molto diversi. Al principio del secolo, neli 'Italia giolittiana, ci fu prima il tentativo democratico dei modernisti di Murri, fallito per l'intervento di Pio X; poi fu tentato un ricongiungimento di carattere moderato-clericale con il Patto Genti Ioni. Pertanto. i cattolici come tali sono entrati nella vita democratica con una visuale conservatrice. In seguito. è venuta la straordinaria esperienza di Sturzo, che certamente aveva mille componenti clericali e anche di forte conservazione sociale. però ha avuto alcune intuizioni politiche straordinarie: l'autonomia regionale, la proporzionale, ossia la rappresentanza per tutti. Dopo, viene il rapporto con i fascisti che è veramente un rapporto di dare-avere: la chiesa, appoggiando in modo vergognoso il fascismo, trascurando di fatto tutti i valori umani, ebbe la totale libertà di organizzazione per l 'Azione cattolica, cosa che le permise di occupare tutte le articolazioni della società. Dovendo fare dei bilanci sul rapporto fra cattolici e regime fascista, bisogna dire che ci sono stati aspetti orrendi, soprattutto a livello di curia, e altri meravigliosi, soprattutto a livello di clero, di ordini religiosi, di associazionismo cattolico. Se non si pensa a questo, non si riesce a capire come mai dopo la guerra, e questa è una domanda che mi pongo molte volte, non abbiamo mai attaccato la chiesa, non abbiamo mai chiesto conto alla chiesa dell'appoggio dato al fascismo. Non abbiamo chiesto conto a Pacelli di quello che non aveva fatto il 16 ottobre 1943 a Roma, quando sarebbe bastato che lui uscisse da casa sua per fare duecento metri a piedi e mille vite umane sarebbero state salvate. Fece di peggio, autorizzando che la protesta del Vaticano non arrivasse a Berlino. Non abbiamo mai chiesto conto di questo. Forse perché la chiesa nell'ultimo periodo della guerra aveva supplito allo stato che era venuto meno, aveva salvato anche molti ebrei, molti fuggiaschi, a livello di singoli preti o monaci, ma sempre con l'appoggio dei vescovi. Quindi, nell'insieme, non abbiamo potuto porre alcun problema, questa è la cosa molto strana: le abbiamo dato spazio. Nel dopoguerra la presenza politica dei cattolici si costruisce intorno alla Democrazia Cristiana, che è stata veramente un partito laico, che ha accettato il pluralismo dello stato italiano nonostante pressioni immense perché ne riducesse la portata. Io sono convinto che questo dipenda dal fatto che la Resistenza aveva connotato di sé gran parte della società italiana. Bisogna, infine, riconoscere che alla fine degli anni 50 e nei primi anni 60, la direzione intellettuale e pratica della modernizzazione economica, che vuol dire intervento statale, spesa pubblica, industria di stato è di estrazione cattolica. La cosa più straordinaria è che il dossettismo, che era un 'idea molto generica di socialità, che doveva togliere le basi al comunismo attraverso l'attività sociale, diventa in realtà il moderno interventismo statale. Si badi bene, non è un'invenzione loro, ma della prima guerra mondiale; però loro l'hanno praticata con intelligenza e decisione con l'appoggio della sinistra, in un'azione di convergenza in fondo molto più importante di quella che hanno cercato in seguito con il compromesso storico. Comunque, l'esperienza politica dei cattolici è finita, e questo è un problemino non da poco: il cattolicesimo politico in Italia muore sul principio degli anni 90 e la mia impressione è che muoia per molto tempo, perché noi stiamo attraversando un processo di individualizzazione e privatizzazione del sentimento religioso analogo a quello che avviene in tutti i fenomeni della vita sociale, dai rapporti di lavoro alle coscienze civili. L'autorità esuberante del papa polacco può dare l'impressione di coprire questa perdita di rilievo, ma, secondo me, la perdita dell'influenza della chiesa nella società italiana è drammatica. Nel momento in cui se ne vanno via, dobbiamo riconoscere che nella seconda metà del secolo il cattolicesimo politico ha avuto una sensibilità democratica notevole. Il Pds era nato con il progetto di riunire le varie anime della sinistra, ma non ti sembra che abbia fallito, che sia solo un Pci più piccolo? Io credo che il gioco del partito come mediatore tra la società e la politica ha finito per costituire uno steccato, un elemento di impedimento in questo rapporto. Oggi il dilemma è tra chi vuole mantenere o riprodurre quello steccato e chi pensa invece che forse è bene nuotare in mare aperto, ricercando le differenze fra sinistra e destra dove

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