Terza Generazione - anno II - n. 4 - gennaio 1954

mo accettata come unica possibilità oggi esistente, pe,· penetrare e conoscere la real– tà che ci circonda, non solo nelle sue strut– ture, ma soprattutto negli uomini che ne partecipano. Capire dunque i bisogni degli altri (e con questa parola intendo le loro necessi– tà, le loro aspirazioni, i desideri, le loro speranze) per congiungerli ai nostri e so– lo così trovare il significato del « nostro » lavoro. Forse non ho risposto alla domanda che mi sono posto: certamente non l'ho I atto in termini di cultura: ma oggi questo non è ~ossibile (e neanche strettamente neces– sario). Mi auguro solo che questi pochi 1notivi trovino qualcuno in grado, più di me, di chiarirli e, soprattt#to, di viverli. UGO MARCHE~I Inchiesta e iniziativa nel ilt/ezzogiorno E' ipotesi di lavoro di questa rivista tro– vare con l'inchiesta i nodi di una struttu– ra e di una situazione per sollecitare delle energie autonome che possono agire al– l'interno e risolvere le strozzature rilevate che impediscono lo sviluppo. Ipotesi auda– ce, specie quando vuole giungere a opera– re su quella realtà intricata che è il Mez– zogiorno d'Italia. Già sono caduti molti pregiudizi di una storiografia quasi illuministica, la quale, estasiandosi dinanzi alla tradizione cultu– rale di queste terre ignorava gli aspetti concreti e non certo entusiasmanti delle si– tuazioni e congiunture determinate. Quan– do gli studi di Fortunato e di Dorso ven– nero a conoscenza del pubblico, gli stes– si meridionali credettero di trovarsi di fronte a pagine scandalistiche, abituati co– me erano alla storiografia entusiastica di cui Benedetto Croce fu il più illustre espo– nente. La realtà colpiva gli stessi interessa– ti come una fantasia. Ma ancora oggi siamo molto lontani da una conoscenza adeguata e propria di quella realtà, di cui si sono studiati soltanto aspetti generali. A che cosa può servire una moltiplica– zione di inchieste concepite con i criteri, quali propone T. G.? C'è una opinione diffusa in queste ter– re che interpreta i principali avvenimen– ti degli ultimi tempi con un atteggiamento profondamente negativo. Si dice: l'unità d'Italia è stata in realtà una conquista 4( piemontese » del Mezzogiorno, e sono stati gli altri a imporre a noi una strut– tura che abbiamo accettato ma non creata noi, da noi. Si dice ancora: in tanti anni di condominio, grazie al tradimento della classe padronale, che pensò soltanto a sal– vaguardare - e non bene - i suoi inte– ressi- e privilegi, il soccorso statale è stato completamente nullo, mentre una tassazio– ne, in relazione a quelle che erano le no- BibliotecaGino Bianco stre minime possibilità di recupero, asso– lutamente esosa e sproporzionata trasferi– va al Nord il ri1nasuglio di danaro che an– cora ci dava la facoltà di « campare ». Il fascismo, che trova ancora qualche consen– so nel meridione per il ricordo lasciato di un'epoca a relativamente meno basso te– nore di vita, fu un fenomeno settentriona– le e l'audacia di Padovani fu stroncata ben presto dall'assassinio. Perfino la monarchia, che certo non risolveva nè, in fondo, po– teva risolvere il problema, fu difesa, per motivi sentimentali e di ordine clienteli– stico, dai meridionali e il settentrione im– pose la repubblica. Per finire la Cassa del Mezzogiorno sta violentando la struttura economica meridionale, ma non è stata es– sa un prodotto esterno più che interno e non si rovescia il capitale settentrionale a sommuovere e soffocare in realtà proprio quello sviluppo di una rivoluzione auto– noma che molti sognano? Non è ancora essa in un rapporto di illuminati e illumi– nandi? Non è la fuga di tanti figli all' este– ro e al settentrione il tentativo di sfuggire a una strettoia che si rivela quasi fatale? Complesso di stati d'animo che rivelano le crepe profonde di una società, che si sente a rimorchio, privata di iniziativa. Ogni tentativo di operare dall'estero si ri– vela forse utile a lungo andare, come cer– tamente sarà la Cassa, ma non agente sul– la realtà più profonda della situazione. Vi sono pregiudizi e fatalismi contro cui bi– sogna lottare per raggiungere una inizia– tiva autonoma, bisogna soprattutto dare a ognuno la speranza di poter agire. E non e facile. Quando si è colto il nodo della situa– zione storica, determinante la successiva conformazione dell'economia meridionale, ci si trova di fronte a complessi storico– soggettivi da vincere che sono il vero fon– do del problema. Qualcuno li ha visti un po' semplicisti– camente, ma con risultati da non trascura– re del tutto, ricollegandoli alla psicologia misticizzante della aristocrazia pitagorica o del popolo sibaritico, non nel senso di una accentuazione del carattere godereccio di genti che non lo sono o non più delle al– tre, ma di una certa mania contemplativa e sentimentale, ragionatrice anche a fred– do, nonostante il mito della impulsività me– ridionale, ma sostanzialmente fatalistica, legata al presentimento di una impossibili– tà di modificare la reale condizione umana. Ma quanto di questo fatalismo non è che una sfiducia direi atavica nelle proprie possibilità, succube acquiescenza a un am– biente che non si riesce a vincere? Quan– to è dovuto a una incapacità di concepire i termini medi di una progettazione di cui si vedono solo le mete terminali? Il complesso di una struttura arretrata di fronte a un sistema industriale non può essere vinto da un'opera di rivalutazione delle energie chiamate a operare nelle stesse strettoie attuali? L'autentica rivolu– zione non consiste proprio nel sollecitare queste energie più che nel sovrapporre una realtà economica diversa non assimilata? E' dunque difficile fare non solo l'inchie– sta, verso la quale oltre tutto avremo la sorpresa di vedere spesso dei contadini re– frattari e increduli, ma una sollecitazione di iniziativa. Ciò non toglie però che pro– prio questo sistema sia l'unico atto a ope– rare nel profondo. Per vincere però i fon– damentali pregiudizi è necessario lavora– re, credo, almeno inizialmente, in un ter– reno con risultati a breve scadenza. Studiandole così con pazienza e senza fretta, le energie sopite di queste terre ri– veleranno delle possibilità molto superiori a quello che oggi possiamo immaginare. Il problema delle colture arretrate, dei mez• zi meccanici inesistenti, della refrattarietà all'associazione, dell'individualismo atomi– co e legato a concezioni ancor medievali, del pesante immobilismo delle struttur,' feudali agrarie, potranno, sfaldandosi ne. loro presupposti, avviarsi lentamente, ma progressivamente, alla risoluzione. Si trat ta insomma proprio di porre in atto, su perando le difficoltà di reazione psicologi– ca di fronte ad atteggiamenti refrattari, quello che è lo scopo dell'iniziativa & T. G., « proporre una trasformazione del l'atteggiamento mentale con cui i meridio• nali guardano le strutture ». Solo allora, dall'esteriore passando all'operazione sul– l'interiore umano, si potrà pensare a una modifica della situazione attuale del Meri– dione. SALVATORE o'ELIA

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