Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

Chi sono gli altri e chi siamo noi? ci chiediamo. Restiamo a volte tutto un po– meriggio soli nella nostra stanza, a pen– sare: con un vago senso di vertigine, ci chiediamo se gli altri esistano veramente o se siamo noi che li inventiamo. Ci di– ciamo che forse, in nostra assenza, tutti gli altri cessano di esistere, scompaiono in un soffio: e miracolosamente risorgono, scaturiti d'un tratto dalla terra, non ap– pené' guardiamo. Non ci potrà succedere forse che un giorno, voltandoci d'improv– viso, non troveremo niente, nessuno, spor– geremo la testa sul vuoto? E allora non c'è ragione, ci diciamo, di sentire tanta tristezza per il disprezzo degli altri: degli altri che forse non esistono, che dunque non pensano nulla nè di noi nè di sè. Mentre siamo assorti in questi pensieri vertiginosi, viene nostra madre a proporci di uscire a prendere un gelato: e ci sen– tiamo allora inesplicabilmente felici, smo– datamente felici, per quel gelato che man– geremo fra poco: e come mai una tale felicità in noi, ci chiediamo, per la pro– spettiva d'un gelato, in noi che siamo così adulti nei nostri vertiginosi pensieri, così stranamente perduti in un mondo di ombre? Accettiamo la proposta di nostra madre, ma ci guardiamo bene dal mo– strarle che ne abbiamo un grande piace– re: a labbra sigillate camminiamo con lei verso il caffè. Sempre dicendoci che gli altri non esi– stono forse, che siamo noi a inventarli, seguitiamo inesplicabilmente a soffrire per il disprezzo che ci dimostrano i nostri compagni di scuola, per la pesantezza e la goffaggine della nostra persona, così degna di sprezzo a nostro stesso giudi– zio da fare vergogna: quando gli altri ci parlano, vorremmo coprirci il viso con le due mani tanto ci sembra brutto, in– forme il nostro viso: e tuttavia sempre fantastichiamo che qualcuno s'innamori di noi, ci veda mentre prendiamo il gelato con nostra madre al caffè, ci segua di nascosto fino a casa e ci scriva una let– tera d'amore; aspettiamo questa lettera, ogni giorno ci stupiamo profondamente di non averla ricevuta ancora; ne sap– piamo delle frasi a memoria, tante volte le abbiamo mormorate dentro di noi· al- ' !ora, quando questa lettera sarà arrivata, avremo davvero un ricco mistero fuori di casa, una storia segreta che s'intrec– cerà tutta fuori di casa; perchè adesso, dobbiamo confessare a noi stessi che il nostro mistero è una povera cosa, è ben poco quel che si nasconde dietro la no– stra fronte di pietra, che presentiamo ai bliotecaGino Bianco nostri genitori per il bacio serale; dopo quel bacio, scappiamo di gran corsa nella nostra stanza, mentre i nostri genitori si bisbigliano domande sospette su di noi. Al mattino, ce ne andiamo a scuola dopo aver .fissato con preoccupazione nel- lo specchio il nostro viso: il nostro viso ha perduto la vellutata delicatezza dell'in– fanzia; noi pensiamo allora con rimpian– to all'infanzia, a quando facevamo delle colline di terra, e il nostro solo dolore era se litigavano in casa; adesso in casa non si litiga più così spesso, i nostri fra– telli maggiori sono andati ad abitare per conto proprio, i nostri genitori sono di– ventati più vecchi e tranquilli; ma della . . ' . casa non ce ne importa p1u niente; cam- miniamo verso la scuola, soli nella neb– bia; quando eravamo piccini, nostra ma– dre ci accompagnava a scuola, ci veniva a prendere: adesso siamo soli nella neb– bia, terribilmente responsabili di tutto quel che facciamo. Ama il prossimo tuo come te stesso, ha detto Dio. A noi questo sembra as– surdo: Dio ha detto una cosa assurda, ha imposto agli uomini una cosa che è im– possibile attuare. Come amare il nostro prossimo, che ci disprezza e non si la– scia amare? E come amare noi stessi, spregevoli e pesanti e tetri come siamo? Come amare il nostro prossimo, che non c'è forse ed è solo una folla di ombre, mentre Dio ha fatto noi, noi soli, e ci ha messo qui su una terra che è un'om– bra, soli a nutrirci dei nostri vertiginosi pensieri? Abbiamo creduto in Dio da bambini, ma adesso ci diciamo che forse non esiste: oppure esiste e non gliene importa niente di noi, perchè ci ha mes– so in questa situazione crudele: e allora è come se non esistesse per noi. Pure ri– fì utiamo a tavola una pietanza che ci piace, e passiamo la notte sdraiati sul tap– petino della nostra stanza, per mortificarci e punirci dei nostri pensieri odiosi e per essere cari a Dio. Ma Dio non esiste, pensiamo, dopo una intera notte passata sul pavimento, con le membra tutte indolenzite e lunghi brividi di freddo e di sonno. Dio non esiste, per– chè non avrebbe potuto inventare questo mondo assurdo, mostruoso, questa com– plicata macchinazione dove un essere umano cammina solo, al mattino, nella nebbia, fra case altissime abitate dal pros– simo, dal prossimo che non ci ama e che è impossibile amare. E del prossimo fa parte anche quella razza mostruosa, inesplicabile, che è di un sesso diverso dal nostro, dotata di una terribile fa– coltà di farci tutto il bene e tutto il male, dotata di un suo terribile potere segreto su di noi. Potremo mai piacere noi a questa razza diversa, noi che sia– mo così disprezzati dai compagni del no– stro stesso sesso, giudicati così noiosi e da nulla, così inetti e goffi in ogni cosa? Succede poi un giorno che il più am– mirato, il più stimato fra tutti i compagni di scuola, il primo. della classe, si lega a un tratto d'amicizia con noi. Come sia accaduto, non sappiamo: ha posato su di noi a un tratto il suo sguardo azzurro, ci ha accompagnato fino a casa un gior– no e si è messo a stimarci. Il pomerig– gio, viene da noi a fare i compiti: abbia– mo fra le n1ani il prezioso quaderno del primo della classe, scritto nella sua bella calligrafia aguzza, in inchiostro azzurro: possiamo copiar.e il suo compito, che è tutto senza errori. Come ci è toccata una simile felicità? Come l'abbiamo conqui– stato, questo compagno così superbo con tutti, così difficile da avvicinare? Adesso si aggira fra le pareti della nostra stanza, scrollando accanto a noi la sua criniera fulva, tendendo ai noti oggetti della no– stra stanza il suo pro.filo aguzzo, disse– minato di lentiggini rosee: a noi sembra che un raro animale dei tropici sia ve– nuto, miracolosamente addomesticato, fra le pareti di casa nostra. Si aggira per la nostra stanza, ci chiede la provenienza degli oggetti, ci chiede in prestito qual– che libro: fa merenda con noi, sputa con noi i noccioli delle prugne giù dalla ter– razza. Noi che eravamo disprezzati da tutti, siamo stati prescelti dal più inarri– vabile, dal più insperato compagno. Per– chè non si annoi in nostra compagnia e non ci lasci per sempre, convulsamente gli parliamo: buttiamo fuori tutto quel che sappiamo di parole sconce, di film e

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