La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

l'Onu dovrà certo essere oggetto di critica anche dura, ma la responsabilità del limite della sua azione è principalmente dei paesi più importanti, quelli che compongono il Consizlio di Sicurezza. Un solo esempio. Quando furono decise le zone di sicurezza ( Sarajevo, Goradze, Tuzia, Srebenica, Zepa, Bihac), il vice segretario dell'Onu, Kofi Annan, informò che per la loro tutela servivano 34. 000 soldati. Dopo quasi un anno, ne arrivarono 7.600. Senza mezzi, soldi, uomini non si fa alcun efficace peace keeping, né tanto meno ~"[ eace making. Rimangono due unti, er i paci isti sui quali è opportuno segnaZarealcune difj icoltà. Il primo riguarda la capacità di imporre l'azione di pace nei Balcani nelle priorità della politica estera italiana, cosa naturale tra l'altro considerata la vicinanza del nostro paese alla ex Jugoslavia. Questa attenzione è stata largamente assente dalla politica estera del nostro governo. Il secondo punto riguarda la proposta e le prospettive di pace nei Balcani. Tra il no alla spartizione etnica e l'appoggio ai trattati di pace (primo tra tutti quello Vance-Owen cheprevedeva una suddivisione cantonale) non si è chiarito l'obiettivo che dovrebbe oggi essereprioritario: ferma re i combattimenti, la guerra, per costruire le condizioni di una pace accettabile. La fine della guerra è la condizione per ricostruire una pace realmente giusta che in Bosnia Erzegovina dovrà significare: smilitarizzazione dell'intera regione, ritorno a casa dei profughi, ricostruzione - a partire dalle città - delle realtà di convivenza, punizione dei criminali di guerra. Per essere realistico, l'obiettivo della ricostruzione di una sovranità multi etnica della Bosnia Erzegovina ( la piccola Iugoslavia, così era chiamata), non può non essere accompagnata dalla pace su tutto lo scacchiere del conflitto e dalla ridefinizione di uno spazio (ex) jugoslavo di cooperazione e di relazione tra i nuovi stati sorti dalla dissoluzione della federazione titilla. 5. In molti hanno reclamato l'intervento armato, una specie di Balkan Storm per fermare la guerra. Nessuno - o quasi- ci ha detto come si poteva compiere questo intervento: chi e cosa colpire (i serbi di Karadzic o anche Milosevic a Belgrado, i croati che assediavano Mostar i musulmani secessionisti di Abdic ?) e attraverso quali scelte operative. Bombardamenti dall'alto (dove, nel pulviscolo degli insediamenti militari nascosti tra boschi e villaggi ?) o un 'invasione terrestre (gli esperti dicono che servirebbero non meno di 500.000 soldati; d'altronde agli Asburgo, nel 1878 ne servirono 300.000 per controllare la provincia ottomana della Bosnia Erzegovina). Insomma, un intervento impraticabile, ma soprattutto dannoso, che avrebbe non risolto, ma aggravato la guerra, l'avrebbe resa più feroce. E l'avrebbe estesa. C'è una retorica della condanna dell'impotenza della comunità internazionale che rischia di essere ancora più inerte ed ipocrita della comunità internazionale stessa. Ormai, c'è una fiducia quasi illimitata sulla forza delle armi, cui la lezione a Saddam ha dato linfa. In realtà le guerre di questi ultimi tempi dimostrano che le armi aggiungono guerra alla guerra. In Somalia, le legioni degli Stati Uniti e dell'Onu hanno portato forse la pace ? E in Ruanda ? E in Sudan ? Si pensa all'intervento armato come difesa degli aggrediti dagli aggressori ( come si definì l'intervento per il Kuwait) ed è indubbio BibliotecaGinoBianco che in questa guerra ci siano aggressori - primi tra tutti i fautori, ideologi e politici della Grande Serbia - ed aggrediti - innanzitutto i musulmani - che hanno nomi e cognomi. Ma l'origine, la causa vera della guerra è la deriva del nazionalismo dalla disgregazione della e~ Jugoslavia e dalla nascita degli stati etnici. E questa a dare il via alla guerra in territori come i Balcani che sono il risultato di secolari stratificazioni e sovrapposizioni interetniche dove la nascita di stati su base etnica (o sulla realtà della supremazia etnica) producono effetti disastrosi e la "pulizia" dei territori. I musulmani (gli slavi islamizzati della Bosnia) sono il popolo che più ha sofferto le conseguenze di questo conflitto e che storicamente ha maggiormente patito un problema di identità culturale ed etnica, schiacciato tra croati e serbi. La difesa dei loro diritti e della loro sopravvivenza può essere solo affermata nel quadro della ricostruzione di un quadro geografico e politico multietnico. Per concludere. Nella congerie di questa guerra i pacifisti hanno cercato di praticare un'esperienza sul campo. Prima, le guerre erano una cosa lontana ed ipotetica e si testimoniava il rifiuto della violenza prevalentemente con marce e manifestazioni insieme ad un lavoro di base ed educativo. Negli ultimi tre anni più di 1 O. 000 volontari e pacifisti sono andati sui luoghi del conflitto a portare aiuti, a fare solidarietà, a sostenere chi si oppone alla guerra. Il volontariato non è una rinuncia a elaborare proposta e iniziativa politica. È un suo arricchimento, è un modo diverso di praticarla. I pacifisti hanno anche sviluppato proposte puntuali. Rimane agli atti un documento di un anno fa: "Bosnia Erzegovina, un percorso di pace" elaborato dalle associazioni pacifiste che testimoniava non l'indicazione di un intervento (come i fautori dell'opzione armata) onnipotente, risolutivo, dall'alto per ristabilire la pace, ma una strada realistica, dal basso e limitata per ottenere il cessate il fuoco nelle zone di guerra. Non è possibile qui ricordare tutti i passaggi e leproposte operative del documento. Ma la sua filosofia era ed è quella di ricostruire le condizioni di fiducia reciproca, di dialogo, di ponti di comunicazione tra le parti avverse per far tacere le armi e potenziare le forme di intervento internazionale sul campo per arginare il conflitto e limitarlo. Passo dopo passo, il congelamento graduale e successivo delle aree di guerra e di conflitto potrebbe portare ad una diversa evoluzione degli avvenimenti. ♦ PIANETA TERRA

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