Terza Generazione - anno II - n. 4 - gennaio 1954

. . • • • • • Le 1111z1at1 ve di generazione Ai molti che ci hanno chiesto chiarimenti e fatto obiezioni circa il tipo di iniziativa giovanile di cui 4 T. G.~ si è fatta sollec1tatrice, .abb~ai:no pe~to di rispondere colletti– vamente a partire da questo numero con una sene d1 interventi di redattori e di coloro che già operano in Italia nello spi~it~ di gen~razion_e. . , . . , . . . Verremo illustrando i punti a cui ciascuno tiene di piu, quelli c10e su cui, dalle intui– zioni iniziali più è venuto portando il proprio contributo di riflessione a contatto con le esperienze' pratiche. E' possibile che questo modo di esposizione permetta a un mag– gior numero di giovani di meglio comprendere cosa intendiamo dire e consenta loro di chiarirsi ciò che essi stessi cercano. Un problema sarà esaminato sotto angoli di visuale diversi e ciò aiuterà a « vederlo ». Suppliremo cosi alla mancanza di metodi già belli e definiti, portando il lettore a partecipare di fatto al processo stesso della nostra ricerca. Con il lavoro di questi mesi, se siamo lungi dall'aver risolto compiutamente anche solo i problemi iniziali, qualcosa abbiamo già fatto. Cominceremo parlando delle inchieste e delle iniziative: non esauriremo di certo l'ar– gomento perchè la nostra esperienza - ed è questo il suo attuale limite, ma anche per converso il suo valore - ci ha portato a con1incia,re dai paesi. Dai paesi anonimi fuori dalla cronaca di questi ultimi anni, dove non si sono avute nè riforme nè esperienze particolari (che non sono solo in zone meridionali ma anche vicino alle grandi città del centro e del nord Italia). i paesi comuni la cui storia ignoriamo e cerchiamo spesso di dimen– ticare anche quando da essi si sono mossi i nostri genitori. La crisi, i giovani italiani e l'azione Si è fatto in questi ultimi tempi un gran parlare di crisi. Se ne sono esaminati gli aspetti economici, sociali, politici: è man– cata però finora una considerazione attenta che sapesse valutare, al di là di generiche affermazioni, ogni fenomeno nella sua in– terezza, spiegandolo non in sè, ma in rife– rimento alle sue radici. Dire infatti che v1v1amo 1n una situazione di crisi, signi– fica, soprattutto, come già altra volta è stato detto, constatare l'esistenza di « uno spacco tra le possibilità dell'uomo e quel che a lui oggi è concesso di fare >. Al di là quindi delle ripercussioni economiche, sociali, politiche, la crisi tocca l'uomo. Il pericolo della disgregazione, lo sviluppo disordinato delle tecniche, l'esistenza di zo– ne di umanità dimenticate, la mancanza di idee che comprendano le situazioni per andare avanti, la perdita del senso di un comune destino, non sono che indici di una situazione cli imrnobiUtà. Non po– tendo l'uomo dare quel che dovrebbe, non esiste nessuna garanzia di sviluppo: la sto– ria diventa ordinaria amministrazione. Bisogna quindi prendere coscienza della crisi e aiutare ogni uomo a riacquistare la fiducia e la misura delle sue possibilità, che altrimenti 1-a situazione è destinata ad aggravarsi. Lo spreco continuo delle ener- Biblioteca Gino Bianco g1e che avviene ogni giorno per la condi– zione di chiusura e di dispersione in cui si trovano gli uomini è una perdita secca, per l'umanità e per i singoli, che non può essere più a lungo sopportata: siamo giun– ti al punto limite, oltre il quale è difficile rimediare. Ci sono, è vero, degli uomini che sperano, ma le speranze, se non tro– vano possibilità di applicazione, non in- cidono sulla crisi: sono solo al di sopra e non oltre essa. Naturalmente un lavoro qualsiasi non basta: l'attivismo, come tale, non ha al– cuna possibilità solutiva. L'azione deve es– sere garantita da una tensione e assicurata da un atteggiamento che stimoli e diventi cultura. Alla fiducia nelle possibilità del– l'uomo si deve accompagnare una presa di coscienza delle necessità del momento storico e della situazione nella quale si vive: bisogna cioè individuare le necessità storiche: umane e nazionali, perchè usci– re dall'immobilità non significhi semplice– mente muoversi, ma muoversi 1n una certa direzione, « muoversi per ». Su questa linea il lavoro può diventare creativo e di tutti. Oggi infatti data la drammaticità della situazione (il punto li– mite della crisi a cui accennavamo prima) è richiesto il massimo di investimento: • ognuno deve liberare il meglio di se stesso. Finora la storia è andata avanti per virtù dei « notabili »: l'uomo comune ha sempre creduto solutivi i grandi gesti, ri• servando per sè una vita oscura, « aromi• nistrativa ». E' tempo di rovesciare tale atteggti.~– mento perchè oggi il contributo di ognu• no è insostituibile. Per questo è necessaria la fiducia nelle possibilità dell'uomo e la convinzione che ogni lavoro, svolto con un tale spirito, non si spreca. E' chiaro che per evitare il logoramento e la delusione delle speranze, gli obiettivi che si perse– guono devono essere al livello delle pos• sibilità: altrimenti si falsano le capacità e si mettono i più nella condizione di non agire. Ognuna delle affermazioni che abbiamo fatte è verificabile in Italia. Nel nostro paese si è usi non far niente al· di fuori delle istituzioni: tutti guardano agli ope– ratori tradizionali, pensano allo Stato, cre– dono (chi più, chi meno, a seconda delle letture e delle cose che si sentono dire) nella crisi; e irttanto nessuno si muove, si vive alla giornata nell'attesa di un inter– vento miracolistico che risolva la situa– zione. Si sprecano energie. Tutti sprecano energie. Anche i giovani, anzi particolar– mente i giovani. Essi infatti hanno una ri– serva di energie maggiore di quella degli adulti (che devono spenderne continua– mente per conservare una posizione e che, appiattiti nelle loro attività, non hanno la possibilità di sostituire ciò che impie– gano); sono in grado cioè di dare di più e subito con una spinta più forte, chè sen– tono più di tutti. - non avendo posizioni da conservare, ma solo delle speranze da investire - la necessità di costruire per loro e per gli altri un certo domani. All'origine del nostro lavoro ci sono quindi, oltre la coscienza della crisi (ra– gione prima di tutti i nostri discorsi) delle constatazioni: i giovani oggi in Italia non fanno niente, sprecano ricchezze, sono po• tenzialn1ente disposti a fare qualcosa. In– vitarli a mettersi di fronte ai loro pro-

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=