Una città - anno IV - n. 34 - settembre 1994

, 01,t,ca La fine dell'appartenenza. L'abbaglio aritmetico a cui porta la maggioritaria. Le forti contraddizioni fra gli alleati di governo. La pregiudiziale antifascista non esisteva fra la gente. Lo spostamento a destra dei giovani riequilibra un andamento normale che il 68 aveva alterato. Un cambiamento lontano dall'essere concluso e una partita decisiva che si giocherà sulla legge elettorale. Intervista a Arturo M. L. Parisi. Arturo M. L. Parisi è ordinario di Sociologia politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna, è vicepresidente dell'Associazione li Mulino ed è Presidente della Società Italiana di Studi Elettorali. Lei studia i comportamenti elettorali, a suo tempo coniò l'espressione "voto di appartenenza". Come vede i cambiamenti che le ultime elezioni hanno messo in evidenza? E il voto di appartenenza è finito? Di fronte al dato elettorale, e ancor più di fronte ai cambiamenti, credo che l'errore più pericoloso dal quale bisogna guardarsi sia quello di confondere il livello del risultato istituzionale (cioè a dire il cambiamento dei rapporti di forza parlamentari e delle relazioni tra partiti) col livello del comportamento di voto. E così come prima, quando vigeva la legge elettorale proporzionale, dall'apparente immobilità del risultato istituzionale (dal fatto cioè che a dispetto di tutte le attese la forza parlamentare dei singoli partiti finiva comunque per modificarsi di pochi punti percentuali) eravamo indotti a supporre una corrispondente immobilità nei comportamenti di voto e negli orientamenti politici, ora rischiamo di fare l'errore opposto. Poiché la nuova legge elettorale enfatizza a livello istituzionale i cambiamenti, potremmo essere indotti ad enfatizzare oltre il lecito il cambiamento avvenuto nei comportamenti e negli orientamenti dell'elettorato. Rischieremmo così di contrapporre un'era della stabilità ad un'era del cambiamento come se negli orientamenti politici degli elettori fosse scattato un qualche misterioso interruttore, senza riuscire a individuare poi il perché questo interruttore sia scattato al1'improvviso proprio ora. Credo invece che gran parte delle vicende delle quali parliamo debbano essere lette come l'esito di processi di lungo periodo nei quali è difficile individuare precisi spartiacque. Pur ali' interno di un processo di trasformazione che dal dopoguerra non ha mai co·noORTI DI GUERRA In occasione della visita di Vittorio Emanuele a Cuneo, i maggiorenti scelsero i più bei ragazzi della città, i più robusti, e li schierarono debitamente nudi e ingessati, su piedistalli, lungo la strada che il re avrebbe percorso col suo seguito. Sembravano veramente statue, statue classiche. Tutti i malati di gozzo vennero invece chiusi in cantina, perché non turbassero i festeggiamenti con la loro deformità. Quando il re passò di lì sulla sua carrozza, fu veramente compiaciuto dello spettacolo delle statue viventi, il colpo d'occhio era sorprendente, ma all'improwiso si cominciò a sentire la voce dei gozzuti, che gridavano dal fondo delle cantine: "Siamo noi i cuneesi, Cuneo siamo noi! Siamo noi!" Edoardo Albinati sciuto soste, il 68 resta tuttavia l'unico punto di frattura ancora riconoscibile. Ciò che nel dato elettorale viene oggi a definitiva evidenza è la crisi delle relazioni tra partiti ed elettori prodotta dai movimenti sociali e politici che si svilupparono nel nostro paese tra la metà degli anni 60 e la metà degli anni 70. In particolare il cambiamento che diviene oggi visibile a livello di massa è riconducibile alla pro- . fonda incrinatura introdotta da quei movimenti in quel tipo di relazione che chiamiamo di appartenenza, che aveva dominato fino a quel momento il comportamento di voto. Non posso dimenticare d'altra parte che già in passato l'errore di confondere nell'analisi il livello del risultato con quello dei comportamenti e degli orientamenti fu causa di gravi equivoci interpretativi. Penso al risultato delle elezioni del 1975, a quello che fu definito il "terremoto del 15 giugno" quando assistemmo ad un cambiamento elettorale che per le sue dimensioni è del tutto paragonabile all'ultimo risultato elettorale. il cambiamento del tipo di relazione col partito Anche allora c'era stato infatti un cambiamento nella normativa elettorale che aveva enfatizzato nel risultato la portata effettiva del cambiamento generale. A causa dell'abbassamento della età di voto dai 21 ai 18 anni erano andati improvvisamente "in linea" tutte in una volta sette classi di leva elettorale. E quali classi! Quelle che avendo vissuto in prima persona la rivoluzione di valori e di relazioni che chiamiamo ancora con il nome di "68", accomunate dalla rottura con i riferimenti partitici precedenti e da una conversione politica verso sinistra. L'aumento di 5 punti percentuali a favore dei partiti di sinistra, polarizzatisi in gran parte attorno al Pci, portò i più ad attribuire il segno politico che era esclusivo di una sezione minoritaria (quella giovanile) alla massa dell'elettorato. Un abbaglio del quale fece presto giustizia il voto del 76 che mostrò appunto come fosse imprudente vendere il grasso della balena democristiana senza averla prima catturata. Fuorviati dalle interpretazioni del cambiamento del risultato la cui portata era in effetti tutto sommato meno rilevante di quel che appariva, si tardava a prendere consapevolezza di un cambiamento ben più rilevante che dietro di esso andava sviluppandosi. Esso non riguardava tanto la destinazione partitica del voto, prima democristiano e in quel momento comunista, quanto appunto il tipo di relazione che l'elettore intrattiene con il partito per il quale vota. Per questo motivo, con la collaborazione di Gianfranco Pasquino, formulai la tipologia che individuava fra gli elettori tre tipi prevalenti di relazioni con i partiti verso i quali indirizzavano il loro voto: il voto di appartenenza, il voto di opinione e il voto di scambio. La tipologia avendo finalità prevalentemente analitiche non si preoccupava di avanzare previsioni. Sulla sua base veniva tuttavia formulata l'ipotesi di un crescente ridimensionamento di quella quota di elettorato che era stata fino a quel momento all'origine della stabilità complessiva del nostro quadro politico, e annunciava correlativamente la crescita di quel tipo di elettore che viene spesso scambiato con l'elettore tout court: l'elettore d'opinione. Un elettore guidato sostanzialmente da un atteggiamento laico e razionale, che ha un rapporto di alterità rispetto alle alternati ve in campo e che esprime nel voto soprattutto un giudizio di congruenza tra fini e mezzi. A partire da allora la nostra ipotesi ha incontrato nelle dinamiche elettorali ripetute verifiche che mostravano il ridursi costante del numero di elettori che intrattengono con i partiti un rapporto di stabile incorporazione. Però fino all'ultima consultazione questo era un cambiamento di qualità della relazione, un cambiamento per così dire invisibile, che si sviluppava nella maggioranza dei casi all'interno dei perimetri partitici preesistenti. L'elettore continuava a votare Dc, ma il tipo di rapporto che lo legava alla Dc non era più di appartenenza. Era diventato di opinione. Non aveva più, cioè, la stabilità, i tratti di fedeltà precedenti, ma andava conquistato volta per volta. L'errore nel quale gli analisti, e, purtroppo per loro, gli stessi uomini di partito, sono caduti fino alla fine stava nello scambiare la stabilità del comportamento con la qualità dell'atteggiamento, dimenticando che un elettore può esprimere lo stesso identico voto, dando però ad esso significati diversi. Un cambiamento del quale ci •accorgeremo solo alla fine, perché osservando dall'esterno, l'elettore sembra apparentemente uguale al vecchio elettore di appartenenza. Quello che è accaduto ai democristiani è accaduto peraltro anche ai socialisti e ai comunisti. L' elettore è andato "laicizzandosi". Pur continuando a far riferimento alla antica chiesa, ha sciolto il nodo di incorporazione ecclesiastica che ad essa lo legava in modo indissolubile. Questo non autorizza a ridurre tutti i cambiamenti degli anni 70 al solo superamento delle appartenenze. Accanto ad elettori che hanno modificato il tipo di relazione che intrattenevano con i partiti pur continuando a far riferimento allo stesso partito, ci sono stati elettori che hanno cambiato il partito di riferimento pur continuando ad intrattenere con il nuovo partito lo stesso rapporto di appartenenza che li legava al partito di provenienza. Ma questo fenomeno è stato sicuramente più circoscritto. Esso interessò in particolare la generazione dei nati tra il 46 e il 65, che modificò l'orientamento dell 'appartenenza dal centro-destra alla sinistra. Pur all'interno di una tendenziale contrazione dell'appartenenza, questa generazione si mosse in senso opposto rivitalizzando questo tipo di rapporto con la politica. Ecco perché una lettura deterministica e uni lineare è sicuramente fuorviante. Resta tuttavia che l'esperienza del la generazione 4665 ha tratti sicuramente originali. l nati dopo il 65 sembrano infatti connotati da un abbandono di riferimenti partitici definibli in termini di appartenenza. ARREDAMENTO NEGOZI E SUPERMERCATI ORIEZZA =:-SINTESI 4 UNA ClffA' _,Q Questo cambiamento non è tuttavia sufficiente a spiegare l'ultimo cambiamento elettorale. L'incidenza degli elettori nati dopo il 65 è infatti nell'elettorato ancora troppo modesta. Dietro la vittoria di Berlusconi stanno a mio parere soprattutto vicende che fanno immediatamente capo ali' offerta partitica. Prima che alla crisi e alla trasformazione degli orientamenti degli elettori, al modificarsi del loro rapporto con la politica, essa è riconducibile a una crisi interna ai vecchi partiti. E soprattutto alla crisi interna dei partiti di governo, a cominciare da Dc e Psi. Anche se è plausibile pensare che l'elettorato di Forza Italia sia composto in gran parte da elettori "laici" dei vecchi partiti di governo, non mi sentirei di escludere che in esso siano confluiti anche nuclei di appartenenza dei vecchi partiti, spinti dal la assenza di alternati ve plausi bi!i a loro disposizione. Lei ha definito il voto d'opinione come un voto laico-razionale. E' questo che sta succedendo? Nell'analisi avanzata alla metà degli anni 70 fu questa appunto l'ipotesi alla quale approdammo. Le verifiche empiriche ci costringono tuttavia per il momento ad una correzione. Se è infatti sicuro che assistiamo alla dissoluzione delle relazioni di appartenenza, ispirate a modelli di partecipazione ideologici e fideistici, l'elettore che prende il posto degli elettori di appartenenza è più definibile in negativo, come "non di appartenenza" che, in positivo, come laico-razionale. Una delle condizioni minime per definire il voto di questo elettore come razionale, sarebbe infatti il possesso di alcune informazioni basilari. Tutte le ricerche dimostrano invece che tra gli elettori che sembrerebbero essere "di opinione" il grado di informazione non è maggiore di quello degli elettori di appartenenza. Tenendo conto che grazie ad una maggiore scolarizzazione questi elettori dispongono comunque di un minimo di informazione, si potrebbe addirittura dire che essi sono politicamente più disinformati dei loro predecessori. la magia di un blocco unico, omogeneo, è durata anche troppo L'elettore d'opinione, quello che dovrebbe essere l'elettore che giudica solo sulla base della propria opinione, si rivela spesso un elettore che ha molte e contradditorie opinioni, al plurale, ma è incapace di esprimere nell'opinione quel giudizio "a ragion veduta" che la definizione evocherebbe. Equi è difficile non ricordare i limiti di una democrazia che si affida sempre più ai media e a messaggi semplificati che i media, e soprattutto quello televisivo, sono portati a trasmettere. Il risultato è un pullulare crescente di idee confuse, che in un certo momento grazie alla diversa capacità manipolatoria dei contendenti in campo sono spinte a coagularsi e polarizzarsi attorno a scelte collettive che sono stabili e definite solo in apparenza. La realtà è invece che dietro di esse il mondo delle opinioni non riesce a superare lo stato gassoso ed evanescente. Pensando al futuro sarebbe perciò più prudente muovere dal riconoscimento che il superamento delle vecchie appartenenze ha aperto una fase di grande instabilità dove gli orientamenti collettivi possono modificarsi improvvisamente in direzioni molteplici e opposte. Quindi grande instabilità, idee molte e confuse, tanti sbocchi possibili. Ma la vittoria della destra sembra indiscutibile... Indiscutibile solo sul piano del risultato istituzionale. Sul piano degli orientamenti non è male ricordare che la nuova maggioranza ha dalla sua parte solo il 43% dei voti e che, quindi, dall'altra parte resta pur sempre ancora il 57%. Anche dopo le europee? Innanzitutto è necessario ricordare che nell'ultimo voto di giugno più che ad una espansione della destra si è assistito ad una polarizzazione dell'elettorato di questa area attorno a Forza Italia. I rapporti di forza complessivi si sono modificati invece pochissimo, molto meno di quello che le percentuali darebbero ad intendere. Le elezioni europee sono infatti molto condizionate dal tasso di partecipazione al voto. Vince non tanto chi raccoglie più voti ma chi ne perde di meno. Per valutare l'origine e la reale misura della vittoria della destra quello che va assolutamente evitato è un approccio di tipo calcistico che interpreta il risultato a partire dall'ultimo (e magari unico) goal che ha assicurato la vittoria, senza considerare il comportamento della squadra nella partita e la sua qualità di fondo. E poi si fa in fretta a dire "vittoria della destra". Quello che al momento è fuori discussione è la sconfitta degli avversari. Grazie ad un crescente processo di semplificazione il mito di Berlusconi si è gonfiato sotto i nostri occhi come un palloncino. Prima la maggioranza dei seggi della Camera è stata scambiata con una maggioranza nell'intero Parlamento. Poi si è affermata una lettura che scambia il 60% dei seggi alla Camera con la maggioranza dei consensi popolari. Si è quindi dimenticato che la vittoria non è andata ad un solo partito ma ad una coalizione di partiti divisi e rissosi, uniti solo dalle convenienze elettorali. Procedendo su questo cammino si è infine scambiata la vittoria dei distinti partiti con quella di Berlusconi quasi che egli fosse stato eletto Presidente del Consiglio con il voto diretto della maggioranza degli italiani. La realtà è invece che anche dentro il supposto partito di Forza Italia coesistono assieme alla struttura aziendale della Fininvest, che ha piazzato con successo l'ennesimo prodotto, altre componenti a questa non riconducibili. Basta guardare, ad esempio, ai liberali che sono portatori di un progetto distinto che verrà man mano ad evidenza. Penso alle dimissioni di Calligaris da capo gruppo al Parlamento Europeo perché ostile al progetto di confluenza nel Partito Popolare Europeo portato avanti dal vertice di Forza Italia. Non meno importante è peraltro l'avversione di Urbani alla modifica della legge elettorale in direLA FORTEZZA SINTESI s.r.l. 47034 FORLIMPOPOLI (FO) - ITALV Via dell'Artigiano, 17/19 Tel. (0543) 744504 (5 linee r.a.) Telefax (0543) 744520 .- GRUPPO ~ .... ~ IFZZA

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