Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno V - n. 1 - 15 luglio 1899

7(.IPISTA 'POPOLARE 'DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI rebbe stato versato, e Paltrmo sarebbe stata bombardata spietatamente come lo furono Messina e Genova nel 1849 e la stessa Palermo nel 1866. La lotta, invece, cessò in modo inatteso : sicchè tra borbonici e liberali ad un tempo corse il sospftto che la convenzione tra Garibaldi e il generale Lanza fo se stata in buona parte l'effetto della viltà o del tradimento del secondo. Questa voce, se non andiamo errati, venne raccolta dall'on. De Cesare nel suo libro: La fine di un regno. Venuto ciò a conoscenza dei discendenti del militare su cui pesa l'accusa infamante, <:ssi,che vivono poveri ed onesti in Palermo, hanno fatto leggere a parecchi un documento di una singolare importanza, che getta molta • luce su quel periodo storico, e che torna a grande onore di quel re ... di una volta. Si tratta di un autografo di Francesco 1I diretto al generale Lanza, nel quale il re di Napoli mostrava il più vivo dolore pel sangue dei suoi sudditi che si era versato; e, desiJerando che dell'altro non si continuasse a versare, ingiungeva al Comandante della piazza di Palermo di attenersi scrupolosamente agli ordini, che gli sarebbero stati impartiti dal latore di quella lettera, che era, se non sbagliamo il Generale, Letizia. Così il Generale Lanza uscì da Palermo coi suoi soldati, e fu evitata la continuazione di una battaglia, che sarebbe riuscita micidialissima nelle strade della grande città. Non aveYamo ragione di dire che questo episodio fa molto onore ad un re della odiata stirpe borbonica, che mostrò sentimenti tanto pietosi ed umani? - Che re minchione! - esclamò un ufficiale del r.ostro esercito, che assisteva alla narrazione dell'episodio, che abbiamo riferito. Nor. STORIA E REQUISITORIA Giornali e riviste cominciano ad accorgusi del mio libro: L'Italia nel 1898. Me ne compiaccio assai; non perchè ne rimanga lusingata la mia vanità- non c'è, del resto, scrittore, che sia un uomo onesto e sincero, il quale ami la cospirazione del silenzio intorno all'opera propria - ma perchè, infine, un po' di discussione s'inizia sul contenuto del medesimo. Quel contenuto riguarda il periodo più triste e più vergogno30 per l'Italia contemporanea. Questa discussione sarebbe stata sempre utile ; è indispensabile, è anzi doverosa in questo quarto d'ora, in cui spira furioso il vento di reazione. La relazione tra la presente situazione politica e gli avvenimenti del 1898 non ha bisogno di essere dimostrata: è ammessa unanimamente. Si assicura, infatti - d:illa stampa ufficiosa e dai documenti ufficiali e dagli oratori che hanno rapp1esentato in Parlamrnto la tendenza reazionaria - che i provvedimenti politici malaugurati, sui quali si è imbestialito il Generale Pelloux, furono resi necessari dai tumulti dell'anno scorso, o specialmente da quelli di Milano che non possono essere attenuati in alcuna guisa dal motivo reale o dal pretesto del malessere economico. I provvedimenti politici perciò, furono resi indispensabili dal pericolo creato dalla propaganda sovversiva, ad infrenare la quale sono destinati. Se questi ragionamenti venissero soltanto dalle persone di malafede, che scrivono o parlano in questo o in quell'altro senso, per ordine e contro adeguato pagamento, il male sarebbe grande: la calunnia anche _quanro viene da persone spregevoli lascia sempre delle tracce nell'animo degli ingenui e di coloro che non sono in condizioni di appurare la verità vera. Ma il peggio si è che siffatti ragionamenti vengono ripetuti da persone onestissime e della cui buona fede assolutamente non è lecito dubitare : vengono ripetute dalla gente che dà il maggiore contributo a quella che l'amico Zerboglio chiamò la reazione onesta. Di ciò era convinto da gran tempo, ed ebbi agio a riconfermarmi nella conviczione all'indomani della chiusura della sessione conversando animatamente con avversari sinceri e leali nei corridoi Ji Montecitorio. La più viva impressione la ricevetti da uno scatto d'indignazione sui tumulti del 1898 ch'ebbe il Duca di Sermoneta - un gentiluomo e galantuomo autentico, pel quale amici e nemici politici nutrono stima e simpatia; fu grandissima poi la mia meraviglia quando un deputato che fa parte della Vandea lombarda, ma che ritengo onesto e sincero, quasi per accopparmi mi disse: informati da De Cristoforis sulla verità dei fatti di Milano! Avevo ragione di sorprendermi, poichè fu proprio il collega De Cristoforis, che mi pregò e m'indusse a scrivere il libro, L'Italia nel 1898, narrandomi tutte le infamie, che si erano commesse nella repressione di maggio. Ora, in quel libro, per lo appunto, coi dati di fatto più incontrastabili e colle confessioni esplicite degli avversari della democrazia, emesse nel momento della sinceriti e della spontanÌl tà, ho dimostrato: 1° che i tumulti in tutta Italia furono l'tffetto, che non poteva mancare, delle sofferenze economiche e del disgusto morale. La connessione causale era tanto evidente che i tumulti furono previsti come inevitabili sin dal Gennaio anche dai Prefetti del regno! Lo telegrafò M;chele Torraca al Corriere della Sera; 2° che in Milano più che altrove esistevano tutte le condizioni economiche e morali, politiche e intellettuali che potevano e dovevano fare assurgere i tumulti' al grado di vera rivoluzione. ( 1) Se questa mancò non si deve alla energia e rapidità della repressione, ma alla assoluta mancanza di decisione di farla in coloro, cui venne falsamente attribuita la organizzazione e la direzione di un movimento, che non ebbe affatto il carattere rivoluzionario) ma fu soltanto una protesta, una esplosione improvvisa d'indignazione nelle masse popolari. La dimostrazione di questi due assunti credo di aver fatto con coscienza, con imparzialità somma, riconosciutami anche da avversari leali come gli scrittori della Gaz...zettadel Popalo di Torino. (I) Mentre correggo le bozze di stampa, leggo per la prima volta in una rivista autorevole un giudizio eh' è ]a sintesi della dirnestrazione ampia da rre fata nel capitolo, La capitale morale, in cui mi occupo delle cause dei tumulti di Milano. È del chiaro Prof. De Viti De Marco, che insegna nell'Univtrsità di Roma, e si legge nella Cronaca del Giornale degli Economisti tLuglio). Eccolo nella sua integrità: « Nessuna ragione economica spiega la insurrezione de]]a classe operaia del Belgio, che è tra le più prospere del mondo. Ma (ciò non si vuole intendere in Italia !) appunto dove il popolo è economicamente prospero, moralmente e intellet• tualmente progredito e progressivo, una legge o una politica che restringa i diritti del cittadino e dell'uomo verso altri cittadini ed altri uomini provoca la reazione. È più facile ad un popolo ricco di sopportare la sopraffazioneeconomica che una classe impone all'altra con il protezionismo e le imposte, che non la sopraffazione personale e politica dell' uomo sull'uomo, del cittadino sul cittadino. » « Questa considerazione dovrebbe valere contro una stupidità che in Italia dal Maggio 1898 si ripete e si "ripete, ed è, che i milanesi non avevano ragione d' insorgere,perchè non risentivano il caro del pane, come i contadini del mez.z.ogiomoI » « Da noi il governo imita la politica della Spagna e quena dei clericali del Belgio. Il protezionismo e le spese militari procedono di pari passo con la soppressione delle libertà politiche e con la soggezione del cittadino all'arbitrio della polizia, del giudice istruttore, dell'agente del fisco ecc. » <e La popolazione italiana si divide in due, l'una pove,a ignorante somiglia alla spagnuola, subisce la sopraffazione economica e tributaria e solo quando ha troppa fame reagisce col ferro e col fuoco ; l'altra più agiata e progredita non sopporta la sopr..ffazione politica e a questa reagisce. » « Le due deputazioni seguono la legge delle due popolazioni ; l'una è stromento di predominio delle camarille locali e sta sempre col governo; l'altra è l'apparato di trasmissione di una coscienza popolare offesa, e forma una minoranza di battaglia. »

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