nante. Fra le tante descrizioni fatte dai contemporanei c·è quella di Emma Goldman, un'anarchica ebrea lituana emigrata in America, che nei primi anni del ·900 era stata per un anno a Vienna a studiare con Freud e che prima di tornare negli Stati Uniti passò da Londra. dove Kropotkin viveva alIora, per conoscerlo. Aquel I' epoca Kropotkin era già il personaggio più in vista del movimento anarchico internazionale, e a Londra viveva collaborando a vari giornali e pubblicazioni. Fra l'altro era commentatore, opinionista diremmo oggi, del Times ed era stato iI redattore di alcune voci, fra cui quella sull'anarchismo, per r Enciclopedia bri1a1111ica. Allora questa giovane ebrea arrivò a Londra preceduta solo da una lettera incui chiedeva di incontrarlo e si recò a casa sua. dove fu ricevuta da un uomo di media statura, già oltre i sessant'anni, calvo, con una gran barba bianca e piccoli occhiali dietro cui si muovevano due vivissimi occhi azzurri, in abiti da lavoro, che la condusse in un piccolo laboratorio di falegnameria. Dopo essersi presentato, Piotr Kropotkin cominciò a conversare continuando a lavorare attorno ad una panca in costruzione. Questa passione per il lavoro manuale da parte di un uomo di origine nobile, intellettuale raffinato -fra l'altro amava moltissimo Dostoevskij e Tolstoj e su di loroaveva scritto un testo importante La le11erat11rraussa-. era un tratto caratteristico del personaggio: per mezza giornata il principe faceva il falegname -faceva i mobili per casa sua, per gli amici, per i gruppi anarchici di Londra- dopodiché scriveva, studiava o faceva conferenze. Kropotkin era uno che aveva bisogno del lavoro manuale. perché, come scrisse nell'opuscolo Lavoro 111a11uale lavoro i11tel/e11uale, pensava che le due cose non potessero essere distinte. L'abolizione della divisione fra lavoro manuale e intellettuale è uno dei temi classici del socialismo, ma Kropotkin non si interessa della questione solo a livello di grandi sistemi, la vede anche a livello quotidiano. Secondo lui. l'uomo che non sa usare le proprie mani, alla fine non sa usare nemmeno la propria testa, perché assume una rigidità mentale che lo porta ad elaborare grandi sistemi cui vuole obbligare l'umanità intera. Chi, invece, lavora solo con le mani senza sapere cosa significa il suo lavoro alla fine sarà sempre dipendente da chi decide di quel lavoro e. soprattutto, non potrà eseguirlo nel modo giusto. Questa concezione viva, dinamica. aperta del lavoro era certo una contraddizione di Kropotkin -se c'è stato uno che ha cercato di costruire un sistema teorico complessivo dell'anarchismo quello è stato proprio lui-, ma dà un po· anche il senso di un pensatore, che non amava il popolo solo da un punto di vista intellettuale, ma che parlava per ore di come fare una data cosa con falegnami, meccanici, fabbri. Rispetto alla sua presa di posizione nei confronti della Grande Guerra ci fu molto scalpore nel mondo anarchico ... Quando scoppiò la guerra del · 14 Kropotkin, in virtùdel suo anarchismo, avrebbe dovuto assumere la posizione più distaccata e avversa: la guerra come scontro fra capitalismi. Invece lui disse che non si poteva rimanere indifferenti, perché. pur essendo uno scontro tra capitalismi per cui non era possibile aderire acriticamente a una delle due parti in causa, era altrettanto vero che quei capitalismi non erano uguali e se socialismo e anarchismo non fossero scesi in campo sarebbero stati schiacciati dal movimento della storia. Ciò lo portò a sostenere Inghilterra, Russia, Francia, Italia con la motivazione, appunto. che erano comunque meglio del militarismo tedesco e austriaco. Kropotkin. insieme ad altri elementi noti del movimento anarchico, sostenne questa posizione in un manifesto, il Manifesto dei 16 che immediatamente fece scoppiare una forte polemica, di cui proprio Malatesta fu il massimo protagonista. è sua la concezione della casa popolare inglese Poco dopo, la posizione di Kropotkin e dei 16 fu emarginata in nome dell'antibellicismo e della necessità che il movimento anarchico ed operaio rifiutassero di farsi coinvolgere nella logica degli stati. Malatesta da un punto di vista anarchico aveva senza dubbio ragione, ma nella posizione di Kropotkin e dei 16 c'era in nuce una grande intuizione. Quella per cui nella società moderna la guerra fra stati coinvolge fin dall'inizio le masse, le quali, perciò, non sono più estranee rispetto agli Stati e alle loro logiche. Kropotkin aveva scritto un libro sulla rivoluzione francese, Lagrande rivoluzione, in cui ne analizzava le dinamiche sociali sottolineando che in B ■ t>rr ot~n~aa PGirfo storia, le masse in quanto tali si erano "fatte Stato". seppure per vie traverse. Sostanzialmente Kropotkin sottolineava che dopo larivoluzione francese e gli sconvolgimenti da essa provocati in tutto il mondo, Stati e popoli non erano più entità separate. anche se rimanevano cose diverse e gli Stati costituivano un traviamento e uno sfruttamento della naturale socialità umana. Kropotkin capiva che da un tipo di guerra come quella del '14 era difficile chiamarsi fuori. Lo scoppio della rivoiuzione russa, in parte provocato proprio dalle ripercussioni seguite alla mobilitazione bellica, per un verso gli darà ragione. E il suo ritorno in Russia come fu? Quando scoppiò la rivoluzione Kropotkin, che allora aveva 75 anni, tornò immediatamente in Russia e venne accolto abbastanza bene dal governo leninista, che gli diede una casa. A livello di curiosità va notato che il potere bolscevico, che pure sterminò gli anarchici, manteneva con molti pensatori anarchici un rapporto ambiguo: a Mosca, vicino alle mura del Cremlino, in fondo alla strada dedicata ai caduti e alle città martiri della resistenza antinazista, c'è un obelisco, voluto da Lenin, in onore dei padri del socialismo e tra questi in bella mostra ci sono Bakunin, Herzen. e anche Kropotkin. Ma, una volta in Russia Kropotkin cominciò a vedere bene come andavano le cose e. pur vecchio e malatissimo, cercò di rispondere ad esse con un'altra opera sistematica, L'etica, che rimarrà incompiuta. Nella parte finita, la parte critico-analitica. Kropotkin cominciò a tematizzare il problema dell'etica, cioè di un comportamento che è scelto. che non si dà nelle cose, analizzando tutto il pensiero etico da Platone alla modernità. Purtroppo manca tutta la parte propositiva e quindi non sapremo mai a che punto fosse arrivato. Dalle lettere e dai colloqui di quegli anni si sa che la guerra prima e la rivoluzione poi lo avevano fatto notevolmente rinettere ed era probabilmente arrivato o ad una successiva sistemazione del suo sistema o alla sua messa in crisi. Io credo di più alla messa in crisi, perché Kropotkin in Russia aveva visto non solo i crimini del potere bolscevico. ma anche il fattoche le masse liberate dal padrone non riscoprono quel "mutuo appoggio" che le può portare al comunismo. ma si adattano quasi subito, e tranquillamente, ai nuovi padroni. La cosa bella è che nel '21, quando morì - solo, isolato, con la casa guardata a vista dal lapolizia politica- il suo funeraledivenne l'ultima grande manifestazione dell'anarchismo e del libertarismo russo. Al- araanpéO anarchica ucraina guidata da Nestor Makhno era già stata sconfitta, come sconfitta era stata l'insurrezione dei marinai di Kronstadt (che furono i primi a insorgere contro lo zar e contro il governo bolscevico), il movimento anarchico e socialrivoluzionario era disperso, i militanti più in vista fuggiti o in prigione, la repressione imperava, tuttavia per il funerale di Kropotkin, la cui morte ebbe subito una eco immensa. si riunirono oltre un milione di persone e agli stessi militanti in carcere venne dato un permesso per poter andare al funerale. Ma c'è un'eredità di Kropotkin in qualche modo ancora valida? E' stato un personaggio che ha innuito moltissimo. al di là di quanto egli stesso ne fosse consapevole. Malatesta diceva che per molti anni essere anarchico aveva significato aderire a quel che Kropotkin aveva detto. aveva prefigurato le isole di produzione al posto della catena L'eredità di Kropotkin. la si ritrova negli ambiti più strani. Tutta l'urbanistica americana più avanzata degli anni '60 si rifà esplicitamente al Kropotkin di Campi.fabbriche e officine. uno dei suoi libri che ha resistito meglio al tempo. Qui teorizza, sempre nella logica dell'organicismo, che una società giusta non può reggersi se non sull'equilibrio di tre fattori: i campi, le officine e i laboratori e che il territorio non va più diviso incillà, periferia e campagna, ma deve costituire un unicum. Kropotkin affermava che r umanità era fiorita nella città greca e nella città medievale italiana proprio perché c'era questa integrazione. Soprattutto la città medievale stupiva Kropotkin perché essa non è più pensata in termini di ·'centro" delimitato da mura, ma di territorio di vita, di luogo aperto in cui si abita. In Toscana e in Umbria la città è costruita in modo che non c'è più una servitL1del contado verso la città e non è troppo grande proprio per avere un rapporto di scambio con il territorio circostante: il contadino va a vendere le sue merci al mercato dentro la città, I'artigiano va nelle fattorie, e la comunità è una, vivace e integrata. Oggi iI teorico del l'ecologia sociale Murray Bookchin continua a rifarsi a Kropotkin. e gran parte del dibattito inglese e americano della prima metà del '900 sull'urbani~tica e l'architettura - Howard, Geddes. Mumford, la "città giardino"- fu innuenzato dai suoi scritti. I quartieri popolari di alcune città inglesi, quelli che ancora vediamo, fatti di villette col giardino davanti e l'orto dietro, nascono da architetti esplicitamente influenzati da Kropotkin. E' lui a sostenere che le case non devono essere troppo grandi, altrimenti l'individuo viene schiacciato. e chi le abita deve avere in qualche modo il mondo attorno per poter mantenere il senso della propria individualità e della socialità solidale. Per cui: case medie, vicine, ma non attaccate. perché non si perda il senso del vicinato, col giardino davanti, cioè con la bellezza che accoglie chi entra e saluta chi esce, e con r orto dietro in cui l'operaio, la sera, uscito dalla fabbrica, può ancora avere il senso del proprio lavoro, un contatto con la realtà che l'officina gli toglie. Tornando alla Spagna del '36 da cui siamo partiti? Kropotkin. ripreso da teorici dell'anarcosindacalismo come Ricardo Mella o Anselmo Lorenzo, ebbe molta innuenza, soprattutto nelle proposte di ricostruzione sociale. La semplicità del suo assunto e del linguaggio con cui sono scritte le sue opere rese i suoi testi innuenti ed è forse anche merito della sua innuenza, oltreché della forza e capacità organizzativa della Cnt, il sindacato anarchico allora maggioritario, se già all'indomani dell'insurrezione contro il colpo di stato franchista si organizzarono le collettività agrarie, vennereo collettivizzate le fabbriche e i servizi e tutte queste realtà socialiste cominciarono ad agire di concerto. Non solo. ma anche all'interno delle fabbriche collettivizzate cambiò il metodo di organizzare il lavoro e dalla catene di produzione fordista-taylorista si cominciò in breve tempo a passare alle isole di produzione in cui il prodotto, fosse un'auto o una macchina da cucire, veniva eseguito dall'inizio alla fine dallo stesso gruppo di lavoratori, che lo modificava in base a migliorie che riteneva utili. La cosa sorprendente è che tutto questo avvenne in tempi brevissimi e senza danneggiare quantità e qualità dei prodotti, tant'è che un giornale economico inglese, che condusse un· indagine in proposito, certificò che la produzione sia agricola che industriale era aumentata. Erano di nuovo idee del Kropotkin di Campi.fabbriche e officine. L'officina artigiana si distingue dalla fabbrica innanzitutto perché è un collettivo che lavora insieme alla stessa cosa, senza parcellizzare il lavoro. Certo c'è chi è più bravo a fare questo e chi a fare quello, ma questi talenti si amalgamano grazie alla cooperazione, al "mutuo appoggio'', ed il prodotto è frutto di tutti e di ognuno. La logica delle isole di produzione, anche se in esse l'elemento produttivistico continua a prevalere su tutti gli altri, è un po' questo. Ma anche qui, curiosamente, quell 'organicismo positivistico secondo il quale, tolto il limite rappresentato dal padronato e dai governanti, tutto si sarebbe risolto armoniosamente, mostrò il suo limite. Fu proprio un anarchico a raccontare che a Barcellona, nelle fabbriche rinnovate, la gente lavorava più volentieri e in modo diverso e si viveva meglio. Aveva, però, notato un paradosso: con la rivoluzione in Spagna nessuno portava più il cappello, ciononostante la cappelleria collettivizzata, aveva aumentato la produzione ed i cappelli giacevano nei magazzini. Certo chi voleva poteva andarli a prendere, il problema era che nessuno li portava più. Anche una tale ingenuità, forse, dipendeva dalla logica positivistica per cui si dava per scontato che certi bisogni fossero innati e naturali. 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