La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 5/6 - lug.-ago. 1995

ra ancora lo stato assistenziale che abbiamo ora e forse da noi quella fu la prima apparizione dello stato assistenziale. La popolazione abruzzese, che è conosciuta come la più ospitale, cercò di essere gentile con questi architetti, ma, quando furono assegnate le prime casette, i contadini si guardarono intorno poi presero l'accetta e cominciarono a distruggere le strutture interne, non le esterne, perché questi architetti moderni erano partiti da principi molto nobili, cioè: bisogna evitare che la famiglia stia in cucina dalla mattina alla sera, bisogna fare un cucinino molto piccolo, poi un piccolo soggiorno, una camera da letto-soggiorno, ed il resto va in cantina. Era molto intelligente dal punto di vista · teorico ma mettere le patate, le mele, il grano in cantina, da noi significa dopo due giorni perderli, perché gelano; è impossibile. Le derrate agricole sono tutte nella cucina e nella cucina vive la famiglia finché non va a letto. Quindi quando i contadini presero possesso di queste cas~tte, non pote':'an~ criticarle J?erché erano gratis, un regalo di Milano, ma dissero: "questi non sanno che noi qui moriremo di freddo e che tutti i nostri prodotti si rovinerebbero". Gli operai settentrionali erano brava gente; fra essi c'erano dei socialisti ed erano i soli socialisti con i quali la popolazione locale prese contatto, di alcuni ho ancora una memo- .ria molto chiara; operai di Monza che in tutto quell'inverno del 1915 rimasero nel mio paese, come nei paesi vicini, e fecero amicizia, lasciarono un'impronta molto favorevole. Son.o state delle casette solide. Dovevano durare sei mesi e ce ne sono alcune che ancora sono lì. dopo 45 anni. Il terremoto fu nel gennaio del 1915; nel maggio radioso si entrò nella prima guerra mondiale e poi fu il fascismo; e quindi c'era da fare l'Impero e una quantità di altre cose belle e poi la seconda guerra mondiale ed ora non è sempre facile distinguere le macerie del terremoto del 1915 dalle macerie dei bombardamenti di questa ultima guerra. Da quell'episodio dovrei saltare a ciò che Zevi poco fa mi ricordava: !'.incontro degli archi tetti svizzeri, zurighesi reduci dalla Bauhaus; ma non è a dire che nei 15 anni intermedi l'interesse per l'urbanistica, per l'edilizia non avesse avuto in me altre occasioni per svilupparsi. Furono 15 anni di intensa attività anche politica, viaggi ecc. e mi parve che l'aspetto edilizio delle città, le vicende locali dell'architettura alle volte aiutassero molto a capire le vicende della vita sociale e politica; per esempio era evidente che la degenerazione dell'architettura russa dal 1920-21, quando andai a Mosca per l'ultima volta, all'epoca staliniana, era lo specchio fedele della degenerazione dello stato sovietico: da Stato rivoluzionario aperto all'attività creatrice delle masse a centro terroristico (contro il quale adesso nessuno protesta più perché è ufficialmente permesso dir male di Stalin): i risultati del grande concorso internazionale per la costruzione della casa del Soviet a Mosca fu un fatto reazionario che corrispondeva ai processi alle streghe, ai massacri. E con questo stato d'animo che io capitai in Svizzera nel 1930 e la mia intenzione era di ripartirne dopo due o tre giorni per: sta: bilirmi, come la maggior parte dei profughi politici, in Francia; adesso devo ancora spiegarmi come mai sia avvenuto che sia rimasto in Svizzera 14 anni: è una ragione in cui c'entra l'urbanistica, l'architettura e anche la topoUZlQJ:ll_ nomastica delle strade. (I letterati italiani peraltro - per riempire le colonnine di recensione - dicono che nel mio stile si sente l'influenza del mio soggiorno in America; ora io sono uno dei pochi italiani che non sono ancora stati in America e con una certa civetteria cerco di conservare questo privilegio). Dunque in questi due o tre giorni preventivati, di passaggio per la Svizzera mi è capitato, per motivi che ora non sto qui a raccontare, di andare a Sciaffusa, per regolare il proseguimento del viaggio ed altre cose; tra l'altro per incontrare il leader di Sciaffusa che era uscito in quei giorni dal partito comunista seguito da tutta la base operaia. Arrivando alla stazione di Sciaffusa mi accorsi che la persona che mi aveva dato l'indirizzo evidentemente aveva dimenticato la cosa più importante: sul pezzettino di carta c'era: "piace, 8", non c'era il nome della · piazza. Non era il caso di tornare fino a Zurigo e poiché Sciaffusa avrà da 30 a 40 mila abitanti, non certo di più, pensai: "ci saranno tre o quattro piazze, e le vedrò una dopo l'altra e vedrò i numeri 8 di queste tre o quattro piazze e poi troverò la persona che cerco". Non avevo finito di pensare questo, quando mi trovai in una grande piazza, una bella piazza; cercai la tabella sul muro per poter cominciare l' eliminazione e vidi con sorpresa che c.'era scritto: "Piace", senz'altro nome. Trovai subito il numero 8 e con la persona che trovai invece. di parlare delle cose importanti di cui dovevo parlare, gli dissi: "ma come, avete una bella piazza e non gli date un nome?". Lui disse: "ma che nome dobbiamo dargli?". "Non so, piazza della Libertà". Mi rispose: "ma la libertà c'è anche nel vicolo accanto, c'è alla stazione, c'è nei campi, andrebbe bene piazza Pestalozzi, piazza Guglielmo Tell, ma non sono nati qui, non ci sono morti". La cosa cominciava a commuovermi; "d~altra parte - continuò - quando la gente vuol venire qui in piazza dice: ci troviamo qui in piazza". Dissi: "ma anche a Milano si dice: "ci troviamo in piazza", tuttavia la piazza si chiama piazza del Duomo; oppure si dice ci troviamo in Galleria e non si dice nella Galleria Vittorio Emanuele III". Il fatto che il popolo dicesse "piazza" e il Comune registrasse piazza è una cosa che a voi sembrerà frivola e farà ridère, ma che per me era la .rivelazione di qualche cosa che avevo invano cercato e non avevo mai trovato. Viceversa nei paesi delle rivoluzioni avevo trovato esattamente l'opposto: avevo trovato che delle grandi,· antiche città costruite, fatte grandi da generazioni e generazioni,. cambiavano di nome a seconda delle vicende dei Congressi del Partito dominante. Dissi che ero raffreddato per giustificare la mia emozione. Per la seconda persona che- dovevo vedere c'era lo stesso pasticcio: l'indirizzo era: "die tanne" che vuol dire abete e infatti all'inizio delle strade c'era un abete; ma perché· non ci avete aggiunto. "strada"? Ma no, la gente dice andiamo all'abete e con guesto indicano tutta la via; anche questo è ovvio. Pensai che nei villaggi, in un villaggio che conosco, ci sono dei vicoli infatti che si chiamano "Via Emanuele Filiberto" senza che ci• sia nato cresciuto e morto; sono vicoli proprio immondi, una serie di pozzanghere, forse proprio per questo sicco.me non ci sono i marciapiedi almeno lo chiamano "via Emanuele Filiberto, via Duca di Genova"; e non è che le cose siano miglio-

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