Una città - anno VI - n. 48 - marzo 1996

B CHIDO I? La decisione di restare, di vivere braccata, di continuare, da clandestina, il lavoro e la vita di tutti i giorni. La denuncia della corruzione che costò la vita all'uomo della speranza e la connivenza con i terroristi islamisti che viene da lontano. La grande creatività dei giovani algerini. L'emancipazione delle donne che deve partire dalle mura di casa. L'incognita del domani. Intervista a Malika Boussouf. Malika Boussouf è reporter del primo quotidiano indipendente algerino in lingua francese. Le Soir d' Algérie. Ha scrirto Vivre traquée, Calmann-Levy, Parigi, 1995. La sede del suo giornale è stata devastata da un' awobomba I' I/ febbraio scorso ad Algeri presso la Casa della Stampa.L'attentato ha provocato 23 morti e 98 feriti. Tre erano giornalisti di Le Soir. L'imen1ista è stata fatta precedentemente. Come vivo? Ho scelto di continuare a vivere in Algeria nonostante la mia ufficiale condanna a morte, datata 3 giugno 1993, da parte del Movimento per lo Stato Islamico, poi fusosi nel Gia, perché sono convinta che la lotta va condotta sul posto. Ho rifiutato l'asilo politico offertomi dalla Francia. Naturalmente sono costretta a drastiche misure di sicurezza come tanti altri in Algeria, ugualmente minacciati di morte. Cambio alloggio continuamente, ogni mattina un 'auto diversa viene a prendermi, esco travestita, sono obbligata a cambiarmi in auto cercando di non dare nell 'occhio. La mia vera casa è una sacca da viaggio, ogni due giorni mia sorella prepara i miei abiti e altre cose di cui ho bisogno, le dò indicazioni per telefono, qualcuno va a recuperarle. Tutti noi giornalisti viviamo lo stesso inferno, ma non siamo i soli, tutta la società civile è in ostaggio. E' vero che in Algeria negli ultimi anni ci sono stati tanti giornalisti, intellettuali, funzionari assassinati, ma il prezzo più alto è stato pagato dalle vittime anonime di cui non si parla, fino a 140 al giorno: contadini, studenti, vecchi, operai, disoccupati, bambini, e dalle donne e ragazzine rapite, stuprate, sgozzate, trucidate. 50 mila morti in quattro anni è solo una stima. Nel mio libro, al di là della mia storia personale, ho voluto testimoniare, con le verità e le parole più crude, il calvario di un intero paese, perché niente potrà mai e poi mai giustificare la sorte riservata oggi a tutto un popolo, in nome del quale degli assassini e tagliatori di teste pretendono di lottare. Prima di lavorare a Le Soir ho animato sul terzo canale della radio algerina, quello in francese (il primo è in arabo, il secondo in berbero, il quarto è il canale internazionale, che trasmette quattro ore al giorno in inglese e spagnolo), una trasmissione radiofonica, Show débat, che andava in onda in diretta ogni giovedì dalle 17 alle 19ed era seguitissima: molti commercianti abbassavano le serrande per ascoltarla. Era un dibattito contraddittorio, polemico, c'erano persone con opinioni diverse sul tema scelto e in funzione del quale invitavo gli ospiti. Le persone più diverse sono intervenute, mettevo di fronte il povero cittadino che veniva a lamentarsi e un ministro a rispondergli. Era una trasmissione virulenta, ed è strano come i ministri adorassero intervenirvi: o cercavano della pubblicità, o erano masochisti, perché sapevano che si sarebbero fatti flagellare. Forse avevano cattiva coscienza e venivano a spiegarsi in diretta. Nella primavera del 1992, nell'arco di due settimane dedicai due trasmissioni al tema della scuola e dell'educazione. All'indomani dell'indipendenza l'educazione, così come la cultura, gli affari religiosi, le moschee, è stata ceduta agli islamisti. E gli islamisti, quelli che noi chiamiamo gli islamo-baathisti, ne hanno fatto quello che hanno voluto: hanno incoraggiato la lingua araba ad oltranza, lo spirito nazionalista e panarabista, lo spirito antifrancese, hanno dettato il tono del discorso religioso e dato dell'islam l'interpretazione più retriva, conducendo gli allievi all'irreggimentazione ideologica e religiosa. Del resto, Alì Benhadj, numero due del Fis non dichiarò un giorno: "Se perdiamo le moschee, ci resteranno le scuole"? Ma, d'altra parte non è una novità il fatto che gli islamisti sono sempre stati usati dal potere contro i democratici. Prima di fare il Fis, erano all'interno del Fronte di Liberazione Nazionale, l'ex partito unico. Per inciso, quello stesso Fin, principale artefice del disastro algerino, che si presentò a Roma in rappresentanza di una fantomatica opposizione algerina per firmare una sedicente piattaforma di riconciliazione nazionale con un capo di assassini, il portavoce del Fis, Anwar Haddam, che dal suo ufficio di Washington, dove ha lo statuto di rifugiato politico, rivendicava impunemente le stragi con l'autobomba e l'assassinio di intellettuali e giornalisti. L'ignoranza generalizzata è stata incoraggiata dal regime, era un modo per mantenersi al potere. L'arabizzazione imposta a colpi di decisioni amministrative non è innocente. Bisognava arrivare ad ogni costo al punto in cui tutto sarebbe stato arabizzato, ma a livello di Consiglio dei ministri, a livello ministeriale, i rapporti erano redatti in francese ... Si voleva fare della lingua araba una lingua per le masse, mentre il francese era riservato alla classe dirigente. In trasmissione dissi che i nostri dirigenti, che hanno sempre pomposamente difeso il principio dell 'arabizzazione in nome di un 'identità che non è la loro, e questo lo sanno bene, si sono ben guardati dal) 'iscrivere i propri figli nelle scuole algerine da loro volute, di sottometterli a quei programmi infami confezionati per le masse, ma per l'avvenire dei loro figli accordavano fiducia ai metodi e alle scuole di altri paesi. Chiamai in causa il ministro dell'educazione: "Ecco un signore che predica l'arabizzazione ad oltranza, ma che preferisce evitare al figlio i frutti della sua propria riflessione, mandandolo a studiare a Strasburgo, dove non si studia certo in I ~ arabo e non si studia in una sola lingua!". Dissi che a Strasburgo c'erano altre possibilità, finiti gli studi, piuttosto che diventare imam o manovalanza del mercato nero, le uniche opzioni offerte in Algeria ai nostri ragazzi. Scandalo! Il ministro minacciò di farmi causa se non fornivo le mie fonti, in diretta lo sfidai a farlo. Domandò inutilmente al suo omologo dell'informazione di far sospendere la trasmissione, poi si appellò alla solidarietà del governo e chiese la mia testa in Consiglio dei ministri. Ma lo scandalo fu soffocato: perché il Primo Ministro sapeva che avevo le prove e soprattutto perché praticamente tutti, primo ministro compreso, avevano i figli iscritti all'estero o al liceo francese in Algeria e io avevo la lista. In seguito a quella trasmissione, fu richiesto che Show débat fosse registrata, vale a dire censurata. Allertai i giornali, che mi sostennero e risposi che non se ne parlava neppure. Alla fine vinsi io: avrei continuato a farla in diretta. Questo successe due settimane prima dell'assassinio del presidente Boudiaf. Dopo, fui io a sospendere volontariamente la trasmissione, l'ho scritto nel mio libro: non volevo riprenderla per servire da alibi al potere che lo ha assassinato. Boudiaf era, soprattutto e prima di tutto, una persona pulita, integra, che viveva in esilio tranquillamente, che non aveva alcun interesse a tornare dopo treni' anni. Viveva in Marocco, aveva la sua piccola fabbrica di mattoni, stava bene. E' tornato perché gli hanno detto: "L'Algeria è in pericolo, sei un padre della rivoluzione, devi salvare l'Algeria". Evidentemente, non aveva mai perso !"amore per l' Algeria, ed è tornato. Nei sei mesi della sua presidenza si era guadagnato una grande simpatia e aveva conquistato la fiducia degli algerini, ai quali aveva ridato speranza. Nessun dirigente si era mai rivolto a loro con tanta franchezza e nella loro lingua! Perché era il primo a non usare l'arabo letterario nei suoi discorsi pubblici: parlava in arabo locale, la lingua materna e riusciva a comunicare, come nessuno aveva fatto prima. Anche con i giovani: era riuscito a toccarli, islamisti compresi. Suscitava rispetto, gli algerini avevano capito che non era come tutti gli altri che l'avevano preceduto, era disinteressato e per questo impermeabile alle manipolazioni di palazzo. Stava rimettendo in discussione il sistema scolastico ed educativo, si era permesso di denunciare le malefatte del Fin, voleva delle elezioni perché si considerava illegittimo, e aveva grandi possibilità di vincerle, stava conquistando il popolo ai suoi progetti. Per questo faceva paura. Il suo funerale è stato un vero e proprio plebiscito postumo. Aveva denunciato la corruzione: era stato lui a coniare il termine di mafia politico-finanziaria per designare coloro che hanno dilapidato il paese, la corruzione eretta a sistema. Aveva avviato delle inchieste che sono state le prime e le ultime. Non ci sono state più inchieste dopo che è stato assassinato. Tutto è stato ovviamente messo sul conto dei terroristi. Sì, sono convinta che sono i giovani, anche se si sono fatti recuperare dal Fis nel 1988, che faranno la differenza domani. Sono di un 'intelligenza incredibile, ogni volta che si impedisce loro qualcosa trovano una soluzione, trovano il modo di cavarsela. L'Algeria è un paese in cui I'abilità di sbrogliarsela in qualche modo fa miracoli. Lo so che questi giovani sono oggetto di disprezzo, che li si tratta con sufficienza, perché non hanno fatto molti studi, perché sono stati rigettati dal sistema scolastico, perché appartengono a famiglie numerose, ma posso dirvi che non fanno la fame, se la cavano, foss 'anche fornendo manovalanza al mercato nero che, invece, è gestito dagli alti dignitari del sistema. Sono sbalordita dalla capacità che hanno questi giovani di adattarsi alle situazioni. La scuola della strada non è necessariamente cattiva e del resto la scuola non li educa, la scuola ne fa dei piccoli terroristi, dei piccoli integristi. Loro stessi ti dicono che la scuola non serve a niente, che non imparano niente, che comunque saranno disoccupati e che tanto vale vendere sigarette o noccioline. Avevo un vicino di casa, un ragazzetto che dopo anni di scuola non sapeva fare due più due. La nipote di un'amica, dopo nove mesi di scuola aveva imparato solo dei versetti del Corano, perché si parte dal principio che se impari il Corano a memoria succede come un miracolo e tutto il resto viene da solo: peccato che invece, come dissi a suo tempo in trasmissione, dopo anni che si pratica questo metodo di insegnamento il resto non è venuto, né solo né accompagnato. Quando il Primo Ministro voleva recuperare molti locali concessi ai partiti politici, soprattutto quelli che erano stati del Fin, avevo proposto che fossero dati ai ragazzi di quartiere perché ne facessero quello che preferivano. Li avrebbero ridipinti, li avrebbero organizzati in caffè, trattorie, sale giochi, clubs musicali, avrebbero avuto in ogni caso un luogo di ritrovo tutto per loro e un modo per creare qualcosa. Credo fermamente alla creatività di questi ragazzi di quartiere. Li conosco, li incontro, parlo con loro .... E li trovo quasi patetici, con tutte quelle idee che gli si agitano in testa. Non hanno i mezzi per realizzarle e se si persisterà a non offrire loro i mezzi allora si ribelleranno. Bisogna rispettare i loro diritti, capire perché sono diventati quello che sono, trattarli senza arroganza e li conquisti, riesci a far leva sul loro senso di solidarietà. Hanno il senso della responsabilità, della solidarietà. Un esempio. lo abitavo alla Madrague, era un quartiere Fis. Questi ragazzi sapevano chi ero, ascoltavano le mie trasmissioni, capitava anche che leggessero i miei articoli. Quando rientravo dai miei viaggi di lavoro e il taxi si fermava sotto casa mia, erano proprio loro a portarmi su i bagagli, dicendo: "Vai su subito, ai bagagli ci pensiamo noi", ossia volevano che "sparissi" il prima possibile, per la mia sicurezza personale. E i bagagli sono sempre arrivati, sani e salvi. Dividevo le mie sigarette con loro. Non bisogna guardarli dall'alto in basso, bisogna capirli e rispettarli e sono pronti a morire per te. E' questo che era riuscito a fare il presidente Boudiaf, l'unico interlocutore credibile che i giovani algerini abbiano Ì-naiavuto. Era riuscito a toccarli nel profondo. Se ti appelli al loro orgoglio, alla loro solidarietà, sono là, neanche il terrorismo è riuscito a scardinare questo codice morale. Così come è altrettanto vero che possono essere aggressivi se si sentono aggrediti. Il codice della famiglia, approvato nel 1984 dall'allora partito unico Fin, riduce la donna a una non cittadina. E' un testo che soddisfa pienamente il Fis che, non a caso, si guarda bene dal contestarlo. Tutte le associazioni di donne si battono per la sua abrogazione e io sono ovviamente d' accordo. che la lotta che devono condurre le donne è prima di tutto una lotta personale, individuale. lo l'ho condotta questa lotta, da quando avevo quindici anni. Ho dato l'esame di maturità con un occhio nero e degli occhiali da sole per nasconderlo, andavo al liceo piena di graffi raccontando che era stato il mio gatto: in realtà, facevo a botte con mio fratello. Perché uscivo, andavo in discoteca, avevo la mia vita e non accettavo di essere per questo insultata e maltrattata. Ho avuto la fortuna di avere una madre non sottomessa, che gettava fuori di casa i figli maschi invece delle figlie se la situazione si infiammava. Con il maggiore dei miei fratelli, che ha oggi 58 anni, non parlo più dal 1978. L' altro, invece, quello con cui la lotta è stata più violenta, è diventato un alleato, ha ora due figlie di 17 e 19 anni alle quali non imporrà mai il velo. Quando avevo 15 anni mi insultava, mi considerava una depravata, ha continuato per degli anni finché non ha visto che quella sorella così vituperata aveva fatto degli studi, si era imposta nella società, nel suo lavoro, era conosciuta, che quella sorella l'aveva anzi aiutato a terminare i suoi studi, quando era già un padre di famiglia. Non è solo una battaglia legislativa quella da condurre, è la mentalità che deve essere combattuta, la rivoluzione bisogna farla prima di tutto in casa propria. Io penso che sia una battaglia possibile, ne conosco tante che l'hanno fatto. Purtroppo capita, come ovunque, che tante altre siano le migliori riproduttrici del sistema, della tradizione. Tante madri adorano i figli maschi e detestano le nuore, considerano normale che i loro figli le malmenino. Pensano di non poter accedere all'autorità, se non mascolinizzandosi, che vuol dire giungere alla menopausa, perché allora, non essendo più oggetto di desiderio, non potendo più procreare, non si è più donne. La scuola potrebbe giocare un ruolo in questo senso, ma svolge esattamente il ruolo opposto. La mia posizione personale è chiara: il codice della famiglia non mi va, non mi sposo. Punto. La legge esige da me che ci sia un uomo come tutore per concludere il matrimonio, io non voglio tutori e dunque non mi sposo. La tradizione esige da me che io prepari da mangiare a mio marito mattina e sera, ecc., la mia professione non me lo permette e la mia personalità di donna, mia individuale, non me lo permette, non ho voglia di servirlo, dunque non mi sposo, è una scelta personale. Da parte delle donne c'è un lavoro personale da fare, uno sforzo che non è ancora prodotto sufficientemente. C'è anche·una lacuna delle associazioni di donne: non fanno abbastanza informazione. Bisogna riuscire a toccare le donne con esempi ben precisi, nel loro vissuto quotidiano, e le donne capiscono, eccome, non c'è bisogno di leggere dei trattati. Voglio raccontare un episodio. Un giorno una donna stava camminando nel quartiere popolare di Bab El Oued ad Algeri e tre ragazzi in tunica islamica seduti sul marciapiede hanno iniziato ad insultarla, a dirle: "Copriti!" e altre cose del genere. La donna si è girata e ha detto loro con tono sprezzante: "Ne ho quattro come voi in casa e sono io che li mantengo". I ragazzi non hanno più fiatato. Non voglio dire che ali' interno della coppia debba instaurarsi un rapporto di forza, ma bisogna spiegarsi fin dall'inizio. lo ho finito per ottenere che mio fratello o mio nipote mi portassero la colazione a letto, come io lo facevo per loro, e con piacere, perché non c'era più questa storia dei rapporti di forza. Ho lottato così tanto che non ammetto più, non sopporto più di avere un capo, accetto la discussione in gruppo, il dibattito, la forza dell'argomentazione, ma non accetto l'autoritarismo, gli ordini di scuderia. Per questo non sono una militante. Non voglio essere al servizio di nessuno in particolare, di qualcuno che voglia dirigermi, dettarmi il modo di agire e di pensare. , Quando i servizi di spionaggio hanno tentato di assoldarmi, ho detto al comandante che aveva chiesto di incontrami: "Spero vi abbiano informato che non sono assoldabile". Questo spiega forse perché, quando ne ho fatto domanda, non mi è stato concesso il porto d' armi. Comunque, sono diventata talmente fatalista nei confronti della morte ... In ogni caso, non venderò mai informazioni, non sarò mai collaborazionista, mio padre è morto perché dei collaborazionisti l'hanno denunciato, ho sempre detestato le spie, i venduti. Non faccio un lavoro militante, ma credo di servire la causa anche meglio di coloro che militan0. Posso sentirmi sola, è vero, anche molto sola, ma le proprie convinzioni profonde bisogna viverle fino in fondo ... Anche se non so chi mi assassinerà domani. •

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