Terza Generazione - anno II - n. 9 - giugno 1954

\'a e non faccia perdere la coscienza della necessità, sempre in un limite proprio, del– le preoccupazi?ni politiche. Comunque le osservazioni capillari di Je– molo sulla moralità civica, sulla crisi dei valori etici connessi all'ordinamento giuridi– co dello Stato dell'ottocento indicano tanti punti in cui il tessuto della società civile non tiene più: e si tratta qualche volta di localizzazioni felici, sfuggenti alla vista del– rosservatore che non ha il gusto del detta– glio o il candore del moralista dalla sen– sibilità sempre scoperta (si pensi alla de– nunziata immoralità scolastica, dei ragazzi che copiano il compito in classe!). E' una minuta sintomatologia, una casistica peren– ta in qualche parte, ma viva e attuale in altre. Un secondo motivo che è bene esamina– re è quello della perduta unanimità: Je– molo sospira i tempi in cui non era neces– sario piegarsi all'alternativa (con1unismo e anticomunismo). Però questo motivo che ha un fondamento umano profondo, e cor– risponde quasi all'aspetto dinamico della pace, è, per una strana vendetta della men– talità scarsamente politica di Jemolo, risol– to troppo esclusivamente in un ambito po– litico di comunismo e anticomunismo: la fine dell'umanità, della unità morale del mondo, si concentra nell"anno 1917. Ma, come la crisi del 1929 sul piano economico, quella del 1917 non fa che mettere in rilie– vo un processo di degradazione del sistema già in corso da tempo: un sistema privo ormai di ogni capacità di espansione. E la fine dell'unanimità non si risolve nella pre– senza del partito comunista (d'altronde qua- • si assente in più di un paese occidentale): è rotta la continuità organica tra le gene– razioni, mancano le indicazioni di condotta umana che passano dai padri ai figli e gli anziani della società civile si limitano sul piano educativo, a consigliare un edonismo temperato di cautele. Giuste considerazioni propone l'autore sulla perdita progressiva di capacità im– prendi ti va che soffre la società moderna : ma anche qui non è chiarito se la loro origine risalga all'intervento statale o non, piuttosto, alla crisi stessa delle strutture, che di riflesso spinge lo Stato a supplenze anorganiche, senza prospettive di sviluppo. E' poi da notare che l'attenzione di Je– molo si rivolge soprattutto alla crisi dello Stato italiano: i riferimenti alla legge elet– torale, ai diritti « casuali », alla prassi am– ministrativa e giudiziaria (è il miglior ca– pitolo del libro}, lo dimostrano ad abbon– danza. Però bisogna avvertire che in questo quadro mancano troppi protagonisti: dove sono 1 contadini? Dov'è Nord-Sud? Si può parlare della crisi dello Stato italiano senza prendere le strade di campagna, rimanen– do negli orticelli suburbani degli operai che marciano in lambretta? Jemolo non si accor– ge dei contadini italiani in preda alle con– vulsioni rivendicazioniste sollecitate dal ri– formismo di Stato: su un piano più tradi– zionale e domestico dovrebbero almeno ve– nirgli incontro i sindacati. Ma anche que– sti sono lasciati da parte, perchè l'autore ha fr_etta di entrare nelle stanze dei capi– divisione o nelle familiari aule della giu– stizia. Forse è mancata a Jemolo la forza di attuare un disegno non privo di grandiosi– tà: egli è cosciente che con l'evoluzione, con la crisi di ogni forma di Stato, si co– glie al tempo stesso l'evoluzione, la crisi della società, dei rapporti tra le classi, si coglie l'ascendere e il declinare delle ideo– logie, cosl il rapporto tra ideale religioso ed ideale civile, cosl il mito dinastico o la idea nazionale assegnati come piattaforma « a base dello Stato » (p. 1 o). Però non c'è la coscienza della crisi; ma di -'una crisi, superabile con un moto storicamente im– prevedibile: certo Pautore sa che indietro non si torna e il fascino dell'ottocento non lo illude di recuperi impossibili. Ma non può avere la prima forma di coscienza, del– la crisi come sistemazione culminante di un processo che degrada tutti gli acquisti stonc1: per avere questa forma di visio– ne, diffusa oggi solo in alcuni ambienti giovanili, bisogna avere davanti agli occhi un fantasma di società organica che non è mai esistita, e di cui nel passato si co– glie solo qualche segno. E' il mancato ap– profondimento alle radici, di questo mo– mento, in cui siamo vicini ad una enorme resa di conti, a produrre una conclusione che non è poi nemmeno a livello del libro: « è vano cercar d'indovinare quali saranno gli aspetti di una nuova forma di Stato. Possiamo solo dire ch'essa apparirà nei suoi tratti allorchè in seno al popolo, o, se si preferisce, alla classe politica sarà spirato un soffio animatore » (p. 183). E auspica « un affiato morale », « un ritorno al mes– saggio cristiano »: ma è come se l'autore parlasse in sogno. LEOPOLDO ELìA Depressione e ristagno dell'economia italiana "f\,f an mano che si matura in individui e in gruppi, la coscienza della crisi generale del– la società italiana, sorge anche il bisogno di leggere dei testi in proposito. Si chiedo– dono articoli, saggi, libri, ecc. che siano in grado di aiutare l'approfondimento di questa coscienza, di precisare i termini rea– li della crisi e quindi anche del suo supera– mento possibile: si chiede una " cultura sul– la crisi" che stimoli la formazione del– l'autocoscienza al livello storico, e permet– ta a ciascuno di capire qual'è il suo giusto comportamento oggi. '!via questa domanda (alla cui nascita cer– tamente anche T. G. concorre) trova ancora difficilmente risposta. Il fatto è che non esiste ancora una "cultura sulla crisi'': al massimo se ne trovano già degli spunti, o BibliotecaGino Bianco anche degli inizi di formulazioni precise che fanno già parte della nascente cultura. A questo proposito dobbiamo segnalare l'articolo "Ristagno e depressione nell'eco– n01nia italiana" di l\1uzio e Napoleoni, suÌ n. 7 del nuovo settimanale « Mercurio » : ecco due pagine da leggere, che· sebbene di cultura specialistica, sono utili a tutti. A noi sembra che questo articolo sia molto importante, per varie ragioni. Esso dà un quadro unitario della crisi delle strutture economiche italiane, mostrando il leganie tra la crisi di sottosviluppo del sud e la crisi di ristagno dei settori econo1nici mo– derni del nord: un quadro della crisi ita– liana, e non solo della parte arretrata, co– me oggi si continua a fare. In secondo luo– go viene messa in luce la crisi della cui tura economica attuale nelle sue insufficienze e nei problemi teorici la cui mancata impo– stazione e soluzione appunto è determinante della crisi culturale. In terzo luogo queste due linee di ricerca sono s1.:olte entro i termini del sistema economico attuale, su un piano di critica interna, per cui sono comprensibili a tutti, in quanto non impli– cano delle nuove categorie culturali. 1'1a per fare un articolo conte questo son state ne– cessarie sia delle nuove ipotesi di ricerca, sia in generale un nuovo atteggbmento cul– turale: in definitiva, anche se non appare, è stata necessaria superare la esistente cul– tura, e porsi nel piano della nuova cul– tura. Infatti la cultura slllla crisi non può che essere l'inizio di una nuova cultura. La cul- 19

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