Una città - anno II - n. 18 - dicembre 1992

. , pun o strada. Un fenomeno di vita. Ne parliamo li strada Ila lavorato. te dalla famiglia, o quella di diventare un piccolo delinquente, un "pivette", come lo chiamano loro. O sei un lavoratore o pivette, puoi scegliere. Ma chi sostiene veramente il percorso da "lavoratore" non è la società, non è la scuola, è la famiglia. Ed è importante sottolinearlo perché vedendo bambini per strada la prima reazione è pensare a una famiglia cattiva che ha abbandonato il bambino o che comunque non era all'altezza. Invece il retroscena è un altro. E' che di fronte a queste due possibilità, quei bambini hanno fatto scelte precise. Ho incontrato adolescenti che mi hanno detto: i miei volevano che facessi il "lavoratore", ma in questo paese il lavoratore muore prima di lavoro e poi di fame. Nell'altra scelta posso vivere poco, perché lo so che la vita in quel modo dura poco, ma almeno quel periodo lo vivo in modo più interessante. Hanno molta più chiarezza di quanto possiamo immaginare. E quando dico che la società non propone a questi bambini la vita da lavoratore, è perché l'immagine che in una situazione così precaria viene proposta del ''lavoro'· è terribile. E così è per la scuola. Un bambino vede nella scuola la prospettiva di studiare per trovare un lavoro. Ma sa anche che non è vero. Le ragazze di favela mi dicevano "cosa studio a fare? Andrò comunque a fare la domestica". Quando a una ragazza che era riuscita a raggiungere il diploma magistrale ho detto "allora siamo colleghe ..", mi ha risposto "no, no, so benissimo che qui dovrò fare la domestica''. E lei era diplomata mentre la maggior parte non arriva neanche a finire le elementari. In realtà, quindi, è la famiglia, e soprattutto le madri, a continuare a sostenere la validità morale di diventare un lavoratore e non un pivette. Non è la famiglia ad abbandonare il bambino. Ma questi bambini poi lavorano e basta? Smettono di giocare? No. La cosa curiosa è che anche qui è venuta meno quella distinzione precisa fra le cose. lo studio, il gioco, ci si prepara e poi c'è il tempo in cui si vivrà sul serio. Loro sono obbligati a mischiare tutto e a vivere tutte le cose insieme. che, di fronte a una maestra che tentava in qualche modo di parlare di sesso, le ha detto di lasciar perdere l'argomento perché lei si sarebbe stupita e innervosita delle cose che le avrebbe potuto dire. Sette anni? Sette anni. Ma anche qui dobbiamo lasciar perdere i nostri punti di riferimento, le nostre idee su dove mettere il limite delle cose giuste e non giuste. Per esempio: una bambina di nove anni, pur vivendo in una situazione strutturata, con padre, madre. eccetera, a nove anni si rende già conto, da quello che vede della vita delle donne, che per lei è molto importante proteggersi, non perdere quello che lei ha da perdere e sa già che i maschi non hanno niente da perdere. E quindi prende già le sue precauzioni. Allora in una situazione di gioco, a nascondino per esempio, starà attenta a non nascondersi in certe situazioni, starà attenta con chi nascondersi. processo educativo e questione della • sopravvivenza Questo per dire che è impossibile stabilire dei passaggi chiari. Fra l'altro, e questo ci sfugge, è esattamente grazie a questa conoscenza precoce che lei riuscirà in futuro ad avere un vita che noi chiameremo normale. Non diventerà una madre adolescente. Noi invece, che vorremmo educarli in modo che pensiamo più appropriato, li lascieremmo in realtà più indifesi. C'è un'associazione che lavora coi bambini di strada che ha capito che un certo tipo di azione educativa non solo non portava a risultati interessanti, ma era pericolosa, perché dopo aver fatto un certo "percorso" educativo i bambini non riuscivano più a tornare alla vita di strada, non avevano più gli strumenti per vivere in strada, per affrontare i problemi e utilizzare le risorse che la strada può offrire. Esiccome giocare mentre si lavora e si cerca da mangiare f Leggevo una descrizione di bambini della favela che anch'io avevo visto: questi bambini vanno a scuola alla mattina, poi partono di pomeriggio con le scatole di gelati da vendere in città, spesso vanno insieme e nel frattempo fanno giochi fra di loro, poi tornano a prendere un'altra scatola e magari si fermano un poco a giocare al pallone. Si gioca mentre si lavora, si gioca mentre si cerca qualcosa da mangiare. Per noi è difficile da immaginare. Si gioca senza imomenti, senza i materiali, è tutto vissuto in modo più intricato. Ho letto di bambine che mentre giocano a fare le madri, con le bambole, puliscono l'area della casa in cui stanno ambientando il gioco. Oppure mescola la sua bambola con i bambini piccolini che sta tenendo a bada dalla sua zia o dalla vicina. Anche quello è interessante, non smettono di essere bambini. Ci sono tanti giochi adattali alla situazione. Faccio un esempio: uno ti prende un braccio, ti dà un pizzicotto e dice "tu sei mio cugino·'. Da quel momento tu non puoi più riferirti a lui senza chiamarlo cugino. Se ti sbagli sei preso a pizzicolli. Quello è un gioco che può aura versare tutta la giornata, due o tre giorni, finché poi non si interrompe dicendo "non siamo più cugini". E il sesso fra questi bambini? E' precoce? Anche qui: la parola precoce presume un qualcosa, un'età per iniziare. Ma se avessimo dei figli ai quali dover dire quando si inizia ci troveremmo in imbarazzo, vero? Perché non si sa bene quando. E' vero che quel contesto, come d'altra parte quello rurale, permette ai bambini molte più possibilità di approccio al sesso mentre in città le situazioni sono molto più disciplinate, andare a scuola, poi a lezione di calcio, poi a casa a guardare la Tv, eccetera. Fra i bambini di strada e di favela c'è molta più informazione e anche molto più contatto fra bambini più piccoli e più grandi e poi ci sono le cose più serie, come la prostituzione. E anche rispetto a problemi legati alla sessualità come l'aborto, la contraccezione hanno una conoscenza precisa. Spesso conoscono più delle maestre. Ho visto un bambino di sette anni la situazione del paese è precaria, bisogna stare molto attenti a togliere i bambini dalla strada perché non sai affallo cosa puoi offrire loro dopo, e ti potrai trovare a dover rimandare in strada il bambino, che allora, però, sarà più indifeso. Il processo educativo va pensato di pari passo con la questione della sopravvivenza. Molto spesso invece tendiamo a mellere avanti una proposta educativa alla questione -è anche banale dirlo- prioritaria per eccellenza: quella della sopravvivenza. Lì non è separato. Lì non ci sono gli adulti che provvedono alla sopravvivenza dei bambini: lì è un intero gruppo familiare che provvede alla sopravvivenza di se stesso. E le donne? Malgrado tulli i problemi sociali, tulle le difficoltà che ci sono, il loro modo di vivere fa sì che la maternità possa essere assunta con una certa facilità. La maternità è più compatibile con la condizione di donna. Questo è un fatto. E io non sono poi tanto sicura che il modello alternativo che posso proporre a loro abbia qualcosa di positivo da sostituire a questo. Vien da chiedersi se ha senso. Molto spesso B1bl1otecGa ino Bianco lo facciamo senza rendercene conto: io le propongo un modello in sostituzione al suo, ma da subito non mi melloadiscuterecon lei i problemi, i punti di fallimento del mio modello, quelli li discutiamo da un'altra parte, fra noi altri. Perché quando parliamo con qualcuno che pensiamo abbia una vita più precaria della nostra, non melliamo in discussione i problemi, le difficoltà del nostro modo di vivere. proponiamo subito il nostro modello emancipazionista E proponiamo subito il nostro modello che è quello emancipazionista: fai il tuo lavoro, controlla i figli che fai, fai la tua vita indipendente ... Ma fra di noi sappiamo quanto questo modello costi, quanto non abbia prodotto i risultati che ci aspettavamo, quanto c'è ancora di sofferenza, di difficoltà, quanto siamo ancora persi nel cercare qual è la posizione che vorremmo avere in questa società, e allora non possiamo andare da queste ragazze, tranquillamente, e fare discorsi del tipo ·'prendete la pillola, controllate la maternità, fate una vita ...". Per tante donne qui è ormai incompatibile la condizione di donna con quella di madre. C'è poi un altro aspello secondo me molto importante. Malgrado la vita là sia così difficile, sia per i bambini che per gli adulti, non ho mai trovato tra i bambini quella mitizzazione dell'infanzia che facciamo qui e che porta poi alla voglia di non uscire mai dallo stato di bambino. Là no. E non diventare adulto è una cosa impensabile, e se diventare madre è una cosa su cui si può discutere, immaginarsi una vita senza crescere è impossibile. E' un bene allora che il mondo dell'adulto abbia qualcosa che attiri. Mentre da noi, dico noi perché anche in Brasile ci sono quelli che vivono come gli europei, ci sono i bambini che non vogliono diventare adulti. perché non vedono nulla di interessante nella vita degli adulti, che è noiosa, non li vedono felici ... Ma siamo noi a offrire a questi bambini un'immagine di infanzia che non vuole crescere ... Sono cose che mi hanno colpito molto e ci penso due volte prima di dire che abbiamo veramente del le alternative tanto consistenti da andare lì senza dubbi e dire "qui abbiamo da fare questo e quello". Non so. Sono stata molto colpita dal mondo femminile della favela. Arrivo da una donna come ricercatrice e volevo fare un'intervista sui loro figli, sulle difficoltà che lei aveva coi figli, su come si allevano i bambini, sulla sua storia in quanto madre. Lei non voleva parlare di questo, sai di cosa voleva parlare? Del suo rapporto amoroso con suo marito, perché era felice, perché non era felice, perché non era contenta perché lui non era attento con lei come avrebbe voluto ... tra l'altro facendo discorsi molto simili a quelli che facevano le mie amiche di classe media. E poi io che cercavo di rientrare: "però i ragazzi ...", e lei: "ma i ragazzi stanno bene, non fanno mica problema, ce la caviamo mollo bene a far crescere i ragazzi". Allora io cosa ho da dire a questa madre? Magari tu mi dici come fai a essere tranquilla nel crescere i bambini e io ti dico come fare a stare più tranquilla nel rapporto con tuo marito... Se lo sapessi. Se avessi qualcosa di convincente da dire. L'abbiamo? Di fronte a una bambina di 13-14 anni, incinta, che non si pone più di tanti problemi se ha o non ha quel figlio lì, che mi dice "magari se rimango incinta presto dopo questo non lo tengo" ... che fa, cioè, un ragionamento adulto, mi domando cosa posso dirle: ·'sei precoce?". Vai a parlare con una donna di 30 anni che non riesce a decidersi perché non ha capito ancora se è abbastanza adulta per essere madre. Non so se quello che possiamo offrire può convincere più di tanto. Però non vorrei arrivare ali' altro estremo, di non saper più cosa fare, di cadere quindi nell'immobilità. No, perché loro poi delle richieste ce le fanno e molto più precise di quello che noi ci immaginiamo. Per esempio, in modo molto banale, loro ci chiedono di insegnargli a leggere e scrivere. Molto banale. E sappiamo che chi appartiene a questi gruppi sociali emarginati non riesce quasi mai a imparare a leggere e scrivere. C'è un problema demografico? Vedendo tutti questi bambini per strada viene da chiedersi perché li hanno messi al mondo se non hanno le possibilità di tenerli. Il passo successivo è quello di proporre un controllo della natalità. Anche qui, ti faccio un esempio di una situazione tipo che ho incontrato in favela. Una coppia con due figli, il padre muratore, una casa tenuta molto bene, macchina, Tv, telefono, la bambina che faceva anche un corso di inglese e si preparavano a iscriverla a un corso di informatica. A guardarla così, in un primo momento, mi veniva da dire che una famiglia con pochi bimbi ce la fa a strutturarsi molto meglio. Poi ho conosciuto la storia precedente: è venuto fuori che lui aveva avuto problemi gravissimi da giovane con la vista, aveva smesso di lavorare, poi aveva ripreso un po' alla volta, nel frattempo avevano avuto cinque figli di cui tre erano morti prima dei 7 anni e poi, piano piano, con l'aiuto di una pensione dovuta al problema della vista e di un altro lavoro, ce l'avevano fatta con quei due ... li fatto cioè di essere arrivati ad essere una famiglia strutturata, aveva a che fare con tull ·altro che non il controllo della natalità. Anzi, se avessero avuto solo due figli forse sarebbero rimasti senza. se avessi qualcosa di convincente da dire. Ma l'Ilo? Anche lì bisogna essere cauti. Non voglio dire che si possono fare dei figli perché se ne muoiono alcuni ne restano altri, però è un fallo che dove c'è il più alto tasso di mortalità è alto anche il tasso di natalità. E' un modo anche quello per riuscire a sopravvivere. La questione resta lì. Qualche anno fa è uscito fuori uno scandalo perché hanno scoperto che organizzazioni di volontariato nordamericane avevano proceduto a sterilizzazioni di massa di donne nelle regioni più povere, sia del l'interno che delle grandi città. E in alcuni posti con un tasso di mortalità molto forte, la metà delle donne in età fertile era stata sterilizzata. E molte di queste, fra l'altro, non sapevano che tipo di intervento avevano subito. troppe macchine? Citiudiamo la fabbricai Allora, pensare che il problema sia semplicemente fare di più o meno bambini è una visione stupida, se non altro da un punto di vista ecologico, perché non è così che I' ambiente si struttura, ci sono tanti altri elementi da considerare. E poi la questione è molto delicata: il diritto di avere figli, qualsiasi condizione economica o sociale ci sia, è un diritto che deve restare alla donna e al padre. Molto spesso invece ragioniamo a prescindere dalle persone. Ci sono troppe macchine? Chiudiamo la fabbrica. E' un ragionamento troppo lineare. Anche perché poi queste donne sanno benissimo, anche le più giovani, come evitare i figli. Hanno i loro mezzi anticoncezionali. Fra l'altro l'aborto in Brasile è crimine, molte donne muoiono per aborto clandestino e quindi si sa benissimo che non si può restare incinta con leggerezza. Ma il rimedio non è una politica di controllo della natalità fatta in modo lineare, aritmetico. Il problema è mollo complesso, e non si può limitare al problema del controllo di natalità. Come ho già detto non ci sono degli adulti che provvedono alla sussistenza di un gruppo familiare, compresi i piccoli, c'è tutto un gruppo familiare che provvede alla sopravvivenza di se stesso. Anche i bambini partecipano a questa sussistenza, e in certe situazioni diventano importanti nel senso delle forze che possono garantire la sopravvivenza di tutti. Come anche in campagna, più braccia vogliono dire vivere un po' meglio tutti, non solo i piccoli, non solo i grandi. Non è una cosa che riguarda solo il futuro dei piccoli come siamo portati a ragionare. Anche le donne dicono che è bene avere tanti figli perché nella vecchiaia ti aiuteranno. In questo tipo di struttura in cui l'unità di consumo e di produzione è la famiglia, e non il singolo come qua, la presenza di più persone dentro la famiglia può essere decisiva. Lì i bambini partecipano direttamente alla produzione dell'esistenza. Mentre qua facciamo un periodo lungo, lunghissimo, senza saper cosa vuol dire produrre la propria esistenza, e forse, forse, questa è un impressione, può essere questo un motivo del malessere esistenziale diffuso che c'è qua. Essere così lontani da un nodo fondamentale come quello di riuscire a produrre la propria esistenza. Anche su questo sarebbe interessante ragionare. ■ UNA CITTA' 9

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