La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

"resistere" concretamente e silenziosamente, senza retoriche e contestazioni globali. La critica al capitalismo non è sufficiente, bisogna arrivare alle idee che lo sorreggono e che, in realtà, sono le stesse alle quali si aJ?pella la protesta dei pretesi sovvertitori. Il dio dei ribelli, come quello dei loro padri, è "quello del possesso e del godimento di og~etti, quello della soddisfazione illimitata dei bisogni, quello del benessere e del piacere come unica ra~ione del lavoro". È necessario allora partire dai principi · e non dalle forme esteriori, bisogna testimoniare oltre che sfilare nei cortei e avere in tasca qualcosa di ben più rivoluzionario e sovversivo del libretto rosso di Mao. Saper sta.re "dalla parte del torto", mettersi "fuori dalla storia", sopportare non tanto di essere. considerati pazzi o reprobi, ma l'indifferenza più completa e l'emarginazione: questo è il prezzo che Chiaromonte chiede di pagare ai giovani che, insoddisfatti del proprio mondo, vogliono dimostrare che li loro desiderio di libertà e giustizia non è solo un ingenuo e passeggero entusiasmo adolescenziale. LA C!TTA' UNA PIAZZA È UNA PIAZZA Ignazio Silone L'intervento che segue, sinora inedito,. è stato pronunciato da Silane a un "Incontro con l'architettura" tenuto a Roma, la sera del 26 marzo 1962 a Palazzo ·Taverna. ♦ Quanto ha lamentato il prof. Bonelli circa l'isolamento degli architetti è stato già detto e ripetuto a proposito di tutta la società italiana che funziona a compartimenti stagni, contrariamente a quel che accade negli altri paesi. Nonostante gli strumenti di divulgazione non soltanto delle idee ma perfino dell'immagine fisica delle personalità più in vista, tuttavia la memoria in un certo senso è corporativa perché ritiene soltanto i nomi e le immagini delle persone che ci interessano. Poiché qui siamo scrittori ed architetti voglio citare un episodio veridico in cui appunto son9 coinvolti degli scrittori e un Ministro dei LL.PP., di cui non vi dirò il nome. Non era Romita, era un avvocato, dovrò ·aggiungere il particolare che, pur non essendo romano di nascita, era stato per molti anni a Roma. Gli si presentò una delegazione di scrittori; era un buon gruppo e la persona più anziana si fece avanti e disse: "Emilio Cecchi ". Sua eccellenza lo guardò e sorrise dicendo: "L'orientalista?" - "No! piuttosto occidentalista". Il Ministro credé opportuno prendere una certa rivincita perché nella delegazione di scrittori c'era anche una donna e non poteva essere che Alba De Cespedes e disse: "ma lei è Alba De Cespedes?" - "Sono un'amica di Alba De Cespedes, ma mi chiamo Anna Garofalo". Non mi. sembra possibile che personalità, che abitano la stessa città per decenni, non si siano mai incontrate, e comunque che non abbiano mai fatto conoscenza. Come vedete, è un male della società italiaNote 1 Nicola Chiaromonte, Perfezione di un simbolo, in "Tempo Presente", n. 8, agosto 1956. 2 "Tempo Presente", n. 5 maggio 1959. 1 Nicola Chiaromonte, Discussione. La tentazione dell'Est, in "Tempo Presente", n. 8, agosto 1959. 4 Hannah Arendt, La crisi della politica e dell'istruzione,_in, Trapassato efuturo, Garzanti, Milano 1991. 5 Nicola Chiaromonte, La rivolta degli studenti. 6 Nicola Chiaromonte, Dura lex morale soffice, in "Tempo Presente", n. 3-4, Marzo/aprile 1966. 7 Pier Paolo Pasolini, Pannella e il dissenso, in Lettere Luterane, Einaudi, Torino 1922, p. 77 e p. 81. 8 Pier Paolo Pasolini, Gennariello, in Lettere luterane, cit. p. 21. · 9 Vedi, Pier Paolo Pasolini, Il discorso dei cappelli, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 1993, pp. 5-21 . 1ONicola Chiaro monte, Le masse selvagge (i grandi raduni hippy), in "La Stampa", 11 Settembre 1969. 11-Pier Paolo Pasolini, La droga, una vera tragedia italiana, in Lettere luterane, cit; p. 90. 12 Pier Paolo Pasolini, Le mie proposte su scuola e Tv, in Lettere luterane, cit. p. 173. ♦ na e certo che non sono incontri come questi, in aule così solenni e intimidatrici, che creano l'amicizia. Avevo sperato qualche cosa di molto più semplice e soprattutt.o di non dover parlare al microfono. D'altronde neppure una riunione più. semplice potrebbe rimediare a questo male costituzionale della società italiana. Dunque io devo parlarvi semplicemente degli incontri tra me e gli arch,itetti e tra me e l'architettura. Mi concentrerò su due episodi o serie di episodi principali svoltisi in ambienti assai diver i, anzi opposti: uno nella contrada nativa che sapete abbastanza sottosviluppata o depressa, l'altro in Svizzera cioè in un ambiente tra i più progrediti. L'occasione del primo incontro fu piuttosto tragica, perché avvenne dopo il terremoto del 1915; fin allora da noi non erano esistiti gli architetti, esistevano i capimastri; non so se in Abruzzo ci siano mai stati grandi architetti, ne dubito; ci sono delle belle case ma credo che anche nei tempi passati siano state il prodotto, la creazione di capimastri. L'Abruzzo non ha mai avuto una corte, non ha mai avuto una capitale, un centro politico. Ha avuto sempre il suo centro fuori di sé, prevalentemente a Napoli o a Lecce, per questo non ci sono molte case gentilizie, palazzi principeschi e forse per questo non ci sono stati architetti. Con questo 11011 voglio dire che si può vivere senza architetti, sarebbe una provocazione verso di voi; ma d'altra parte, i capimastri sono a loro modo degli architetti. Architetto poi si~nifica quasi capomastro; "arcos tecton" significa appunto il capo di qualche cosa che agisce e costruisce e d'altronde i capimastri abruzzesi hanno un'ottima reputazio- . ne. Se voi pensate: tutti o quasi tutti i grandi costruttori di Roma, ora miliardari, se non loro, i loro padri, i loro nonni sono stati dei capimastri abruzzesi: i Cidonio, i Federici, e molti che sono meno celebri ma che a quelli , del mestiere come voi certamente sono noti. Dicevo, dopo il terremoto, una settimana o due dal terremoto, arrivarono i soccorsi milanesi, e non soltanto sotto forma di viveri, indumenti ecc., ma anche di casette prefabbricate; fu un evento sorprendente, commovente, perché la tradizione da noi voleva che quando e' e:a un ~ataclisma i soP.r~vvissuti s~ppellis~ero I morti e cercassero di tirare avanti; non.e e-

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