Terza Generazione - anno II - n. 9 - giugno 1954

e quelle dell'insufficienza dell'jstruzione in intere regioni. Tuttavia per orientarsi vera– mente sul disagio della scuola italiana, non bisogna fermarsi a questi facili temi, che si presentano più alla superficiale divulga– zione che alla discussione, ma arrivare al « dibattito ideologico generale intorno a scuola, Stato, e società moderna ». Bisogna che l'opinione pubblica affronti questo dibattito, per far maturare una dif– fusa coscienza, sulla quale fondare un in– tervento riformatore, che non sia una se– rie disorganica di risposte immediate alle insofferenze e alle esigenze disparate e con– trastanti, che si producono qua e là nei contatti empirici tra la scuola e coloro che vi hanno a che fare direttamente o indiret– tamente. Esiste, oggi, la possibilità, contemplata nell'ideologia liberale, che lo Stato giudi– chi imparzialmente la formazione critica liberamente raggiunta attraverso i più va– ri indirizzi pedagogici? Oppure la realtà impedisce alla scuola di funzionare secon– do la concezione che dovrebbe ispirarla, senza presentare una compos1z10ne dinami– ca delJe sue forze, che permetta il loro in– quadramento in istituzioni che ne garanti– scano il libero gioco e possano svilupparsi sui tempi di quello? Umberto Segre denuncia alcuni dei con– flitti,· esistenti, nella realtà, che rendono inoperante il principio informatore della scuola liberale. Lo Stato deve intervenire attraverso la scuola, a formare politicamente i cittadini? oppure deve limitarsi a tutelare la loro for– mazione critica? Lo Stato deve tutelare la libertà dell'in– segnamento, ma poi riservare a sè il giudi– zio conclusivo sulla formazione dei giova– ni? oppure deve accedere alla tesi privati– stica, considerando alla pari tutti gli jsti– tuti scolastici e tutte le scelte culturali? Il peso che il suffragio universale dà al giudizio di milioni di elettori, a cui l'istru– zione elementare non arriva o non trova le condizioni economico-sociali che possono alimentarla, e la conformizzazione intellet– tual~ generata dalle occupazioni della ci– viltà attuale, devono indurre la scuola ad abbandonare la concezione umanistica dello individuo? Quest'ultimo conflitto, tra una fondamen– tale unità e la disgregazione delle neces– sità particolari non composte da nessun movimento, non superate da nessun svilup– po, assolutizzate dalla cultura, riassume gli altri interrogativi. E' vero che siamo al punto cruciale del passaggio dal garantismo liberale all'inter- ventismo democratico, come avverte U. Se– gre. Però c'è il rischio che il transito si ri– duca ad un decadimento dall'esitazione at- BibliotecaGino Bi neo tuale al btutale smascheramento della lotta •i1nmobilizzata ~ non risolta. E invece oc– corre che il transito sia un progresso, cioè che l'interventismo non rappresenti la par– zializzazione definitiva delle istituzioni li– berali e la lotta a oltranza, ma l'esercizio di quelle funzioni necessarie affinchè tutti stiano attivamente nell'unità detto ~tato. Ma perchè ciò avvenga, occorre che la società ritrovi una sua unanimità profonda e una sua forza espansiva, che rendano material– mente possibile l'unificazione istituzionale di tutta la sua realtà. Perchè lo Stato possa intervenire senza sancire una spaccatura nella società anzi proprio il contrario, evitando sistematica– mente gli squilibri, e possa intervenire a fondo quando è necessario, occorre che l'in– tervento risponda alle necessità di espansio– ne della società, e alla consapevolezza di questa necessità, e nell'interesse per questa espansione, di tutte le sue forze. Il liberalismo diventa assurdo ai suoi pro– pri occhi, quando non vi corrisponde più il moto della società. L'esistenza di forze che lo Stato liberale ha unificato solo formal– mente, fa sì che la libertà per tutti diventi l'alibi con cui queste forze possono attac– care la libertà, della quale non partecipano, e la difesa della libertà contro queste forze diventi la violazione formale della libertà di tutti da parte dello Stato stesso. Il nuovo Stato interventista, che va matu– rando di fatto nel suo apparato, è altrettan– to impacciato finchè sussistono nella sua unità istituzionale delle forze anarchiche che non hanno trovato la giusta organizza– zione nello sviluppo della società e che pre– tendono d'essere autosuffìcjenti o privile– giate. La scuola non uscirebbe dal suo disagio senza questa ripresa dell'espansione della società capace di assorbire e organizzare dinamicamente tutte le sue forze che ora si contrappongono staticamente. Neppure nel massimo incremento delle forze laiche e liberali, l'intervento giacobi– no dello Stato nell'educazione è stato faci– le; tanto più spiegabile è l'esitazione attua– le. E noi non crediamo, come sembra cre– dere U. Segre, che sia sufficiente l'interessa– mento dei partiti e il dibattito ideologico. Non si può superare lo scetticismo, nè il disinteresse del grosso pubblico; sui proble– mi di fondo della scuola, se non si avvia contemporaneamente uno sviluppo della so– cietà sulla base di una unanimità da ritro– vare nella realtà e nel senso comune della realtà, al di fuori delle categorie culturali insufficienti ad esprimerla o che la negano espressamente. Cosl non diremmo che la crisi della scuola è crisi di classe dirigente, se non in quanto la classe dirigente si for– ma alla scuola delle tradizioni contrastanti che non hanno partecipato alla fondazione dello Stato o che si sono affermate sènZa potervi entrare attivamente, anzichè for– marsi nell'opera di ricognizione e di pro– mozione organica di tutto quanto è solo formalmente unificato nello Stato. Per questo stesso motivo non crediamo che la difesa delle istituzioni democratiche e il loro sviluppo incomincino specialmente nella scuola, e che occorra, dunque, lavo– rare subito, oltre che sul piano del dibattito ideologico generale, sul piano dell'istruzione elementare. La scuola può mettersi contro corrente quando c'è almeno una minoranza dinamica che apre nuove possibilità d'espansione, a cui la scuola abbia da rispondere. Il caso della scuola liberale nel periodo del Risor– gimento. Concludendo, si potrà accennare ad un settore limitato, dove con l'umiltà di un metodo sperimentale, si cerca di appigliar– si là dove, attraverso Ja scuola, si può speri– mentare anche la costituzione di una nuo– va base popolare unitaria dello Stato asso– ciando gli uomini attorno alla realtà dei problemi comuni, piccolj problemi comuni di sviluppo, dove le diverse tradizioni e le diverse attitudini si misurano nell'apporto ad un fine evidentemente comune e si batto– no in una Jotta per comuni conquiste posi– tive. E' questo il campo ignorato e prezio– so dell'educazione degli adulti. Liberi dai sistemi tradizionali di insegnamento e di valutazione, privi di ogni giustificazione formale che garantisse la scuola comune là dove fallisse il suo scopo, l'educazione degli adulti è totalmente affidata all'evi– denza del suo risultato nella vitalizzazione e nell'orientamento espansivo degli am– bienti in cui si svolge. Svolgendosi liberamente, fuori degli orga– nismi scolastici costituiti, si ripaga della mancanza di comprensione e di appoggio, con la possibilità di innovare direttamente alla base la società democratica, senza bi– sogno di ottenere prima quell'impegno delle dirigenze politiche, che può venire soltanto quando la società comincerà a manifestare organicamente quella realtà che le sue isti– tuzioni non unificano veramente. L'alimento di questa impresa è costituito dai bisogni obbiettivi scoperti con apposite inchieste e nelle aspirazioni genuine degli esclusi che trovano investimento in compiti reali che nessuno indica loro dall'alto. La corrente da vincere è quella dell'apatia e della sfiducia, di chi non vuol guardare il mondo attorno a sè nè la propria coscien– za dentro di sè. Una battaglia dunque che corrisponde alla battaglia di vertice condot– ta dall'élite liberale che ha fondato lo Stato e la scuola pubblica, e una battaglia che si può con1battere oggi. RENZO CALIGARA 21

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