La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

MEMORIA Caro San Cristoforo Alexander Langer Questo testo è stato scritto per "Lettera 2000", Editrice Eulama, marzo 1990. ♦ Caro San Cristoforo, non so se tu ti ricorderai di me come io di te. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all'esterno di tante piccole chiesette di montagna. Affreschi spesso sbiaditi, ma ben riconoscibili. Tu - omone grande e grosso, robusto, barbuto e vecchio - trasportavi il bambino sulle tue spalle da una parte all'altra del fiume, e si capiva che quella era per te suprema fatica e suprema gioia. Mi feci raccontare tante volte la storia da mia madre, che non era poi chissà quale esperta di santi, né devota, ma sapeva affascinarci con i suoi racconti. Così non ho mai saputo il tuo vero nome, né la tua collocazione ufficiale tra i santi della chiesa (temo che tu sia·stato vittima di una recente epurazione che ti ha degradato a santo minore o di dubbia esistenza). Ma la tua storia me la ricordo bene, almeno nel nocciolo. Tu eri uno che sentiva dentro di sé tanta forza e tanta voglia di fare, che dopo aver militato - rispettato ed onorato per la tua forza e per il succes~o delle tu~ a:: · m1 - sotto le msegne dei pm illustri e importanti signori del tuo temeo, ti sentivi sprecato. Avevi deciso di voler servire solo uh padrone che davvero valesse la pena seguire, una Grande Causa che davvero valesse più delle altre. Forse eri stanco di falsa gloria, e ne desideravi di quella vera. Non ricordo più come ti venne suggerito di stabilirti alla riva di un pericoloso fiume per traghettare - grazie alla tua forza fisica eccezionale - i viandanti che da soli non ce la facessero, né come tu abbia accettato un così umile servizio che non doveva apparire proprio quella "Grande Causa" della quale - capivo - eri assetato. Ma so bene che era in quella tua funzione, vissuta con modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a prima vista assai "al di sotto" delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per portarlo dall'altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un gigante come te ed avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo dopo aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito ·più gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo, per riuscire ad arrivare là. Dopo di che comprendes.ti . con chi avevi avuto a che fare, ed avevi trovato il Signore che valeva la pena servire, tanto che ti rimase per sempre quel nome. Perché mi rivolgo a te, alle soglie dell'anno 2000? Perché penso che oggi in molti siamo m una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinnanzi a noi. Ormai pare che tutte le grandi cause riconosciute come tali, molte delle quali senz'altro importanti ed illu- ·stri, siano state servite, anche con dedizione, ed abbiano abbondan te men te deluso. Quanti abbagli, quanti inganni ed auto-inganni, quanti fallimenti, quante conseguenze non volute (e non più reversibili) di scelte ed invenzioni ritenute generose e provvide. I veleni della chimica, gettati sulla terra e nelle acque per "migliorare" la natura, ormai ci tornano indietro: i depositi finali sono i nostri corpi. Ogni bene e ogni attività è trasformata in nìerce, e ha dunque un suo prezzo: si può comperare, vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi), e l'utero (per una gravidanza in leasing). Tutto è diventato fattibile: dal viaggio interplanetario alla perfezione omicida di Auschwitz, dalla neve artificiale alla costruzione e manipolazione arbitraria di vita in laboratorio. Il motto dei moderni giochi olimpici è diventato legge suprema ed universale di una civiltà in espansione illimitata: citius, altius, fortius, più veloci, più alti, più forti si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi ... competere, insomma. La corsa al "più" trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile e incontenibile. Superare i limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha .caratterizzato in misura massiccia il tempo del progresso dominato d_auna legge dell'utilità definita "economia" e da una legge della scienza definita "tecnologia" - poc~ importa che tante volte di necro-econo mia e di necro-tecnologia si sia trattato . Cosa resterebbe da fare a un tuo emulo oggi, caro San Cristoforo? Quale è la grande causa per la quale impegnare oggi le migliori forze, anche a costo di perdere gloria e prestigio agli occhi della gente e di acquattarsi in una capanna alla riva di un fiume? Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare? Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del "di ptù" ad una del "può bastare" o del "forse è già troppo". Dopo secoli di progresso, in cui l'andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di "regredire", cioè di invertire o almeno fermare la corsa del citius, altius, fortius. La quale è diventata autodistruttiva, coine ormai molti intuiscono e devono ammettere (e sono lì a documentarlo l' effetto-serra, l'inquinamento, la dcfore-. stazione, l'invasione di composti chimici non più domabili ... ed un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della

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