Una città - anno V - n. 45 - novembre 1995

i amici maturò la visione ~controfra cattolici e laici. ►reziosa con Felice Balbo. ►me lo furono alle origini. a padre Camillo de Piaz. rottura di questo equilibrio tra Chiesa e fede, di questa connessione, di questa religio. In questo ancoraggio risiede la chiave della libertà di cui Davide ha dato prova anche nei confronti della Chiesa, libertà che rimane inspiegabile senza un riferimento stretto. per quanto non senza una sua storia accidentata e sofferta (si tratta appunto di una storia, non di uno status), alla sua fedeltà e viceversa. L'una rimanda ali 'altra e lascio a chi voglia giudicare cosa si debba pensare di una fedeltà che inalberi il suo stendardo sulle rovine e sulla repressione della libertà altrui. Di un tale equilibrio tra libertà e fedeltà Davide, buon epigono in questo di tanti grandi spiriti del passato. è stato un esempio in questi nostri tempi, tanto più meritevole se si considera quale lotta ha dovuto sostenere contro la sua stessa natura. portata agli eccessi e alle estremizzazioni, contro il potenziale integrista che covava dentro di lui. Ci si provi a immaginare, anche alla luce di quanto è successo attorno alla sua morte. le folle accorse. le mille testimonianze, cosa ne sarebbe stato di lui e cieli' efficacia perdurante del suo messaggio. fuori dalla Chiesa: diventare un guru di null'altro al centro che di se stesso e della propria setta o una deriva integristica nel chiedere alla Chiesa troppo più di quello che può dare, erano pericoli appostati dietro l'angolo. E con ciò non voglio dire che non sia lecito incalzare la Chiesa e difendere gli spazi per una libera espressione della propria insoddisfazione, oltre che della pluralità dei carismi. Ma insisto e colgo l'occasione per rinnovare il mio monito a certi fans di Davide: stiano attenti a non rendergli ora un cattivo servizio, a non trasformarlo in qualcosa che in tutta la sua vita ha cercato di non essere. lottando anche contro se stesso. Fu proprio quello il suo cilicio. Quanto l'appartenenza a unordine come il vostro lo aiutò in questa lotta? Tramite di questa libertà nella fedeltà è stato certamente l'ordine di appartenenza. dei Servi di Santa Maria. C'era. a mio avviso. una consonanza profonda col genius o gene proprio del l'ordine, che spiega molto di ciò che Davide è stato. Quel mirabile equilibrio e giusta tensione fra appartenenza e libertà, o quel volto materno di Dio riflesso nella Vergine, o quello stare accanto a lei ai piedi delle infinite croci (cito dalla costituzione dell'ordine), o quel filone laicale mai del tulio sopito, nonostante i ripetuti e tuttora incombenti tentativi di clericalizzazione o di omologazione in un tulio indistinto dei vari modelli di aggregazione religiosa. 11 pensiero va di nuovo a fra· Paolo Sarpi, alleato dei miei Grigioni nella lotta della prima metà del '600. o al suo discepolocollaboratore, continuatore, nonché biografo fra· Fulgenzio icanzio, la cui corrispondenza con lord Cavendish. segretario di Thomas Hobbes. è giunta fino a noi dopo essere passata per le mani dello stesso Hobbes, uno dei padri della modernità, quello cieli' homo !tomini lupus, a cui qualche bello spirito di sacrestia diede un seguitoche suona così: "Homo homini lupus. femina feminae lupior, clericus clerico lupissimus". O ancora pensiamo alla prima delegazione servita al Concilio di Trento, restia alla rottura col mondo protestante. Un genius che lo accomuna, nell'origine, alle più grandi fraterie coeve, le "fraternità democratiche" della prima metà del 1200, un genius in questo momento sottoposto a rischio: ne abbiamo parlato molto e ce ne siamo molto preoccupati negli ultimi anni, Davide e io. Voglio infine accennare anche a un altro tipo cli congenialità con l'ordine, che riguarda quella che è stata chiamata la 1·ia pulcltritudinis. la via della bellezza. Il nostro ordine è ricco oltre che di ascendenze artistiche, di voci poetiche. memore in questo della sua filiazione dai laudesi dugenteschi, parenti prossimi della prima letteratura italiana. E' un ordine che canta. poesia religiosa e, come no, poesia amorosa. Ma non era così al tempo delle origini, quando I·una e l'altra fiorivano dal le stesse penne o dalle stesse cetre? In seguito. ma non sto qui a indagarne le ragioni, questo felice connubio si è tramutato in divorzio: noi siamo figli di una tradizione, ma anche di una cesura della stessa. Lei prima accennava alla sua speranza e convinzione che i conventi ritornino a vivere una loro fioritura ... La spinta verso un nuovo monachesimo, di cui si avvertono gli echi e si intravedono gli stentati albori. potrebbe trovare proprio qui il senso di una propria rinascente missione storica: un monachesimo che niente vieta possa realizzarsi anche all'interno del vivere comune, oltre che naturalmente in forme proprie, nuove o antiche o antiche e nuove nello stesso tempo. E' un campo nel quale io penso che il futuro prossimo ci riservi molte sorprese. Già l'oggi non è privo di indicazioni e di segnali al riguardo, basta non lasciarsi frastornare o "totalizzare" da chi fa più notizia o più chiasso e saper guardare e ascoltare. filiazioni, da matrici bibliche, da lombi evangelici. Si capisce che le filiazioni possono anche degenerare: oggi lo tocchiamo con mano soprattullo e appunto neI·campo delicato del rapporto con la natura e con il sovrapporsi di ciò che l'uomo produce, oltre che sulla natura, sull'uomo stesso. Basti solo pensare alla spirale degli armamenti, che è il fatto più clamoroso e dimostrativo, non però isolabile da tutto il resto, vita quotidiana compresa: sia dello questo all'indirizzo di certi pacifisti troppo innocenti. Ultimamente ho partecipato a un convegno su Paolo Sarpi che, lo sapete. fu il servita che difese la sovranità della repubblica veneta contro le pretese cli Paolo V Borghese, andando incontro, oltre che alla scomunica, al tentativo sventato per un soffio, ma che lo lasciò segnato, di toglierlo di mezzo mediante l'opera di sicari prezzolati. Ainosco stilum romanae Curiae e sti/11111, nell'icastico linguaggio sarpiano, sta tanto per stile quanto per stilo, pugnale. Seguendo questo appassionante convegno, ho avuto modo di ribadirn1i in alcune mie sconfortanti convinzioni circa l'incapacità in cui versa la cultura laica italiana di penetrare e capire la vera natura e le ragioni di certi fenomeni e movimenti interni al mondo religioso. Sembra quasi che un certo laicismo e un certo clericalismo marcino affiancati, si sostengano e alimentino a vicenda. somigliandosi come gemelli. E che la verità storica passi poi nel mezzo e vada per la sua strada, lasciando i due a sbertucciarsi tra loro senza fine e senza frutto. ma non senza danno e ritardi per tutti. Ogni volta che si accendeva, e succedeva spesso, la disputa, antica quanto il Sarpi stesso, sull'ortodossia o meno dell'autore della Storia del Concilio tridentino, ecco immancabilmente i laici presenti al convegno farsi paladini di una concezione strella e astorica della stessa e i religiosi invece di una larga, mossa, variegata, storicizzata. A nulla valeva il fatto che i secondi conoscessero più intimamente dei primi il retroterra culturale dal quale fra Paolo proveniva e al quale non cessò di appartenere fino all'ultimo respiro, anche per via di un vissuto tullora perdurante e attivo,con testo di regole, istituti, strutture, pratiche, comportamenti interni al mondo conventuale (per fare solo un esempio: la elettività e assoluta revocabilità di ogni mandato, attestante una tradizione agerarchica, se vogliamo democratica, o meglio ancora adelphocratica); a nulla valeva che i conventi dei Servi, al pari, s'intende, di quelli degli altri ordini fratelli, fossero in quei secoli e tornino ad esserlo ora, luoghi deputati e aperti alla più varia e vasta ospitalità e sperimentazione culturale, non soltanto in campo teologico, ma in ogni altro campo, da quello filosofico a quello delle scienze naturali e fisiche (decisivo l'influsso del Sarpi su Galileo e il suo contributo alla costruzione del famoso cannocchiale, che portò alla scoperta dei satelliti di Giove e il cui primo puntamento ebbe luogo nel convento dei Servi a Venezia); a nulla valeva che alle dottrine sociali e politiche per il nuovo corso il Sarpi abbia dato un contributo di importanza analoga a quella di Galileo per la fisica; tutto ciò li lasciava interdetti come di fronte a una realtà che non par vera tanto i loro schemi sono inaclalli a comprenderla. Su questo paradosso di una cultura che si presenta, proprio perché laica. con tutti i crismi e tulle le bandiere al vento della massima opzionalità e libe11à, e si rivela poi all'atto pratico irretita in pregiudizi, nel senso esatto etimologico del tern1ine. tanto più difficili da smantellare e smascherare. quanto più se ne ritiene e dichiara aliena per principio, non finirò mai di ritornare. Anche e soprallullo in riferimento ai casi dei nostri giorni. Lei ha scritto che l'ambiente chiama fortemente in causa una fede come quella cristiana, proiettata operosamente nel mondo e nella storia. Ce ne può parlare? La fede cristiana è non solo storicamente. ma costitutivamente impegnata col mondo e in esso implicata. Per essa il mondo non può essere ·'pura parvenza", tanto meno negatività. Allora. che la parte sviluppata cieli'umanità (con l'appendice del Giappone, che dal punto di vista del discorso che sto per sviluppare si pone come un problema di non facile, ma non impossibile spiegazione) coincida sostanzialmente con l'area delle società o civiltà che si sono tradizionalmente incontrate col cristianesimo e che su tale incontro si sono forniate, pur tra aspre. ma in definitiva interne conlracldizioni, non è casuale: l'idea della vita come "opera" e del mondo, lo si chiami natura o lo si chiami creato, come realtà affidata al l'uomo per essere lavorata e trasformata, e quindi del mondo come storia, viene giù per successive gemmazioni o Che fare allora? Si tratterà per noi di un equilibrio da ritrovare e ristabilire, di storture da raddrizzare, di deviazioni da ricondurre sulla strada maestra, non di un rinnegamento nichilistico o spiritualistico, non fa differenza, della stessa. Noi come cristiani non possiamo non farci carico di questa realtà, e delle connesse responsabilità comprensive di squilibri, storture, deviazioni. Esse ci appartengono in proprio, noi ne siamo i titolari e non può esserci consentito di sfuggirvi, approfillando del buio, della confusione e del panico provocati dalla crisi. Non possiamo sbarazzarci, non visti, di questo fardello dell'uomo bianco, altra volta trionfalmente oppure contritamente ostentato a proposito cieli' epopea colon iaie, magari Iungo iI tragitto di una qualche "svolta ad oriente", o spiritualistica, o attraverso l'escamotage dell'utopia, che comporta etimologicamente il concetto di un non luogo, di un altrove. Berlinguer fece esercizi la mattina, per scaldarsi Vogliamo renderci invisibili? Non farci trovare sul posto nel momento del rendiconto o cieli' assunzione di responsabilità? Oltretutto quel fardello, così fraudolentemente scaricato, cadrebbe inevitabilmente sulle spalle degli altri, già da noi coinvolti e in maniera irreversibile nella spirale dello sviluppo, (nonché delle sue crisi materiali ed ideologiche). Si tratta di renderci conto che attraverso questa spirale non passa qualcosa di neutro, passano le linee non solo di un potere e di un dominio di fatto, ma di un progello di dominio in fase di avanzata elaborazione con una precisa, per quanto flessibile, distribuzione di compiti e subappalti, un doppio dominio: il dominio imperialista degli uni sugli altri, se mi è pennesso usare ancora di un termine così poco postmoderno, e il dominio sull'uomo, sulla coscienza, sulla fantasia, sulla vita, che vengono trasformate, da beni in sé in funzioni dell'organizzazione sociale. Siamo a una specie di testa:,coda del presupposto biblico da cui lo stesso sviluppo ha preso origine: la trascendenza dell'uomo, il suo carattere di concreatore. Come uomo di fede credo più che nell 'utopia nella speranza: allora penso al ruolo dinamicizzante, rivoluzionario, liberatore, che potrebbe avere, in un tale contesto, una riscoperta della trascendenza non come transfert o doppione metafisico del mondo, ma come polo magnetico, come punto di rigenerazione e di continua, inesausta ripartenza di un approccio critico con la società, in quanto garanzia di valori per loro natura non direttamente o seccamente riducibili ad essa, alla società. Torniamo, per concludere, a due ricor- .di: i funerali di Pinelli e l'incontro con ~erlinguer ... Ai funerali di Pinelli ero l'unico prete · presente e c'ero andato apposta e apposta rimisi anche la tonaca che non portavo più da tempo. Ricordo che c'era molta polizia, anche attorno a me. Poi divenni amico del la mogi ie. del la mamma di Pinel Ii. del le figlie che adesso saranno grandi ... Io ero già quassù ma fino a qualche anno fa mi muovevo tra qui e Milano, andavo praticamente ogni settimana a Milano, adesso invece mi muovo molto meno, da quando ho avuto un incidente, sono stato preso sotto da una macchina, mi sono un po' chiuso in una specie di bunker ... Berlinguer lo incontrai in occasione della consegna di un premio che mi avevano dato. Ricordo di avergli detto: "Ma noi ci siamo già conosciuti?", e lui mi fa: "E come no, ricordo benissimo". Come ti ho già detto, io facevo parte del gruppo dirigente del Fronte della giovenfù, che. fra l'altro, aveva la sede in una stanza segreta del convento. Subito dopo la liberazione, forse una settimana dopo la liberazione, ricevemmo la visita di Berlinguer che veniva da Roma come responsabile della gioventù comunista. Ci sono anche delle fotografie dove appaio giovane e in tonaca accanto a un Berlinguer giovane, povero, vestito poveramente. Seppi poi che aveva dormito in un posto freddo e si era scaldato facendo esercizi fisici ... Era un premio per la Resistenza e la fedeltà democratica, non mi ricordo più ... - Nella foto: Bordighera. 1950, padre Camilla De Piaz con padre Davide Turoldo. UNA CITTA' 9

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