Terza Generazione - anno II - n. 6-7 - marzo-aprile 1954

ne hanno paura; affiancheranno quelli del posto; sono giovani e sai cosa voglia dire la prima cattedra: tutto l'entusiasmo che ci si porta, tutte le innovazioni che si sognano, quasi tutto de– stinato poi a naufragare nel ma• re magnum dell'inerzia. Il maestro della terza genera– zione è una forza " concreta'', l'unico che giunga in ogni casa senza essere intruso; al Sud è ascoltato come autorità indiscu– tibile. C'è urt gran desiderio nel– le famiglie (nelle quali sono quasi tutti analfabeti) che i figli imparino. E' una nuova coscien– za; al sud c'è qualcosa di nuovo da qualche anno. Sono zone tremendamente in– dietro, che sanno di favola. Dal– la mia scuola il primo paese di– sta un'ora e mezzo di cam1nino fra le montagne, per certe mu– lattiere dove in questi tempi il fango è alto un palmo. Ci sono due fiumi da passare, e quando sono in piena si resta isolati. Negli altri tempi si guada a ca– vallo. Natural1nente manca la lu- ce, l'acqua in casa, la stanza do– ve il maestro di obbligo " de– ve '' dormire, una toilette. Man– cano carte geografiche, alfabetie– ri, manca tutto. lo mangio e dormo nell'aula stessa, dove al 1nio arrivo stavano i porci, e mucchi di frumento, e dove ancora oggi sono sacchi di grano, e corrono i topi. La toilette è sempre all'aperto: pio- 1.1ere o nevicare. Questa è la scuo– la dove qua viene su la quarta generazione. Non è retorica, nè umore di scontento. A me anzi questo modo di vita serve mol– to; è una esperienza straordi– naria. Non mi occupo di inchieste, nè di questioni sociali, e quanto ho fatto è stata azione particola– re per un soddisfacimento di ne– cessità improrogabili. !\Iuta ogni fonte che aveva l'obbligo di prov– vedere, ho bussato alla Cassa del Mezzogiorno,.. ed all'a,rivo dei pacchi tutti si sono stupiti. Era la sincera sorpresa nel vedere una novità. Beninteso, questo è di im– portanza relativa; dall'esterno Una nota alle tre lettere potranno giungere aiuti, ma non è da fuori che il sud potrà pren– dere coscienza. Quasi ogni sera sono invitato alle " masserie "; si ascolta una radio ad accumolatori, e si com– mentano i fatti. Allora mi chie– dono di tutto. Ai grandi fuochi si riuniscono le famiglie; lì com– mento la Bibbia, o racconto qual cosa del mondo. Non è un quadro di Segantini, o l'apertura di una finestra su qualche secolo passato. E' una realtà che chiunque può vedere; basta prendere il treno da Mila– no e da Roma. Può essere inte– ressante, magari per snob, o semplicemente per aver qualcosa da narrare in società. Quaggiù non si pensa dove possa portare una malattia; ci si cura coi semplici. Quasi nes– suno chiama la levatrice o il medico. Vengono ce1te vecchie e si partorisce in campagna. La mortalità è altissima. E' solo di alcuni giorni f à un avvenimento che ha fatto rifiettere: la morte di una madre di 45 anni. Lascia nove figli, anzi dieci poichè il figlio nato è vivo. lo l'ho sapu– to tardi, altrimenti non sarebbe successo. Il marito inoltre ha un " lupus '' al volto e da molti anni non si decide a farsi cu– rare. Questi scorci sono stati ne– cessari per rendersi conto di quale esistenza si conduca an– cora oggi, e di quanto ci sareb– be da fare. Mi sembra anche che in particolare il maestro potrebbe intraprendere azioni positive. Avrei da scrivere ancora a lun– go, ma hai già capito: questo mi interessava. Sarei lieto se mi ospitassi in T.G. poichè è gente che merita si faccia qualcosa, e forse così ne verrà qualche incontro, e si farà vivo qualcosa, almeno un principio coordinatore. C'è già un cambiamento profondo in at– to. Sarebbe tempo di lavorare, per aiutarlo. Cordialrnente. G1usEPPE BuFALARI La lettera di Bufalari sembra esprimere una certa sfiducia negli universitari e nel collegamento fra l'Università e i problemi dei paesi nei quali questi universitari vi– vono. no capaci: come tu dici, « c'è già un cam– biamento profondo in atto e sarebbe il tem– po di lavorare per aiutarlo ». sapendo diventare espressione di più vasti in– teressi esistenti nel paese, sapendosi legare agli universitari nei paesi e attraverso ad es– si alla realtà strutturale del nostro paese, oppure non restava e non resta ad esse altra strada che quella di andare a rafforzare le già sparuti, confuse ed inconcludenti schiere degli intellettuali politici senza forza poli– tica. E' vero che molto spesso gli universitari di un paese non vivono che per attender l'occasione di allontanarsi e quindi spesso non fanno nulla per il paese in cui vi– vono. E' vero che l'Università stessa non li forma e non li prepara ad interessarsi alle condizioni della società in cui vivono, è vero che il rapporto che essi hanno con l'U– niversità è spesso soltanto nominale Tuttavia questi universitari sono energie potenziali fortissime ed hanno problemi che non sono insignificanti, anzi spesso sono più importanti di tanti problemi dibattuti nelle associazioni universitarie di città. Del resto noi avevamo fatto un esame universitario perchè oggi in quel settore molte energie vanno applicate in direzione sbaglia– ta: ma gli obiettivi che indicavamo sono quelli di qualsiasi uomo che oggi si ponga il problema dello sviluppo civile della nostra società. Quindi ben vengano i maestri, ben vengano gli universitari, ben vengano i te– cnici agrari, le assistenti sociali, i contadini e i giovani sacerdoti tutti coloro che ne so- ibliotecaGino Bianco Con Almo Paita ci metteremo in contatto per fare la sua inchiesta: Almo Paita studia a Torino ma è d'accordo con noi che può essere utile ai suoi amici di Torino, alla stes– sa cultura dell'Università torinese, se farà qualcosa per il suo paese, se riuscirà a sosti– tuire, per quella parte che gli è possibile, dei problemi reali a tante .evasioni che oggi la vita culturale dell'Università permette. La critica e il dissenso di Ludovico Actis Perinetti appaiono in termini più chiari se confrontati alle lettere di Paita e di Bufa– lari. Il punto di dissenso, come lui dice, irridu– cibile è quello del << concetto illuministico della cultura » al quale noi non sapremo « sostituire che un esaltante avventura di sco– perta delle persone ». E' questo vizio illuministico che vede la cultura ristretta ad dialogo solitario dei sofi e la storia opera degli intellettuali politici che fa sopravvalutare a Ludovico Actis Peri– netti il fenomeno di alcune punte aristocrati– che maturatesi nell'università. Queste élites aristocratiche avevano ed han– no due strade di fronte a sè: o giustificarsi Nè d'altra parte crediamo alle sacre ve– stali che conservano il problema della cul– tura universitaria anche per il giorno in cui le « energie della provincia » si saranno de– state. « Che cosa darete alla provincia quando si sarà destata? » egli ci domanda. In realtà se il nostro paese si desta, se gli uomini te– nuti fuori della storia prenderanno a diri– gerla per proprio conto, saranno essi a dar– ci qualcosa e non sarà certo la esperienza « istituzionale » le sacre vestali della cultu– ra universitaria a stabilire in quale maniera queste forze si dovranno muovere. Il vizio illuministico è anche presunzione: è pensare di essere indispensabili quando si è già diventati inutili. Il far parte di una Interfacoltà, o di un organismo rappresentativo, non significa af– fatto essere classe dirigente nonostante che

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