Una città - anno VI - n. 48 - marzo 1996

un mese 81 Una sinistra che pensa in contrapposizione alla destra. L'abbaglio contro l'unificazione tedesca e l'incapacità a imparare dagli errori. Un servizio segreto il cui operato va al di là dell'immaginazione umana. I dossier che non vanno usati scandalisticamente ma neanche chiusi per sempre. I rischi di relativismo morale. Intervista a Peter Schneider. Peter Schneider, scrittore, vive a Berlino. E' stato uno dei portavoce del movimento degli studenti in Germania nel '68. Fra i suoi libri ricordiamo: Lenz (Feltrinelli, 1978), Dopo il muro (Sperling & Kupfer, 1992), Papà (e/o, 1988), Accoppiamenti (Garzanti, '94 ). Sembra che la sinistra continui a mancare appuntamenti storici fondamentali. Oggi la Bosnia, ieri l'unificazione tedesca. C'è stato poi un qualche ripensamento? Non sono affatto tra quelli che dicono che non c'è più differenza tra· destra e sinistra e so che quando si parla di multietnicità, di tolleranza, di libertà dell'individuo, tra la destra e la sinistra troviamo ancora differenze che resteranno valide per secoli. Quel che trovo profondamente sbagliato è che una presa di posizione, per esempio, quella che il muro dovesse sparire, sia considerata sbagliata dalla sinistra solo perché sostenuta dalla destra. Penso che un buon 80% delle idee della sinistra siano una reazione a quelle della destra e non siano, per ciò stesso, creative. Per quel che mi riguarda, ho smesso di dire che piove se il mio peggiore nemico, che è la Bild Zeitung, scrive che c'è una,,giornata di sole. Mi sono abituato ormai a guardare fuori dalla finestra per vedere coi miei occhi che tempo fa. Riguardo all'unificazione, anch'io ero tra quelli che erano sempre stati contrari. Essere contro l'unificazione, da sempre bandiera della destra, stava nel senso comune della sinistra: bisognava essere solo moderatamente patrioti, per paura della grande Germania, per i sensi di colpa verso il passato nazista. Il muro, si diceva, è la conseguenza storica del fascismo, dobbiamo sopportarlo, è la nostra punizione. E questo lo pensava la sinistra, i ver~ di, gli intellettuali, Gi.inther Grass, tutti. Almeno fino alla caduta del muro, ma anche dopo. E non ci accorgevamo neanche che il muro era stata la conseguenza non già dell 'hitlerismo, ma della guerra fredda, della rissa tra gli alleati .. Io ho cominciato a pormi delle domande dopo che ebbi una disputa, che ho anche descritto in un saggio, con Monica Maron, una mia amica scrittrice di Berlino Est, che, nettamente favorevole ali 'unificazione, era del tutto incapace di comprendere come io potessi essere contro. "Voi volete -mi disse- perpetuare solamente un privilegio, perché quelli che hanno sofferto di questa divisione sono stati solo i tedeschi dell'Est. Voi avete avuto la fortuna di avere un grande benessere, di godere di una ricchezza enorme". Ali' improvviso mi sono accorto che quelli che facevano un discorso moralistico di fatto difendevano solo un privilegio: avevamo lasciato la sofferenza e gli svantaggi agli altri. E tant'è: noi tedeschi dell'Ovest stavamo molto meglio prima dell'unificazione che adesso. Ma né Grass né i verdi hanno capito la verità di questo ragionamento. Grass mi ha detto addirittura, una volta, che lui non ha mai sbagliato, che si fida del suo intuito. "Se fosse v.ero -gli ho detto- non avresti impiµ:ato mai nulla, perché è dagli errori che si impara". E così, ora, loro non potendo più essere contrari all'unificazione -sarebbe molto difficile da sostenere- si attestano su una critica dei modi e dei tempi con cui è avvenuta. E naturalmente è vero che molte cose sono state fatte male, ma altre sono state fatte bene e comunque le loro critiche sembrano nascere ancora dal bisogno di giustificare se stessi, di apparire coerenti con le posizioni passate. Sono poco attendibili, perché non hanno gli occhi limpidi, perché non può essere osservatore obiettivo chi è preoccupato di confermare le proprie ipotesi. Ma affrontare gli errori non è un fatto religioso, una specie di pentimento, l'ammonimento di un dio che intima di confessare un peccato. Devi fare questo confronto solo per pulire le tue idee, i tuoi occhi. siamo stati fortunati a non aver preso il potere Una cosa invece che mi ha sempre fatto molto piacere, e consolato anche, è che ci sono persone che conosco da treni' anni, Daniel Cohn Bendit, Adriano Sofri, Freimut Duve ad Amburgo, Christian Semler, Thomas Schmidt, e un altro era Alex Langer, con le quali in momenti cruciali, come quando è caduto il muro o quando Saddam Hussein ha lanciato i missili su Israele o, ancora, quando è esplosa la cosiddetta guerra civile nell'exJugoslavia -e sappiamo bene che non era guerra civile- senza che ci fosse bisogno di sentirci, ci siamo trovati in sintonia, sulle stesse posizioni, "dalla stessa parte della barricata". Perché? Perché, credo ci sia una spinta, un piccolo motore morale, non ideologico, che ci ha guidato a prendere posizioni comuni. E questo non dipende tanto dall'esperienza di forte politicizzazione fatta allora, nel '68 e dopo, perché questa ha riguardato tanti altri e non sempre è stata un bene. Mauro Rostagno disse una volta: "Fortunati noi che non abbiamo mai avuto la chance di arrivare al potere, perché sarebbe stato un casino tremendo". Credo che questa sensibilità comune, questa sintonia che dura nel tempo, dipenda piuttosto dal fallo che queste persone, dopo l'esperienza politica, hanno cercato di capire perché tanti di questi concetti non andavano bene, hanno portato avanti una critica e un'autocritica, hanno accettato la fine della certezza. Il riconoscimento degli sbagli e degli errori è la condizione necessaria per qualsiasi maturazione. Molti altri, invece, non si sono preoccupati di riconsiderare le cose che avevano detto in passato, si sono adagiati sempre su nuove possibili posizioni. Non si sono mai chiesti cos'è che non ha funzionato, che ne è stato della rivoluzione culturale cinese, si sono appassionati rapidamente ad altre situazioni, che so, a Cuba o al Nicaragua. E così anche dopo il crollo del muro molti non si sono chiesti se era giusto o sbagliato essere stati categoricamente contro lari unificazione, ma hanno preferito passare ad altro. Tutto ciò non è stato facilitato anche da una debolezza del dissenso nella Germania dell'Est? Questo è un fenomeno interessante ed anche inquietante che, con I'eccezione forse della Bulgaria e della Romania, non ha toccato nel la stessa maniera gli altri paesi dell'Est. La maggioranza degli intellettuali degli altri paesi comunisti, soprattutto dopo l'invasione di Praga, non credeva più alla riformabilità del socialismo. Ognuno trovava una propria strada per sopravvivere, facendo quel che poteva fare, ma sempre con una critica radicale, mettendo in dubbio il fondamento di quella specie di socialismo. Chiedevano elezioni libere, pluralità di partiti, anche non socialisti, democrazia. In Germania Orientale sono stati pochi gli intellettuali che sono andati oltre una critica puramente immanente al sistema. Quelli fra i dissidenti che erano rimasti, da Christa Wolf a Heiner Mi.iller, da Volker Braun aGotz Aly, si limitavano a chiedere una riforma dall'interno, ma consideravano reazionario chi diceva di essere contro il socialismo, fino al punto da non voler aver più niente a che fare con lui. Quindi le loro critiche erano sempre molto sopportabili dal sistema. Perché questo? Perché gli intellettuali tedeschi, pur dissentendo dal governo, erano così fedeli, così leali, in modo anche mostruoso, al progetto socialista? Ho solo una spiegazione, onorevole anche, ma molto triste: il legame con l'antifascismo storico era così forte che il socialismo reale, del quale pure vedevano idifetti, appariva loro sempre meglio di quella società borghese che consideravano una prosecuzione del fascismo. Una spiegazione molto triste perché dimostra che lì la libertà era sempre un valore secondario, che c'era sempre qualcosa di più importante della libertà: il progetto, questa strada difficile, ma eroica, tipicamente e appassionatamente tedesca. Ecco, credo che avessero sviluppato quella lealtà mostruosa partendo dalla lotta antifascista. La conseguenza è che i tedeschi orientali, dal '33 all '89, non hanno avuto un giorno di democrazia. E' un lungo tempo che, credo, abbia marcato lo spirito, non solo della gente comune, ma anche degli intellettuali. Anzi, a volte penso che un taxista o un poliziotto possano meglio arrangiarsi con questa nuova democrazia, perché per loro non si rompe il mondo se dicono: "Ho sbagliato, qualcosa non ho capito bene, questi che ci hanno governato non erano la migliore uva del bigoncio". Per un uomo comune tirare questa conclusione senza drammi è possibile, per un intellettuale no. Allora, di nuovo, abbiamo intellettuali che continuano a dire di essere vittime del colonialismo, dell'imperialismo, eccetera eccetera. Il dibattito, cioè, è molto condizionato dall 'autoprotezione, ma, lo ripeto, quando il primo riflesso del pensiero è quello di autodifendersi, non c'è pensiero né dibattito. Va anche considerato che in Germania Orientale con la Stasi era stato instaurato un sistema poliziesco senza paragoni con gli altri paesi dell'Est ... Infatti. Prima di tutto il numero che è molto importante: ora sappiamo che erano I00 mila gli impiegati fissi del servizio e che altri 100 mila erano informatori fissi, anche loro pagati. Poi sappiamo che su dieci milioni di abitanti almeno uno, se non due milioni, una o più volte nella vita, ha collaborato con i servizi segreti. Sappiamo che più di un adulto su due era schedato, che avevano compi lato 6mi Iioni di dossier, alcuni dei quali di I O mila pagine. Sono cifre impressionanti, ma che, Campagna abbonamenti 1996 - 1 abbonamento con il libro La scelta della convivenza di Alexander Langer lire 40.000 - 3 abbonamenti con un libro a scelta tra quelli elencati a fianco lire 100.000 Modalità di pagamento: Cc. postale n.12405478 - Coop. Una Città a r.l., p.za Dante 21, 47100 Forlì. Oppure bonifico bancario sul Cc. n. 24845/13 - Coop. Una Città a r.l. presso la Cassa dei Risparmi di Forlì, Sede centrale, Forlì, cod. ABI 601 O, cod. CAB 13200. Abbonamento estero: 600001ire. Una copia 5000 lire. Si inviano copie saggio. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì -Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. ■ - Andrea Caffi Crilica della violenza. edizioni e/o - Aldo Cucchi, Valdo Magnani Crisi di 11110 generazione. edizioni e/o - Don Lorenzo Milani La ricreazione. edizioni e/o - Elisabetta Donini Conversazioni con Evelyn Fox Keller - una scienziara anomala. editrice Elèuthera - David Cayley Conversazioni con Ivan 11/ich - un profe1a conrro la modernirà. editrice Elèuthera - Cristina Valenti Conversazioni con Judirh Malina - /'arre, /'anarchia. il Living 1hearre. editrice Elèuthera paradossalmente, indicano anche che ci sono stati molti che non hanno collaborato, che la collaborazione non era una specie di destino tedesco. E lo vediamo anche dai dossier: non ci sono solo gli informatori, ma anche quelli che hanno resistito a tutte le pressioni del servizio segreto, che non hanno collaborato nel denunciare il vicino, il collega. Non c'è dubbio, comunque, che il servizio segreto tedesco orientale è stato una cosa unica nélla storia umana. Non credo che ci sia un altro esempio di un piccolo potere come quello della Rdt che abbia costruito un servizio segreto così mostruoso. Solo uno come Borges avrebbe potuto immaginare, e descrivere, questa mappa segreta della psiche di un popolo. La cosa assurda, poi, è che se hai un servizio segreto così grande e mostruoso, non hai più le persone in grado di leggere tutti questi fascicoli. Infatti, non sono stati in grado di prevedere il cambiamento della storia, il crollo del comunismo. Hanno cercato alla fine di inserirsi nellemanifestazioni, di guidare loro stessi il dissenso, per controllarlo, anche lì erano molto attivi. C'è un libro molto bello su questo, molto riuscito, di Wolfgang Hilbig, intitolato lch, "lo", ed è la storia di un agente del servizio segreto, scrittore di fama, che deve sorvegliare uno scrittore. E' una bellissima storia che spero sia tradotta presto in italiano. più di un adulto su due era schedato Comunque, erano ovunque, questo è certo, ma inutilmente. Essere dove due o più persone si sarebbero riunite era il loro imperativo. Se si riuniva un gruppo di I O dissidenti si poteva essere assolutamente certi che almeno cinque di loro erano legati al servizio, a volte anche di più. Infine va detto che la Stasi era molta diversa dai servizi segreti degli altri paesi comunisti, non solo per le dimensioni, ma anche la qua1ità del servizio. Tanti amici mi hanno raccontato che se ti ribellavi in Ungheria, in Polonia, in Cecoslovacchia trovavi uno del servizio che ti chiedeva di scambiare un favore per metterci una pietra sopra. E' stata una cosa più all 'italiana, un dare e un avere, ed è per questo che loro non hanno sentito il bisogno di riaprire tutto il passato: c'era stata questo bilanciamento, unito anche, senza dubbio, a un certo cinismo. Sei d'accordo sulla pubblicazione dei dossier? Io non sono d'accordo sull'uso che si fa dei dossier. I giornali si gettano su persone che sono state dei piccoli collaboratori, come Heiner Mi.illereChrista Wolf, perché sono famosi, perché sono storie vendibili. Invece tutti gli alti ufficiali che sono stati i mandanti di questo sistema sono fuori discussione. Si fanno vedere in televisione e nessuno li mette di fronte alle loro responsabilità. Nonostante ciò, io sono contrario ali' orientamento, molto forte in Germania e di cui il maggiore sostenitore è proprio il cancelliere Helmuth Kohl, a chiudere completamente con questi dossier. Con quale argomento? Kohl dice: "Se io fossi cresciuto in Germania Est sarei stato un collaboratore e forse un informatore". Questo ragionamento per me è tremendo, è la stessa cosa che ci hanno sempre detto i nostri genitori dopo il nazismo: tu non puoi giudicare perché non sei stato presente. Anche Gi.inther Grass fa ora questo ragionamento, ed è strano perché lui è sempre stato una persona coraggiosa. Ma credo che anche in questo caso funzioni un riflesso condizionato dalla destra, immaginata, per di più a torto, favorevole ali' apertura dei dossier. Ora, io non voglio mandare in galera nessuno, dico anzi che noi dobbiamo essere modesti, non arroganti, che non possiamo dire né che siamo meglio di loro, né che siamo vaccinati contro certe cose, dopodiché, però, sostengo con forza che dobbiamo dare un giudizio. Io non posso dire come mi sarei comportato in una dittatura come quella della Ddr, ma sostengo che se mi fossi comportato come un maiale si dovrebbe dirlo. Perché il problema è così importante? Perché una società che non dà giudizi non ha valori. Dire: "Io non so come mi sarei comportato" significa rivendicare un diritto umano alla collaborazione. E' come se volessimo crearci I' assicurazione di aver la possibilità di tutte le scelte trovandoci in futuro in una situazione analoga. Questo relativismo morale io lo trovo molto pericoloso. E in questa affermazione di non voler giudicare, c'è una continuità, dal dopoguerra ad oggi, che riguarda anche la Germania Occidentale. Ho fatto una ricerca per il New York Times su cosa significa l'Olocausto per i giovani d'oggi. Da una parte ho appreso con entusiasmo che i giovani sanno molto di più di quel passato di quanto ne sapessimo noi alla loro età. Ho scoperto che hanno un' enorme curiosità, che non hanno paura di fare domande, che vogliono sapere tutto, che vogliono capire come è stato possibile, come è stato organizzato anche tecnicamente. Questo l'ho trovato molto impressionante e molto positivo, ma la cosa grave è che loro hanno imparato dai loro nonni, come io dai miei genitori, che non devono dare un giudizio. E non è un caso che i giovani sappiano così poco di quei tedeschi che ebbero il coraggio di aiutare i perseguitati. Nessuno sa che a Berlino, per esempio, 1500 ebrei sopravvissero con l'aiuto di almeno 7 mila berlinesi. Quando li ho messi di fronte a un episodio che conoscevo e che, ora lo dico in breve, vedeva da una parte un soldato tedesco che spara a un ebreo che in ginocchio implora di essere salvato, e dall'altra una donna che poco prima aveva dato da bere a questa vittima, alla domanda su come giudicare, su cosa fare con questi due personaggi, mi hanno risposto che dobbiamo capire tutti e due i comportamenti. "Ma c'è da una parte un assassino e dall'altra una samaritana. Possiamo dare un giudizio o no?". "No -hanno risposto- non possiamo farlo perché non sappiamo come ci saremmo comportati in quella situazione". Questo l'ho trovato molto grave. Viviamo in una società che non educa al giudizio tra il bene e il male. Fra i tedeschi, poi, questo assume un rilievo particolare perché la maggioranza della popolazione non ha fatto parte della resistenza. E quindi fa comodo pensare che non era possibile resistere. Affermare il contrario viene La testata UNA CITTA' è di proprietà della cooperativa UNA GITTA'. Presidente: Massimo Tesei. Consiglieri: Rosanna Ambrogetti, Paolo Bertozzi, Rodolfo Galeotti, Franco Melandri, Gianni Saporetti, Sulamit Schneider. Redazione: Rosanna Ambrogetti, Marco Bellini, Fausto Fabbri, Silvana Massetti, Massimo Tesei, Gianni Saporetti (coordinatore). Collaboratori: Loretta Amadori, Antonella Anedda, Giovanna Anceschi, Giorgio Bacchin, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Aldo Bonomi, Barbara Bovelacci, Massimo Casadei, Michele Colafato, Dolores David, Camillo de Piaz, Mirella Fanti, Kanita Fociak, Liana Gavelli, Marzio Malpezzi, Franco Melandri, Carla Melazzini, Maria Assunta Mini, Gabriele Minischetti, Morena Mordenti, Lejla Music, Simonetta Nardin, Linda Prati, Carlo Poletti, Edi Rabini, Stefano Ricci, Flavio Ronchi, don Sergio Sala, Sergio Sinigaglia, Sulamit Schneider, Senka Trolic. Interviste: A Peter Schneider: Edi Rabini e Gianni Saporetti. A Luigi Ferrajoli: Sergio Sinigaglia. A Giuseppe Biasco: Gabriele Minischetti. A Tonino Perna: Gabriele Minischetti. A Vittorio Foa: Marco Bellini, Simonetta Nardin e Sergio Sinigaglia. A Zajnap Gashaeva: Mirella Fanti. A Gianfranco Bellinzona: Marco Bellini. A Nonna Mayer: Marco Bellini. A Malika Boussouf: Maria Assunta Mini. A Lucio Pinkus: Marco Bellini. Disegno di Stefano Ricci. Foto di Fausto Fabbri. Pag. 4, di Gianni Fiorito. Pag. 9 di Mirella Fanti. Grafica: "Casa Walden". Fotoliti: Scriba. Questo numero è stato chiuso il 29 febbraio'96.

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