La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

PACE E GUERRA Bosnia, buonismo e guerrafondai. Intervenire e come Gianfranco Bettin Gianfranco Bettin, scrittore, è assessore alle Politiche Giovanili del comune di Venezia. Il suo ultimo libro, edito da Feltrinelli, è Sarajevo maybe. ♦ Scrivo in un momento forse di svolta nell'assedio di Sarajevo e nella vicenda bosniaca. Dopo l'ultima strage del 'mercato, quella di lunedì 28 agosto, sono incominciati i raid aerei della Nato contro le postazioni serbe che da oltre quaranta mesi seminano morte e terrore e cinsono la città in una morsa d1 ferro e di fuoco. "Ci sono più mezzi di artiglieria pesante attorno a noi, che attorno a Berlino durante l'assedio congiunto di sovietici e alleati sul finire della seconda guerra mondiale" dice Tarik Kupusovic, sindaco di Sarajevo, appena giunto a Venezia (è, oggi, il primo settembre). Kupusovic, sindaco di una grande capitale europea, ha potuto lasciare la città soltanto attraverso il famoso tunnel sotto l'aeroporto, come un evaso d'altri tempi, e poi arrampicandosi sul monte Igman fino a raggiungere i mezzi fuori tiro che l'hanno condotto a Spalato. Questa pazzesca situazione forse oggi è in via di superamento. Tante volte abbiamo incontrato Kupusovic, in Italia o a Sarajevo, sia in momenti di tregua e di speranza sia sotto le bombe, nel pieno della guerra deflagrante. Mai come questa volta però sembra convinto che una svolta positiva, liberatoria, sia possibile e vicina. L'intervento croato a fianco dell'armata bosniaca, certo sorretto dagli Stati Uniti, e la risposta concreta, dura, all'ennesima strage hanno ridato credibilità alle speranze di uscita dall'incubo. E infatti giunge ora la notizia che i negoziati potrebbero entrare presto in una fase risolutiva. Forse il prossimo inverno non sarà tremenVOCI do, gelido e aggredito dalla· paura e dagli stenti come quelli trascorsi dal 1992. Ma perché ci sono stati,· quegli inverni? Cosa impediva alla comunità internazionale di fare prima quello che sta facendo adesso, quello che disperatan:iente sli assediati hanno chiesto mvano per quattro anni di fare? E perché ci sono state, e ci sono ancora, tante ritrosie a mobilitarsi per questo? Perché, addirittura, chi si è pronunciato in questo senso, chiunque egli fosse, è stato tacciato di "guerrafondaio" e irresponsabile fautore di azioni che avrebbero solo aggiunto morte a morte o peggiorato le cose fino a causare, per li rami, la terza guerra mondiale. Vi sono persone che hanno speso anni nel paziente, faticoso e rischioso lavoro di pace e di solidarietà, su e giù · per la ex Jugoslavia, che hanno testimomato in ogni modo il loro impegno, nella prassi nonviolenta, per far tacere le armi e favorire una ripresa del dialogo, della trattativa, oltre che, beninteso, per prestare aiuto concreto. Basterebbe solo il nome di Alex Langer, ma moltissimi altri se ne potrebbero fare. Ebbene, queste persone, di fronte all'impotenza di ogni altr~ argoment_o a fermare la Jeroc1a sistematica e a spezzare l'assedio, si sono convinte che solo l'uso della forza avrebbe potuto ripristinare condizioni minime ai vivibilità nei luoghi aggrediti (che significa almeno proteggere gli mermi, impedire le peggiori efferatezze, far giung_ere i convogli umanitari). <....?uestarichiesta è rimasta per lunghissimo tempo isolata. Da una parte vemva respinta dai governi come troppo rischiosa, nel mentre si alimentava l'idea di una situazione balcanica, e bosniaca in particolare, nella quale torti e ragioni sarebbero troppo confusi, dove non ci sarebbero aggressori e vittime, dove tutti sarebbero, congenitamente, ~ crudeli e, insomma, tutto è un groviglio nel quale non ci si raccapezza ed è preferibile non ficcarsi. D'altra parte; spe·cie a sinistra e nei movimenti di pacifisti, si ribadiva che nessuna guerra è giusta, mai, neanche quella di liberazione, neanche quella di legittima difesa, che comunq_ue non servirebbe, anzi ogni mterven to sarebbe deleterio, eccetera. Questo fuoco di sbarramento contro la proposta di intervento militare a difesa degli aggrediti ha raggiunto la massima intensità con l'offensiva croata di mezza estate. I serbo-bosniaci erano avanzati, con la consueta brutalità e impudenza, (ricordate il generale Mladic che fa sollevamento pesi davanti alle telecamere dopo la conquista di Zepa?). Le loro efferatezze, la pulizia etni.ca messa in atto nelle aree conquistate aveva scandalizzato il mondo. L'assedio di Sarajevo diventava sempre più insopportabile. Era forte l'invito a mettere in campo una forza internazionale di reazione. Ma i governi occidentali non se la sentivano. L'Onu in quanto tale si confermava la barzelletta che la consideravano a Sarajevo. C'era un vuoto, riempito solo dalle grida d'aiuto dei disperati sotto assedio. . · Tra giugno e luglio la richiesta di un intervento si era dunque fatta più forte, anch.e a sinistra, anche tra componenti del pacifismo. È il momento in cui Alex Langer, dopo la strage dei giovani di Tuzla, riprende l'appello del sindaco di quella città e propone, anzi rilancia, perché è già da tempo che lo faceva - un intervento armato della comunità internazionale. Le reazioni più aperte a questa richiesta alludono ai rischi connessi, avanzano distinguo, rinviano; la buttano in politica, in geopolitica, in questioni di strategia militare. Bombe e assedi continuano, intanto. Altre reazioni sono invece più drastiche e più radicali. Reduci sostenitori di tutte le guerre di liberazione e/ o di ·classe proclamano appunto che "nessuna guerra è mai giusta" e insulti di ogni genere vengono scaraventati su coloro che la pensano diversamente. La richiesta di un intervento, in questi discorsi, sembrerebbe provenire solo dai vecchi arnesi della destra guerrafondaia o da irresponsabili che non sanno quello che dicono. Tuttavia, di fron-

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