tativo è di fare incontrare questi mondi e farli lavorare su un obiettivocomune. Non sempre funziona maquando accade sentiamo un pizzico di orgoglio. Non tanti in Italia riescono in questo. Rispetto al mercato vi accontentate di coprire una nicchia, quella alternativa, se così si può dire, o avete anche altre ambizioni? Heinrich. Io credo di sì, che noi dovremmo tentare di diventare grandi. Con la nostra umanità, salvaguardando i nostri principi i. però credo che dobbiamo farlo. Del resto questo è uno dei temi che in cooperativa non si smelle di dibattere, e secondo me questa è anche unagaranzia: unconfronto dialellico e anche critico vuol dire partecipazione e controllo. Da una parte la spinta ad essere ambiziosi ci viene dai nostri partner, verso i quali ci siamo assunti una responsabilità. Unesempio: sul caffè abbiamo raggiunto quasi lo O, I% del mercato italiano a condizioni eque. che è già un buonissimo risultato, ma di produllori che potrebbero lavorare con noi ce ne sono molti altri, casomai costrelli a vendere al piccolo cachicco di paese che li strangola. Che facciamo? Rimangono fuori o vogliamo fare qualcosa per loro? E di nuovo la discussione è su cosa siamo noi: se siamo noi il fine, se dobbiamo guardare soltanto al bene della nostra cooperativa o se invece siamo un "mezzo per". La nostra risposta è che noi siamo un mezzo. Da qui, anche, la nostra ambizione di crescere. del ollosviluppo che ne individuava una delle cause principali, non l'unica intendiamoci, proprio nei rapporti commerciali iniqui e così. da quei primi contalli, il movimento si è sviluppato a macchia d"olio in tutta 1·Europa del nord. Alla fine degli anni '70. poi, si parlava moltissimo di sviluppo del sud del mondo. anche sull'onda del '68. Ma anche nelle chiese, soprallullo in Germania e inOlanda, si sviluppava una rinessionc su possibiIi modalità diverse da dare alla cooperazione. Nascono inquegli anni l'idea del l'adozione a distanza, lecampagne per sostituire lajuta alla piastica, ecc. In Italia c'erano esperienze sporadiche e isolate: la bottega di Bressanone che a settembre festeggia 15 anni, la prima in tulla Italia, alcuni gruppi nella Valtellina che hanno avuto la stessa idea nel loro piccolo, altri gruppi nel Veneto e in Lombardia. Ognuno si muoveva isolatamente, ma tutti aspiravano a fare commercio direttamente col produttore. Poi laspinta decisiva è venuta dalla bottega di Bolzano, nata I O anni fa, per iniziativa di Rudi Dalvai, che, andando a rifornirsi in Austria e in Germania, ha visto che lì funzionava un'organizzazione a livello nazionale e ha pensato di fare una cosa del genere anche in Italia. lo allora facevo l'obiettore, ci conoscevamo dall'università, studiavo ancora e mi ha proposto questa cosa. Non sapevo bene dove saremmo andati a finire, cosa fosse, forse questo è stato un vantaggio perché se lo avessi saputo certamente avrei detto di no. Insomma. Dall'altra parte verifichiamo continuamente che c'è in Italia un bacino di utenza potenziale molto ampio che è interessato a questo nuovo tipo di commercio. E siamo noi. con la nostra alluale realtà di vendita, che non riusciamo a raggiungeera un po· un tuffo nell'acqua geli- w re tutti. Questo vuol dire per voi riuscire ad entrare nella grande distribuzione? da, ti lanci e... Poi ne11'88siamo riusciti a riunire attorno a un tavolo tutti i gruppi isolati, gruppi dalle storie diverse, di estrazione diversa, abbiamo fatto riunioni su riunioni in un monastero sopra Rovaio, in provincia di Brescia, e alla fine insieme siamo riusciti a mellere su questo progetto della Cooperativa Ctm. Quello è stato il voltapaginadecisivo. E il primo periodo per me è stato duro. ma anche di forte crescita personale, di learHeinrich. A monte c'è una grande richiesta, a valle c'è una disponibilità, come entrare nel grande mercato senza sporcarsi le mani è il problema. Ci sono delle possibilità. Se noi riusciamo a determinare un minimo di regole, allraverso una politicadi marchio di garanzia, possiamo conquistare anche operatori 11i11g by doi11g, è faticoso, ma è ne è stata di nuovo la concretezza: quello che ti dà di più. non era un vago invito a "metterli Dall'88 non sono passati tanti nel sociale". Tu ti ritrovi una bollecommerciali normali. Esiste già un marchio di garanzia a livello internazionale, si chiama Transfair, che non fa commercio. non è un operatore commerciale che compra e vende, ma stabilisce le regole. Stabilisce prima di tutto chi sono i produttori, tiene un registro di produttori '·doc'' con un severo monitoraggio annuale. D'altra parte si stabiliscono le regole di rapporto commerciale. il prezzo per prodotto. i tempi dei pagamenti e la durata del rapporto. Dopodiché, promuovendo il marchio e creando attenzione nell'opinione pubblica, si può creare un potenziale mercato che può allettare r operatore commerciale allento alle novità. Il marchio Tran.sfair è partito in anni, quindi la cooperativa ha conosciuto uno sviluppo straordinario. Heinrich. L'anno scorso ci hanno chiamatoper un interventoalla Bocconi e quando abbiamo fornito i dati i professori sono rimasti impressionati. Nell'88 il fatturatoCtm era di 220 milioni all'ingrosso. nel ·94 era di 9 miliardi e 600 milioni. E le prospettive, le potenzialità, stando ad alcune ricerche di mercatoche abbiamo fallo. sono straordinarie. E voi come vi siete finanziati? Heinrich. Appena costituita nell'88 la Ctm. ci siamo resi conto che eravamo pochi. non avevamo soldi. non avevamo agganci, non avevamo garanzie da dare a una banca. Avevamo soltanto una buona idea Olanda nell'88-89, e sta già funzio- e tanta buona volontà. Allora ci nando abbastanza bene. In Olanda siamo guardati un po' intorno. hanno raggiunto quasi il 4% della quota di mercato del caffè, in Svizzera hanno raggiunto il 3-4% del mercato nazionale, in Germania, che è il secondo mercato mondiale del caffè al consumo, ha raggiunto se passa il cioccolato fatto con la colza ... oltre l' I%. In Italia abbiamo costi- Esistevano già le cosiddette Mag. tuito l'associazione Transfair-lta- Cooperative di mu1ua au10ges1iolia nel '94, e in novembre dovreb- ne.che avevano avuto l'ideadi sfrutbero essere lanciati i primi prodolli tare r istituto del risparmio soci, a marchio Tra11.1fair. Non soloCtm, previsto dalla legge sulle cooperaanche di altri. tive. Chi fa parte della cooperativa, Come vi è venuta l'idea, l'impul- può prestarle soldi, che poi vengoso iniziale? no remunerati. e che, se anche non Heinrich. L'idea del commercio servono alla cooperativa stessa, equo-solidale nasce in Olanda, ne- possono essere messi in circuito gli anni '60. Probabilmente è nata lì per finanziare altre cooperative. La perché gli olande~i hanno grandi prima Mag era nata a Verona, alla tradizioni commerciali. C'è un fine degli anni '70, a livello locale aspetto anche culturale-storico: c'è e ha finanziato il filone biologico. il mare, sono stati ~emprc naviga- il filone produzione, il filone solitori, la presenza di un calvinismo darietà ~ocialc. Così abbiamo penmolto pratico, pragmatico ha certa- sato: facciamo la ~tc~sa cosa, ma mente contato. Tutti questi fallori non sul piano locale e su più filoni, hanno prodotto un approccio più ma sul piano nazionale e su un concreto alla cooperazione allo filone solo: il commercio equo. E sviluppo. questa cosa ha funzionato. AbbiaE' nato un po' così alla buona, con mo raggiunto quasi tremila soci. un contatto con alcuni produttori, raccogliendo qua~i 14 miliardi di questi avevano dei prodotti da ven- depo-,iti, con un capitale sociale di dere e hanno iniziato a importare. un miliardo. Bn eguitoosveCaan<31 nooa. ]jradnCòoga. un pacchello di caffè e dici: '·J miei soldi sono serviti a questo... Il filo è direuo, il canale è unico, in questo modo laCtm Mag è riuscita a finanziare i produllori della Ctm fino ad oggi. Altrimenti la Ctm sarebbe morta prima di nascere, perché con il sistema creditizio che abbiamo non sarebbe stato possibile. li risparmiatore che un tantinello aveva annusato l'idea e che diceva: "Mah, certo vedere i miei soldi investiti in Sudafrica. investiti in armi, piacere non mi fa", ha accettato volentieri la nostra proposta così concreta. secondo me le altre Mag non hanno avuto la stessa fortuna a causa della genericità nell'invito alla raccolta dei risparmi. Hei11rich. Quando la Mag di Verona ha lanciato la raccolta per la vecchia cascina abbandonata occupata da personeespulse daIle fabbriche negli anni settanta ha raccolto parecchi fondi. La gente sapeva. vedeva come venivano investiti i suoi soldi. Ora che abbiamo visto che l'esperienza ha avuto un grande uccesso. la cosa si è estesa a tante altre cooperative che hanno seguito il nostro esempio. Adesso si è forse creata l'esigenza di una Banca Etica che sta entrando in una fase operativa. Questo lavoro lo si potrà far valere anche politicamente, in sede europea per esempio ... Heinrich. Questo è un aspetto molto importante. li lavoro di /obbyi11g, il lavoro di pressione, sta diventando una priorità se vogliamo che i piccoli produllori del sud del mondo abbiano qualche voce in capitolo nella Ccc. Sicuramente il primo risultato è la risoluzione del Parlamento europeo, la risoluzione Langcr del '93, e da qui adesso parte tutta una serie di possibili iniziative anche a livello di commissione, non solo cli Parlamento. Certo, è un lavoro molto lungo e molto faticoso perché qui ti scontri con intcres~i molto grossi. Facciamo un e~cmpio concreto, ma tampante: quello del cacao. Visto che adesso esiste un mercato comunitario le normative dei singoli paesi devono essere uniformate. Ora nel caso del cacao, attorno cui ruotano grosse industrie di cioccolata, la normativa britannica dava la possibilità di fare la cioccolata anche con olio non di burro di cacao. ma con la colza, per esempio, o con olio di palma. grassi, cioè, che non hanno caratteristiche organolettiche così alte come il burro di cacao, e costano molto meno. I britannici chiaramente facevano pressione sulla commissione europea affinché queste normative venissero adottate da tutta la Comunità Europea. Altre industrie di cacao erano molto incerte su questo: la Ferrere sembrava contraria, poi sembra che abbia cambiato idea. Sai cosa significa questo per i produuori? Se la Cec, che è il più grande mercato a livello mondiale, da un momento all'altro riduce il suo consumo di burro di cacao perché introduce altri grassi, i produttori di cacao della Costa d'Avorio dall'oggi al domani sono rovinati. Ma voi riuscite a misurare l'impatto che producete? E' significativo? Heinrich. Come possiamo misurare la nostra allività? Intanto qui: attualmente nel circuito del commercio equo ci sono circa 80 operatori. 80 posti di lavoro creati dal nulla, centinaia, se non decine di migliaia. di volontari che prestano un'ora. una giornata, un pomeriggio al commercio equo. Cos'è poi che abbiamo portato in là? Tulla questa mole di lavoro che cosa ha proclolloalla fine? Un dato significativo è il valore merce che abbiamo importato: nel '94 5 miliardi e 200 milioni cli lire in prodotti a condizioni eque direttamente dai produttori. Con questo acquisto abbiamo sostenuto oltre I00 gruppi di produllori in 34 paesi con decine di migliaia di persone coinvolte. A parità di investimento quale potrà essere l'impatto della cooperazione governati va, senza tener conto che quei soldi sono nostre tasse? ••,p.~:,,,J;•"'!'X,.,,,,.,.•,N • . ~ ·•. ' ... ,. -.-.· ' Adesso non vorrei sparare una sciocchezza. ma penso di poter dire tranquillamente che per avere un impatto analogo al nostro ci vogliono almeno 20 se non 30 volte la nostra cifra. Questo va anche in un senso di sviluppo, cosa che la cooperazione non sempre è riuscita a fare... Nicole11a. All'inizio io ero in una Ong e ricordo che il commercio equo veniva visto dall'alto in basso: "Questi cosa fanno? Non sanno fare nulla, non fanno cooperazione internazionale'·. Viceversa il commercio equo è nato anche come critica alla cooperazione internazionale governativa e in parte a quella delle Ong. In Italia le Ong sono finanziate al 99% dal Ministero affari esteri, noi invece. di quello che riusciamo a fare rendiamo conto al nostro consiglio d'amministrazione, non dobbiamo ringraziare nessuno. 100 gruppi di produttori in 34 paesi E questo non è poco oggi. Se poi non facciamo cooperazione in senso strello, non facciamo progetti di sviluppo. non andiamo neanche ad inventare bisogni dove non ce ne sono. Noi incontriamo chi già si è dato da fare da solo, chi già si è cercato un mercato, chi già sta cercando di tirare su la testa, e quindi il nostro intcvento arriva quando c'è una richiesta. Allora abbiamo qualcosa da offrire a loro. Alla fine cosa è meglio? Comunque, va detto che in realtà oggi le cose sono molto cambiate, sia per noi che per la cooperazione e da entrambe le parti c'è di nuovo uno spirito di collaborazione molto forte. Hei11rich. Per concludere vorrei sollolineare che la nostra sfida è collegare due cose: da una parte l'economia, l'efficienza, I' azienda; dall'altra i valori. L'obicllivo non è massimizzare il profillo, ma portare al centro della realtà economica l'uomo. L'economia non "appartiene agli Agnelli" e noi non siamo sgltanto gli ultimi utenti che non hanno niente da dire. Noi siamo dentro fino in fondoall'economia, siamo parte del processo economico, cerchiamo di riprenderci almeno questa nostra piccola parte, non solo alla fine del mese, o attraverso le rivendicazioni sindacali. Abbiamo anche altrecarte da giocare. Io, almeno, ritengo che ne abbiamo tante. Ilpotere d' acquisto è una di queste e non è cosa da poco. Cosa deve fare un singolo cittadino o un gruppo per avvicinarvi? Heinrich. Può fare diverse cose: può chiedere ulteriori informazioni sul nostro operato, e, se possibile, noi possiamo mandargli tutto il materiale. Chi vuole andare oltre e non vuole soltanto fermarsi a conoscerci un po· di più, ma vorrebbe anche impegnarsi per una, due ore alla sellimana, può contattare le botteghe locali per vedere di collaborare alle iniziative culturali, ali' organizzazione del punto vendita, allecampagne. La prima cosa che potrebbe fare è quel la di contattare, dove c'è, nella sua città, la bottega più vicina. Se non c'è una bottega nella sua città allora potrebbe pensare con un gruppo di amici di studiare la possibilità di aprirne una. E lì noi siamo a disposizione, possiamo dare una mano. Se uno poi, impegnato in centomila cose, è comunque interessato a fare qualcosa. allora noi abbiamo messo in piedi una campagna di capitalizzazione, di solloscrizione, se vogliamo, perché se crediamo in questa cosa, se vogliamo portarla avanti abbiamo bisogno di risorse per far crescere questo nuovo modello economico. Abbiamo lanciato una campagna che chiamiamo Capitali solidali, anche se la parola "capitale" sembra una parolaccia, però il capitale può fare anche bene, bisogna vedere come lo si usa. Diamo pure le indicazioni per chi fosse interessato. Nico/e11a. Per avere maggiori informazioni ilnostro telefonoè047 l975333, mentre quello della Ctm Mag è 049-651865. - UNA CITTA' 5
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