Terza Generazione - anno I - n. 3 - dicembre 1953

Alla scoperta delle relazioni un1a11e « Ciò che ci ,nuove non è un progrant1na, articolato in punti e cornma, rna soprattutto una sorta di atteggia– nzento un,ano, volto a riscoprire i valori co1r1,unia tutti gli uomini, proprio in un'epoca in cui sempre più fitte e spesse si levano muraglie tra gruppo e gruppo, fra individuo e individuo». Così uno dei promotori di T. G. ha scritto nella « Presentazione » della rivista, e ci sembra a distanza di qualche mese necessario tornare ad approfondire ciò che è stato allora espresso con quelle parole, per non perdere il senso del punto centrale del nostro impegno, per non lasciare una delle intuizioni più preziose del nostro capitale inutilizzata sul piano del discorso ragionato, per richiarnare con forza l'atten– zione su una ipotesi di lavoro circa la quale non solo noi, nta tutti, sono oggi a « quota zero» e per di più senza neppure averne adeguata coscienza. C'è un mondo da scoprire, e non con viaggi d'evasione in altri pianeti o in suggestive « nuove Atlantidi »; un mondo la etti scoperta non può più essere affidata a po– chi privilegiati, per merito o senza merito, ma all'opera di tutti, nessuno escluso, pena una perdita non solo quantitativa ma qualitativa; un mondo la cui conquista non comporterà guerre e morti, ma certo lotte ed eroiche testimonianze. E' il mondo dei rapporti e delle relazioni umane. I rapporti umani esistono, e sono rapporti reali e fon– damentali, perchè sono quelli che consentono all'uomo lo sviluppo normale e pieno della sua formazione e della sua educazione. Si diventa uomini ,veramente, solo se si riconosce il proprio posto d'impegno, di vocazione di fronte alla vita di tutti, e se ci si attrezza storicamente e tecnicamente in modo da poter con la propria vita rispettare l'impe– gno,· si diventa uomini veramente solo se ci si educa, ed è questo dovere d'ogni giorno, nella ricerca e nella « con– templazione della verità». Nel primo caso il mezzo è il lavoro in comune, il fine l'integrazione; nel secondo il mezzo è il dialogo, il fine la raggiunta unanimità nella verità. Ed in entrambi i casi è necessario intrattenere stabili relazioni con altri uomini. C'è integrazione infatti quando c'è scambio non oneroso di « esperienze di vita», quando cioè ciascuno dà agli altri secondo il massimo delle sue possibilità,· c'è unanimità nella verità quando la ragione e l'-esigenza dell'altro diventano causa di sviluppo dei « princìpi » di tutti. E' su questo terreno che l'umanità può riconoscersi una e fondare gli istituti della propria comunità sostanziale. Biblioteca Gino Bianco Ma per raggiungere queste mete, che oggi vivono nel– l'aspirazione prof onda di molti, la strada è tutta da per– correre ed anzi, in concreto, tutta da inventare. A prima vista tutto lascierebbe prevedere la « eterna utopia » di quanto si viene qui dicendo. Mai come oggi gli uoniini sono isolati, chiusi, muti. La loro singolarità ineliminabile è diventata mistero che non conosce comunicazione, le cose più vere sono diven– tate segrete, e più sono segrete e più si vorrebbero dire, più si ha paura di aprirsi, di com1tnicarle. Non ci si parla più, non si comunica tra padri e figli, tra· fratelli, tra mogli e mariti, tra amici, tra coloro che lavorano accanto ogni giorno, tra i frati dello stesso convento. Si è perso il senso della 'essenzialità dello scambio dei sentimenti più profondi, delle idee sul piano della ve– rità, dei desideri e delle aspirazioni sul piano dell' atti– vità; si è perso il senso dell'arricchirsi reciproco grazie all'esperienza di persone con vocazioni, attitudini e ca.. pacità diverse (anzi, si crede che gli uomini siano fungi– hili e intercambiabili, che di fronte allo stesso fatto tutti reagiscano allo stesso modo),· si è dimenticata l4 neces– sità dell'altro per poter essere sicuri delle proprie scelte tra bene e male, tra giusto e ingiusto, tra verità e men– zogna. Si è dimenticato insomma che la storia delle strut– ture umane non esaurisce la storia degli uomini, se non nel suo aspetto di fissazione dal dato, di immobilità, di . rnemoria. E poichè si è perso il senso del comunicare con gli altri, dell'avere relazioni umane, rapporti umani, si è giunti all'ttlteriore passo di perdere il senso del comuni– care, del parlare con se stessi, e finanche del cercare Dio dentro di noi che è cercare il nostro fine. Più si è andati avanti su questa strada e più ciascun uomo si è sentito solo, e più ci si è sentiti oppressi da questa solitudine e più se ne è avuta paura, e si sono cer– cati conforti nelle possibilità di evasione individuale o di massa che, instancabilmente e' sempre insufficiente– mente, si sono venuti escogitando. E' la tragedia del silenzio di cui ha scritto Natalia Ginzburg: Di solito questo vizio del silenzio che avvelena la nostra epoca lo si esprime con un luogo comune: « Si è perduto il gusto della conversazione ». Chi se ne frega. Mt1 è l'espressione futile, mon– dana, di una cosa vera e tragica. Dicendo « il gusto della con– versazio1fe » noi non diciamo niente che ci aiuti a vivere: ma la possibilità di ,un libero e normale rapporto fra gli uomini, questo sì ci manca, e ci manca al pz,nto che alcuni di noi si . sono ammazzati per la coscienza di questa pri-vazione. Il silen- I

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