Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 18 - 30 marzo 1898

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI DBPUTATO AL PARLAMENTO Esce in Roma il I 5 e il 3o d'ogni mese ITAUA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un numero separato : Oent. IO. Anno lii. N.18 Abbonamentopostale Roma30 Marzo t 898 SOMMARIO: LA R1v1sTA - Epilogo triste. N C. - Il metodo e il programma di Felice Cavallotti. J. Nov1cow - L'aberrazione della razza. CESARERANZOLI- Nel 70° anniversario di Roberto Ardigò. Dr. PAOLOBELLEZZA- Il pensiero letterario di Carlo Cattaneo. En. CLARIS- Per la doratura dei Blasoni. (Matrimoni aristocratici). Sperimentalismo Sociale. 'l(ivista delle 'l(iviste. 'l(ecensioni. - Gli abbonati, a cui è scaduto l'abbonamento alla :fine dell"anno 189.,,, sono pregati nuovamente a mettersi in regola a scanso di ritardi nell'invio del periodico. EPILOGO TRISTE La relazione del Comitato dei Cinque fu quale prevedevasi: un ~ompromesso. Coloro che si compiacciono delle punizioni materiali restarono malcontenti della censura proposta dai cinque e dal voto della Camera che l'approvò. Costoro volevano che Francesco Crispi venisse deferito ai giudici ordinari, come qualunque altro comune delinquente. Essi astrattamente parlando hanno ragione; e il sentimento della giustizia distributiva che tutti vuole uguali dinanzi alla legge - ciò che sta scritto anche nello Statuto - è dalla loro parte. Giuridicamente, però, e quale presentavasi la quistione, per colpa sopratutto della Cassazione - che da alcuni anni in quà, o fà da Pilato o assume le più ardue imprese di salvataggio - la soluzione vagheggiata dall"EstrernaSinistra, rinforzata dai manipoli più retti della Destra e della Sinistra, forse non era possibile. Non usi ad incrudelire sui caduti, noi che senza tregua e con fierezza, che a taluni allora parve eccessiva, combattemmo Crispi ministro onnipotente, oggi non crediamo di mostrarci deboli, dichiarandoci soddisfatti e delle conclusioni dei cinque e del voto della Camera che le approvò. Il voto e le conclusioni acquistano la loro vera importanza ed il loro vero significato: dalla relazione, che onestamente mise in evidenza le azioni · criminose dell' ex dittatore; dalle dichiarazioni di Palberti; dalla motivazione, per la quale la Commissione escluse il reato comune - bastevoli ad ammazzare civilmente un colosso-; dal furore ~dei Crispini contro l'on. Grippo, da cui esigevano, miracoli non solo, ma anche il suicidio morale; dallo scoramento degli amici di Crispi, di cui non osarono tentare la difesa ; dalle dimissioni, cui si è visto costretto l'ex Presidente del Consiglio, accettate: in fretta e con modi quali mai vennero adoperati verso i più oscuri deputati. Qualcuno ha tacciato di codardia politica il si - lenzio di Fortis, di Baccelli, di Sonnino etc. sottolineato dalla loro astensione nel voto sulle conclu- . sioni dei Cinque. A noi sembra troppo severo questo giudizio. È obbligatoria la solidarietà nel male anche quando il male è lampante come la h.:ce rlel sole? Più giusto ci sembra il dire che il silenzio e il voto degli antichi sostenitori di Crispi equivalgono alla confessione degli errori commessi e costituiscono un vero atto di resipiscenza. Aggiungiamo che a noi consta che l'on. Sonnino a difesa propria e del Comm. Simeoni avrebbe potuto dire qualche cosa che avrebbe aggravato, però, la posizione dell'accusato. Il silenzio di Sonnino, quindi, fu un atto di generosità; e lo constatiamo noi, 'che più volte abbiamo attaccato e continueremo ad attaccare sul terreno politico l'ex ministro del Tesoro. L'on. Crispi non trovò che due difensori: l'onorevole Brunetti e l'on. Nasi, aperto il primo, abile il secondo, che la difesa mascherò sotto la proposta in apparenza logica ed equa di rinviare l'on. Crispi

!42 IUVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIBNZE SOCIALI innanzi al Senato riunito come Alta Corte di Giust:izia - proposta anche incautamente sostenuta dall'on. Rovasenda, ma con intendimenti diversi di quelli del rappresentante per Trapani. Quest'ultimo fu abile, perchè tutti intravedevano che,· se fosse stata accettata la proposta del Rovasenda, il Senato avrebbe glorificato l'accusato e forse l'avrebbe rimandato ministro aìla Camera. Noi che non essendo crispini non possiamo essere amici dell'on. Nasi sentiamo però il dovere di ric9noscere che egli aveva perfettamente ragione affermando, che se Abba Carima fosse stata una vittoria anzichè una disfatta, avremmo ancora Crispi Presidente del Consiglio ed avremmo assistito alla sua glorificazione. Ebbe torto, perciò, l'EstremaSinistra a rumoreggiare ed a protestare contro quel1' affermazione. Lo notiamo, perchè a noi piace sopratutto la verità ed abbiamo a guida il realismo più schietto - il solo, che può condurci a salvamento. Quel rumore e quelle proteste significano che si è già dimenticata la storia recentissima delle manifestazioni del paese e del Parlamento, che tra tanti altri peccati ha già sulla coscienz.t la mozione'· Torrigiani. Come dimenticare che le accuse documentate da Cavallotti nella httera agli onesti erano ben più gravi di quelle contenute nella relazione dei ,;ìnque? Eppure non valsero ad abbattere Crispi. Ci volle Abba Carima; e ci volle anche la tragica fine dello stesso Ca valletti per destare nel paese un pò di reazione in favore del senso 1110rale. Questa reazione, però, non ci deve illudere ed addormentare; pensiamo sempre che il paese, nella sua grande maggioranza è ammalato e agiamo in proposito. Dal voto della Camera, l'on. Crispi - che non seppe cadere da Capaneo venendovi a domandare egli stesso di essere deferito ali' Alta Corte di Giustizia - si è appellato al voto degli elettori. Certamente sarà rieletto ; ma la rielezione non cancellerà il verdetto dcli' Italia che vale materialmente assai di più di quello di un solo collegio e che moralmente è inappellabile, perchè basato incrollabilmente su fatti indistruttibili. È bene, però, non creare equivoci sul significato della rielezione. Ha torto l'Avanti! affermando che essa si dovrà alla rnafià. Palermo non é città che subisca la prepotenza : lo h dimostrato in cento occasioni. Palermo rieleggerà Crispi in nome della compassione dovuta verso un vecchio ottantenne a cui attribuisce - non importa esaminare adesso se erroneamente o non - grandissime passate benemerenze. Ecco tutto. LA RIVISTA. IL METODO E IL PROGRAMMA di FELICE CAVALLOTTI Sul finire dell'anno 1896 ebbi occasione d' intrattenermi, con parecchi amici politici e personaii, della posizione, che si veniva creando nel paese a Felice Cavalletti, e, tra gli altri, - come altra volta quì stesso dissi - coll'on. Sacchi che militava nel suo gruppo e che conveniva con me nel deplorare quelle che a noi sembravano incertezze ed equivoci dannosi. Credetti non solo utile, ma doveroso, di manifestare all'amico carissimo e indimenticabile, chiaro e netto il pensiero mio, diviso da molti che di Cavallotti erano amici sincerissimi, insospettabili. La lettera -:- e non era la prima - nella quale spiegai meglio le critiche oneste e leali, che nel1' Isola prima e nella Rivista Popolare dopo, avevo avuto occasione di rivolgergli, era abbastanza ruvida nella forma per quanto nella sostanza inspirata dall'affetto che a lui mi legava, e dall'ammirazione grandissima, che verso di lui sentivo. Temetti seriamente, che, per un momento, potesse offuscare la nostra lunga e intima - davvero fraterna - amicizia, ma b sua risposta mi fu di grandissimo conforto e valse a stringere ancor2 di più i nostri legami. Pubblicandola oggi, credo di fare cosa utile, pc::rchè le sue pratiche e giuste osservazioni sul metodo da seguire nelle lotte politiche mi sembra, che possano e debbano essere tenute in gran conto non solo dai deputati di quello che fu chiamato gruppo Cavallottiano, ma anche da quanti militano nelle larghe fila della democrazia parlamentare ed extra. In quanto a me, mi preme dichiarare, che dovetti esprimermi male se Cavalletti potè pensare che mi dispiacessero le elezioni generali e che non ne apprezzassi debitamente l'importanza. Aggiungo che egli sbagliava annoverando il 'JZoma di Napoli tra i giornali crispini. Oggi, non mi permetto alcun commento esplicativo alla lettera dell'amico dilettissimo, e mi limito soltanto a richiamare l'attenzione dei lettori della Rivista sui punti sottolineati ed a sottoporre loro due sole osservazioni, e cioè: 1° che da questa lettera risulta all'evidenza che Cavallotti non era, come da alcuni si dipingeva, l'uomo dispettoso, attaccabrighe e insofferente di critiche quando egli le sapeva suggerite da intenzioni rette e sincere, e che anzi, queste critiche discuteva con una serenità e con uno spirito conciliativo, che servivano di dolce rimprovero - ed io confesso che lo meritai - a chi aspramente lo investiva ; 2° che dalla stessa lettera emerge che 'egli possedeva un intuito politico profondo, una calma ed una persistenza nel perse-

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTF.RE E SCLENZESOCI ALI '!43 guire dati fini, rarissime ormai tra gl' italiani, e che i suoi intimi conos:evano ed apprezzavano, ma che il gran pubblico non sospettava nemmeno, perchè in lui era inclinato a riconoscere il poeta lirico e l'oratore smagliante piuttosto che il vero uomo di Stato. E tale era Felice Cavallotti ! N. C. ::\Cila110, 2 r Gen11aio1897. "-!io c.ro e buon Colaj<lnni, Ho ricevuto la tua cara qui, dove sono per alcuni giorni, e l'ho letta anche a Romussi, che viceversa mi ha fatto leggere la tua a lui, nel medesimo senso, e tanto io che lui, che ti vogliamo bene e che non abbiamo al• cun interesse a star male ndl'ambiente in cui viviamo, e cogli amici Ira cui viviamo, abbiamo fraternamente sorriso sulle tue inquietudini. Ma io dèvo e voglio premetterti che a torto creJi che io possa lontanamente volertene della tua schiettezza, come dici, nell'esprimerle. Meglio le cento volte gli amici dal cuor d'oro - come te - che dicono franco quel che pensano, all'amico - e che banno il cuor sulle labbra - che non gli amici i quali ti si dicono tali, e magari anche fratelli, a parole, e poi ti leggono la vita dietro le spalle o si mostrano per te compresi di dolore. Ciò premesso, e con una buona stretta di mano per dirti che io ricambi con affetto la tua intenzione amica, tu per il primo mi concederai di non ritenerci i11fallibili nè io nè tu, e che tanto potresti cadere in errore tu quanto io. Ora, salvo che io e Romussi ci illudiamo en • trambi, io creJo che sta volta l'errore sia dalla tua parte. Ma con te fa sempre piacere il discutere. Tanto più ora che dt:vi essere allt gro per la bambina che ti è nata, e della quale ti faccio le mie felicitazioni più affettuose: coi cuori allegri si ragiona meglio. Ho attesopoi espressamente, per risponderti che fosse innanzi tutto 11tficialmenleaccertalol'evento, che per te, sembra, no11ba la dovuta capitale importa11za, ma pe,· me ne ha 1111agrandissima e capitalissima - tanto che solo in grazia di esso (perchè il formale e da me 11011cbieslo affid~mento io lo ebbi sin dalle feste di Natale, solo con preghiera di non dirlo, prima dtl fatto, ad ani ma viva) solo in grazia di esso io mi rassegnai, dalle fèste di Natale ad ora, a fingere di fare il morto e perfino a sospendere la nuova campagna che ero già sul punto d'iniziare - e che io stesso anzi avevo già la- "iato dal Secolo annunziare -. Solo con Romussi dovetti confidarmi di quel tanto che spiegava quella improvvisa sospensione e quel mio improvviso silenzio: ed egli stesso. ditlro cii>cbe gli esposi, e che non posso metter qui - approvò perfettamente il mio piano - avendogli del resto confidato anche quali erano, a seconda dell'una o dell'altra delle due ipotesi possibili (in caso di imprevisti o imprevedibili impedimenti) le mie decisioninellamwle prese. L'amico Romussi (guarda che questo è un racco::ito confiJenziale che faccio a te solo) approvò tanto le mie idee che pochi giorni dopo se ne ricordò e se ne trova precis1mcnte lo specchio fedele (benchè pel riserbo di cui lo pregai non vi sia detto tutto) in quell'articolo che egli intitolò : Cavallo/li al bivio è che a te è tanto, non vedo il perchè, dispiaciuto. Quali fossero poi, ancor più chiaramente che in quell'articolo non si dicesse, le mie precise intenzioni confidate a voce a Romussi la sera stessa del 27 dicembre in cui tornai a Milano e gli mostrai un carteggio politico di cui 11011 potè che farmi i più fraterni compii· menti abbracciandomi - e si che tu sai come Romussi la pensa - quali fossero più chiaramente non credo poterlo precisare per lettera. re parleremo quando ci vedremo. Ed è un fatto che trattandosi del resto d'una breve attesa fino al 21 ( ch'è proprio oggi) o al 22 di gennaio - come ne avevo avvertito Romussi - egli stesso convenne dell'opportunità di fiatare nel frattempo il meno possibile sulle elezioni e di imprimere in questo intervallo un certo riserbo anche al Secolo. Inutile che io qui ti esponga come,perchè, cd in qual forma l'affidamento preciso delle elezioni, da Natale, lo ebbi (ripeto che questa mia è per te solo è affidata alla tua delica• tezza, anche se mi disapprovi): nè che ti narri su quali furie moPtarono Crispi, Sonnino e i crispini appena qualcosa trapelò del disegno: e quali sforzi sovrumani furono fatti, e quante batterie messe in gioco per iscongiurare l'evento. Qualcosa, benchè non renda che una pallida :dea del retroscena, s' è visto dal linguaggio furibondo dei giornali crispini dalla Tribuna al :Ji{atlino, dal Roma al PopoloRoma110 e al Corriere dell'Emilia. Eb~ene io non ho, caro Colajanni, il più piccolo ri•• morso di essermi da Natale in qua adoperato del mio mio meglio perché il promessomi appelloal p11ese - che è per me la continuazione necessaria, indispensabile della campagna che da due anni combatto ad oltranza, attraverso amarezze ineffabili - diventasse - com' è diventato - un fatto compiuto. Ch'io poi la volessi risolutamente la rivincità del 14 Dicembre, questo, mi ammetterai, era semplicemente logico e sopratutto umano. E dico che non ho nessun rimorso perchè non ho avuto bisogno - intendilo bene e intendilo chiaro - discendere a 11essu1taco111pro111issio11e di sorta, di transigere su alcuno dei miei precedenti parlamentari, di arrogarmi di impegnare o di cedere 1111 solo lembo, un sol brandello della vecchia onorata bandiera dell'Estrema, cosi e quale la s\·entolai dall'Albergo di Roma nel '94, e a Corteolona nd '96. E no:i ho avuto bisogno, - intendi?, - di 1111111dare ambasciatori a chicchessia, ne di pregar giornali coi quali io non ho rapporti a stampar sul mio conto gli elogi al Quirinale - anzi fui dispiacente, apprendendoli dal Secolo, che Norsa si fosse data la briga di telegrafarli e il Secolo di riprodurli. Ho poi saputo più tardi, come fu che quella udienza avvenne, e quali furono tutte le cose ivi dette, ma di ciò non e qui luogo, e non mi tocca. Tutto questo non toglie, caro Colajanni mio - e libero a te di pensarla diverso - che io me ne twgo del risultato a cui son giunto - e a cui senza la testardaggine del sottoscritto non si giungeva: e credo che per il paese esso sia suscettibile di avere (intendi bene l'aggettivo) risultati più utili.: pratici, conseguenze più feconde e salutari di un centinaio di interpellanze e d' interrogazioni messe insieme. Per me che studio i fenomeni dell'aria italiana, che vedo nelle impunità trìon-

RIVISTA1POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZE SOCIALI fanti, la prima cagione di tanti guai del paese e la minaccia di tanti altri futuri - la campagna che ho combattuta fin ora no11 è finita - anzi non e giunta che a mezzo - e uno dei primi atti del proseguimento, anzi il primissimo indispensabile al risanamento della vita italiana era per me l'appello al paese. Perché io, caro Colajan!li, le accademie le ho sempre detestate: e ho avuto sempre per regola di fare una battaglia alla volta, e di far giocoserrato, lotta serrata, pigliando l'avversario corpo a corpo, e non lasciandolo che. .. in terra, proprio quello che gli accademici nelle lor lotte sublimi ma inoffensive, attraYcrso le nuvole, non amano. E bada che se tu poni mente all'oper.t mia da vari ann! vedrai, che non e che uno sforzo continuo, febbrile, per ve• dere di scuotere la fibra del paese e per rialzarne le energie nei soli modi che credo possibili, poichè in un paese che non si è rivolta1->neppure dopo Abba Carima è ridicolo sperare che si rialzi da sè col metodo ri voluzionario. Mi dirai tu adesso che la mia speranza nell' appello al paese andrà completamente delusa anche questa volta, anche dopo i disastri e le vergogne africane, anche dopo le mille turpitudini su cui ogni giorno cresce la luce? Ma questa sarebbe colpa del paese e non mia, - e il giorno che fosse provato che neanche a pungerlo coi disinganni e i dolori, neanche a mettergli !'arme in • mano non c' è verso più alcuno di scuoterlo - allora, come scrivevo a Caldesi, sarà il caso di andarmene in America a suonar l'organetto. - Io però che sono della tua scuola sperimentale non credo niente affatto che sfa una buona ragione di tralas::iar certe lotte giudicandole inutili ed infeconde a priori, perchè questa è poltroneria: ed io, che non per questo vedo nelle elezioni il toccasana e il farmaco che rinnoverà di punto in bianco l'Italia (non fui mai cosi ingenuo!) - mi contento di ritenerle il primo atto assolutamente necessario in ogni rnodo, per cominciare a spazzare l'ambiente, liberarlo non di tutte, ma da un certo numero, possibilmente il maggiore, di canaglie, aumentare il co11tùige11te d gli amici che la pensano comeme, che sentono come me e come te dei mali del paese e dei rimedi, e aumeuta11done, conseguentemente, la influenza nell'indirizzo delle cose, aumentandonel'azione e la propaganda risvegliatrice d' a!tre energie, aprir nuove porte verso l'avvenire. Metodo evolutivo! Illusione mi dirai anche quella che l' Estrema sinistra esca aumentata dalle urne. Tu sei padrone di credere cosi: io che penso a condurre la campagna sul serio e a moltiplicarmici aspetterò a darmi vinto quando avrò finito di combattere. Intanto mi sarebbe qui lungo spiegarti le ragioni per cui credo che la lotta si apra in condizioni le migliori che per noi, dato il momento, si potessero desiderare: e primi a pensarlo furono il Crispi, il quale diceva nell'intervista di Palermo che le elezioui non potevauo giova.-e che a me Cavallotti, e quel caro ministro Costa - compare di Crispi - che combatté lo scioglimento in Consiglio non prevedendone altro che u.naumentodegli amici di Cava/lotti da IL1iritenuto pericoloso. E l'accanimento con cui il fatto si cercò di sventarlo - sta a provare, se altro mancasse, che il mio colpo era ben dato e che la battaglia Ha buona. Ho io poi bisogno di dirti che combattendo in condizioni diverse e in posizione di lotta diversa da quel che avrei combattuto se, supponiamo, le elezioni non fossero avvenute ora, ma dopo un periodo di Camera vecchia crispina e di altre gesta crispine, e di trionfi Sonniniani e di governo di Sonnino, non mi sogno per questo di ripiegare nella lotta un lembo solo della mia bandiera? Questo non ho bisogno di dirlo - perchè si vedrà dai fatti - ed e questa certezza che ritrovo nella· coscienza mia, che mi permette oramai di fare una lotta alta e bella non piu infestata (come appunto dicevo nella lettera di ringraziamen•o ai radicali milanesi, inserita nel Secolo che ti spiacque) non piu infestata dalla noia di veclermi attribuite delle ambizioni riclicole e malsane. Che queste ambizioni me le regalino altri, padronissimi, ma tu dovresti conosctrmi meglio di loro e la mia lotta mira piu alta ed è piu meritoria forse, non fosse altro perchè dietro al compimento del dovere 110ncerca, 110nsegue i fumi della popolarità. La popolarità può essere una forza utile - ma bisogna avere il coraggio d'infischiarsene. Non è questo però il caso di cui sto discorrendo. In quanto a me potrei mostrarti, a compenso dei sospetti cui ho accennato, le lettere più che affettuose e incoraggianti che: mi son piovute dagli amici della democrazia milanese, lombarda, emiliana, veneta, giusto per quelle mie righe nel Secolo e per la lettera in risposta ali' articolo Cavallolii al bivio! Ma non è da oggi che a Milano e a Napoli le cose si vedono diversamente e se tu me lo consenti, è coll'aria milanese, perchè ci son nato, che preferisco intendermela. Ma a che prò continuar a parlar di sospetti dei quali ormai ha fatto giustizia tutta intera la mia vita? O a che prò dimostare a te che io la lotta per il mio paese, per le sue libertà, per i suoi bisogni urgenti, per le giustizie che esso attende la intendo da anni in modo diverso - molto diverso - da quello che Imbriani e Bovio per le ragioni loro che !Ìspetto - la intendono? Il distacco dd 14 Dicembre non è stato un episodio fortuito - risponde a tutta una diversità di criterii; di metodi, di ambiente, di intenti - che durava da tempo, per quanto nascosta dai vincoli che non potevano non unirci su tante questioni del programma democratico. - Certo non mi meraviglierei che essi alle elezioni non ci tenessero gran chè; e in ogni modo non so e non cerco con quali disposizioni entreranno nella battaglia. - In quanto a me, ho a me davanti sui punti principali del programma mio per le elezioni - questionemorale, giustizia eguale per tutti i ladri alti e bassi, per tntti i delinquenti alti e bassi; abbandono dell'Africa, raonodamento dei rapporti e trattati colla Francia, economie e sgravio tributario, risurrezione economica del paese, provvedimenti serii per la Sardegna, la Sicilia, le Puglie e altre regioni, giusth:ie sociali, difesa delle libertàpubbliche (il diritto d'associazione compreso, e tutto il resto) - ho davanti degli obbiettivi cosi netti che non avrò altra fatica se non quella di semplificarli e di ridurli a termini sommari, perchè al paese non si possono mettere, se si vuol far lotta utile, troppi quesiti in una volta. Questo sarà oggetto di un discorso che farò tra breYe o di lettere che al Secolo darò. Speriamo che <!:i qui ad allora sul mio conto ti sarai tranquillato: e pensa, Colajanni mio, che certamente un gran guaio

RIVISTA POPOLAREUl l'OLITICALETTERE E SCIENZE SOCIALl '!45 sarebbe se la lotta imminente ci trovasse disuniti me e te, come fu un terribile guaio nel 90 la scissura che Bovio provocò col telegramma per l'affare Cernusçhi. Ma non sarà per fatto mio che dissensi scoppieranno al sole: e se mi trovassi attraversato nei più onesti intendimenti, continuerò a proseguirli con più ardore e a metterci tutto il sangue dell'anima. contento di fare il dover mio come sempre e declinando la responsabilità di quel che i sospetti o gli 0stacoli frappostomi da amici avran fruttato. Qua_nte cose avrei fatto di più se fossi stato assecondato a certe ore ! Scusami la lunga chiacchirn1ta che mi lascia ancora tante altre cose a dirti. Ma non son per lettera. E sarebbe pur 11ecessario che ci vedessimo, perchè potrebbe giovare a te ed agli amici l'avere certe informazioni. Abbiti con immutablile affetto un abbraccio dal tuo Felice Cava/lotti ......... ~~ ............ /"'- ,,,,,,...._,, L'ABERRAZIONDE LLARAZZA La parola •' razza ,, è ogg1g10rno alla moda ; ce ne serviamo costantemente, la mettiamo dappertutto e ci pare che tutto spieghi e chiarisca. La natalità è debole in Francia : ciò dipende dalla decadenza delle razze latine; la delinquenza è alta in Sardegna: ciò deriva dall'essere i sardi di razza Iberica e non di razza Celtica. Si vede quanto questa parola sia utile per toglierci da ogni imbarazzo. Quando un fenomeno sociale è prodotto da fattori cosi numerosi che noi non possiamo ne conos:erli tutti nè analizzarli, nè afferrarli in un sol colpo d'occhio, ci sbarazziamo da ogni difficoltà pronunziando la parola " razza ,,. E siamo soddisfatti. non cerchiamo più nulla oltre. La parola " razza ,, è il comodo mantello col quale copriamo tutta la nostra ignoranza e la nostra pigrizia di spirito. La " razza ,, sostituisce oggi altri clicbes, che hanno goduto a loro tempo d'un favore universale: il destino, le leggi della natura, la rnlontà di Dio ecc. ecc. " Razza ,. è un termine fisiologico. Esso designa un certo insieme de caratteri morfologici. Ad esempio, una certa conformazione del cranio o delle mascelle, un certo colore della pelle, un certo modo di crescere dei capelli, ed altre cose di tal genere. Gli antropologi son lungi dall'essere d'accordo sul carattere che deve servire in una maniera più speciale a differenziare le razze. Infatti, due individui che hanno il cranio oblungo, ma uno dei quali abbia la pelle bianca e l'altro la pelle nera, sono della stessa razza o di razze differenti? Su ciò non si è d'accordo. Gli uni prendono il colore della pelle come l'indice principale della classificazione, gli altri dicono che questo indice non ha assolutamente alcuna impor - tanza e che il cranio è tutto. Così le classificazioni delle razze umane sono innumerevoli ; si può dire che siano differenti per ciascuno scenziatc. Prova questa - sia detto fra parentesi - che esse sono basate in gran parte su opinioni soggettive. Gli uni distinguono cinque razze sulla terra, mentre per gli altri esse arrivano a centocinquanta. Secondo le più recenti ricerche di antropologia, sembra che bisogna ammettere l'esistenza in Europa di sei razze principali e quattro razze secondarie. Razze principali La razza nordica... Dolicocefala Bionda di alta statura » orientale... Sub-brachicefala » » ibero-insulare.. Ultra-dolicocefala Bruna » occidentale... Brachicefala )) » Atlaoto-mediterranea.. Sub-dolicocefala i' » Adriatica... Brachicefala )) Razze secondarie )) A. mesocefala Bionda )) B. )) C. sub-dolicocefala castagna )) D. brachicefala. » piccola » piccolissima » piccola » alta » alta » alta » piccola » alta » media Ciò che sembra risulti in primissimo luogo da questa classificazione, è che tutte le combinazioni possibili dei cranii, dei colori e delle stature, si present:ino in Europa. Vi sono dei dolicocefali biondi e di grande statura ( razza nordica), dei dolicocefali bruni di piccolissima statura (razza iber-i-i'nsulare); ..,.isono dei sub-brachicefali biondi (razza orientale) e dei sub dolicocefali bruni. Finalmente vi sono tutte le gradazioni intermedie: mesocef:ili biondi, sub-dolicocefali castagni etc. Aggiungiamo che i rappresentanti di questi diversi tipi sono mescolati e vivono sugli stessi territorii. In Francia, in lnghilterra, in Germania, in Russia vi sono dei dolicocefali e dei brachicefali i quali non solo abitano gli uni accanto agli altri, ma che, pur avendo degli indici cefalici differenti, sono usciti talvolta dallo stesso padre e dalla stessa madre! Cercate di raccapezzarvi in mezzo a queste divisioni multiple! Come pure gli antropologi, i quali hanno elaborato queste classificazioni, non si accorgono che è altrettanto impossibile stabilire dei limiti esatti fra le loro razze immaginarie, quanto è per i naturalisti di stabilirne tra le specie animali e vegetali. Specie e razze sono, in una larghissima misura, delle categorie soggettive del nostro spirito, senza alcuna realtà concreta, in mezzo a questo vasto oceano della natura, che forma un tutto immenso e indivisibile. Malgrado la poca precisione che comporta l'idea della razza, non si è esitato ad attribuirle una influenza delle più decisive, e talvolta anche esclusiva, sulle istituzioni umane. Degli antropologi sono andati fino a sostenere che le razze il cui indice cefalico oltrepassa 85 (r) sono incapaci di governarsi da sè e sono votate al cesarismo fino alla consumazione dei secoli. ( 2) Quando si fanno delle affermazioni di tal genere, si associa un fenomeno morfologico (la forma del cranio) con un fenomeno sociale (un governo alisai accentrato). Il lettore sente subito quanto un'associ:izione simigliante abbia di arbitrario. Prima di tutto si ha il diritto di domandare: perché si associa l'accentramento con l'indice cefalico? Perchè non associarlo alla stessa maniera col colore della pelle e (r) Per avere l'indice cefalico si misura la larghezza del cranio in centimetri, si moltiplica la cifra ottenuta per 100 e si divide per la lunghezza del cranio. (2) L'illustre autore si riferisce qui, senza dubbio, alle affermazioni fantastiche_e alle teorie paradossali di Lapouge e di Hammond. N. D. R.

i46 RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI dire, per esempio : i popoli che hanno la pelle bianca avranno sempre un governo accentrato; quelli che l'hanno rossa avranno sempre un governo non iutervenzionista? Che cosa prova che la forma del cranio influisce in una maniera piu decisiva sulle istituzioni sociali del colore della pelle o di quello dei ca pelli ? Alcuni astronomi hanno creduto di scoprire una correlazione tra le macchie del Sole e le crisi commerciali. Per confermare la verita della loro supposizione essi si sono abbandonati a delle lunghe e minuziose osserva- . zioni; hanno tracciato delle tavole di concordanza con una cura tutta speciale. Ma, alla fine di lunghissime ricerche, la concordanza non ha potuto essere fissata in una maniera abbastanza evidente e questa teoria è stata _abbandonata. Se un antropologo sospettasse una associazione tra l'indice 85 e delle istituzioni sociali assai accentrate, il suo primo dovere sarebbe quello di abbandonarsi a delle lunghe e pazienti ricerche per vedere se i fatti confermano delle supposizioni così straordinarie. Dovrebbe mettersi allora a misurare i cranii di tutti gli abitanti dei paesi accentrati, i cranii di tutti i russi, per esempio, (che sono 130 milioni) o di tutti i francesi (che sono 38 milioni). E questo stesso non basterebbe nemmeno, poichè dovrebbe misurare altresi i cranii di tutti i russi e di tutti i francesi dall'epoca io cui l'accentramento è stato stabilito in questi due paesi, cioè da due secoli e mezzo circa per la Francia, e da un secolo e mezzo per la Russia. Ce:to nessun antropologo sarà mai capace di compiere un si;nile lavoro, nessuno di essi ha mai nemmeno pensato a misurare i cranii di tutti gl'individui che compongono una grande nazione. Quando dunqne si viene ad affermare che l'accentramento è legato all'indice cefalico, ciò equivale a dire: un paese, o un certo numero di cittadini che '..anno un indice cefalico superiore a 85 è votato al cesarismo. Allora l'affermazione diventa piu insostenibile! Immediatamente si è in diritto di chiedere a questi antropologi quale proporzione di brachicefali (l'indice 85 corrisponde alla brachicefalia) occorre in una nazione per condannarla alle istituzioni accentatrici. Se essi rispo~dono il 20 o il ìO per cento, dovranno riconoscere che farebbero delle affermazioni arbitrarie: perchè non, invece, il 2 5 o 35 per 100? Se rispondono che occorre la maggioranza, devono provare che vi sono delle grandi nazioni civili, in Europa, nelle quali la maggioranza della popolazione è di un indice cefalico determinato. Essi non possono dare questa prova, poichè occorrerebbe misuran·, a questo scopo, dei milioni e milioni di cranii, la qual cosa è irrealizzabile. Associare una istituzione o uno stato sociale ad un carattere morfologico qualunque, ma determinato (per esempio l'indice 85 con l'accentramento, o la brachicefalia con l'inferiorita mentale) è, come abbiamo mostrato, la cosa piu arbitraria del mondo. Tuttavia ve n'è una piu arbitraria ancora, se è possibile, ed è l'associare una istituzione o uno stato sociale a dei caratteri indeterminati. Questa intanto e l'eno1miti che si commette quando si viene a sostenere che le razze latine son votate al cesarismo o alla loro decadenza irremissibile. Si sa che questa denominazione di razze latine è una nozione lingui5t:ca e s•orica. Si chiamano razze latine un insieme di popolazioni che parlano degl' idiomi usc1t1, m gran parte, dall'antica lingua del Lazio e che hanno adottato, in larga misnra, l'antica cultura greco-romana. Fra i latini vi sono dei rappresentanti di tutte le sei razze e delle quattro sotto-razze che abbiamo enumerato innanzi: vi sono dei dolico-biondi di alta statura, dei brachi-bruni di piccola statura, dei sub-dolicocefali, dei mesocefali, insomma tutti gl'indici, tutti i colori e tutte le stature! Non v'è dunque alcun carattere fisiologico speciale che caratterizzi l:r. razza latina. Intanto si attribuiscono a questa razza certe istituzioni e certi stati sociali: dunque si associano -1.uesteistituzioni e questi stati sociali a caratteri fisiologici cbe non esistono! Ci sembra difficile che possa spingersi l'arbitrario fino a limiti piu stupefacienti: è della pura fantasmagoria, quando non è della pura logomachia. Così, abbandonando completamente il terreno solido delle osservazioni scientifiche per nuotare pienamente nella pia alta fantasia, si arriva a delle conclusioni sempre false. Non un solo dei caratteri attribuiti all'influenza preponderante della nzza resiste all'analisi piu superficiale. In• fatti, una delle prove che si danno pia frequentemente della decadenza delle razze latine è lo spopolamento della Francia. I latini, si riptte, sono arrivati all'ultimo grado di decrepitezza: essi non sanno piu nemmeno riprodursi! Ma da che cosa deriva che gl'italiani, i quali sono per lo meno latini quanto i francesi, hanno una cosi forte natalità? La natalità in Italia è stata del 37.6 per rooo, nel periodo dal 1887 al 1891, mentre che nella stessa epoca la natalità ,ltlla Germania è stata del 36.5, quella dell'Inghilterra 3 r. 3, e quella del Massachussets (lo stato pia innanzi nella civiltà della grande federazione americana), del 25.8. D'altra parte, se un'alta natalità è una qualità della « razza ,,. italiana, da che dipende che la popolazione dell'Italia 2umenta ,·a soltanto di 12900 persone all'anno nel periodo dal 1550 al 1720, mentre aumenta di 810000 persone nd periodo dal 1881 al 1896? Dal r s 50 al 1720 e dal 1881 al 1896 l'ltalil era popolata dalla stessa razza. Si dirà forse che la nostra argomentazione non .è assolutamente inattaccabile. Nel Medio Evo la natalità italiana poteva essere forte quanto la presente ed anche piu; se non che, poichè la mortalità .era ugualmente enorme, l'eccedenza delle nascite sulle morti era minima. Noi non sappiamo se la natalità italiana nel Medio E,·o era superiore a quella dei nostri giorni; ma se anche cosi fosse stato, noi potremmo ritorcere la nostra argomentazione. Quando la mortalità diminuisce sensibilmente in un paese, ciò è segno che quel paese fa dei progressi dal punto di vista dell'igiene e del benessere. In questo caso non si può affermare che la « razza » italiana sia oggi degenerata in rapporto a ciò che essa era al principio del XV secolo: i degenerati sono coloro che muoiono prematu• ramente, non coloro che vivono piu a lungo. Si di oggi, come prova della superiorità degli anglo-sassoni la loro forte natalità. Il fatto in sè non è vero. L~ natalita della Rumania, dell'Italia, della Spagna e del Portogallo è piu elevata di quella dell'Inghilterra. (1) Per altro l'opinione ehe il numero dei figli dimoHri la mperioriti della razza, (1) In Rununia 42,7 per IOOO e per anno, in Italia 37,6, in Portogallo 34,8, in Inghilterra 31,3.

RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTEUE E SCIENZE SOCIALI non sostiene la critica per un momento solo. Si sa che la Nuova Inghilterra è la parte più innanzi degli Stati Uniti. Gli abitanti di questa regione sono tra gli uomini più energici e intraprendenti del nostro globo. Ebbene essi hanno, nulla meno, pochissimi figli: la natalità del Massachussets è di 25,8 per 1000, cioè una delle più deboli che si conoscano; è quasi inferiore a quella della Francia. Come si può, dunque, affermare che il piccolo numero di figli è una prova di degenerazione, quando, precisamente, gli uomini più colti e più attivi della terra si riproducono meno di tutti? Di tutte le associazioni d' idee, stabilite fra le istituzioni sociali e la razza, accade come di quelle che si stabiliscono tra la razza e la nata lita: esse non resistono un solo istante ad un esame, sia pure poco serio. Abbiamo veduto che le razze superiori possono avere U!la debole natalità e le razze inferiori a,·erne una fortissima; in tutte la natalità varia da un periodo storico all'altro. È impossibile dunque stabilire :.rn legame di causa ed effetto tra. la nat:ilità e la razza. Ugualmente impossibile è stabilire questo legame tra la razza e qualsiasi istituzione sociale. Tutti i tentativi fatti in questo senso sono miseramente abortiti, poiché vi sono dei dolico-biondi cesariani come dei dolico- biondi liberali; dei brachi-bruni liberali e dei brachi-bruni cesariani. La stessa razza può essere liberale in un'epoca e cesariaoa in un' altra. Al principio del XVI secolo vi erano ancora in Russia delle repubbliche democratiche: ora la Russia è un paese nel quale regna l'autocrazia. Quando ci diamo la pena di studiare le qu1st1oni sociali in una maniera seria e non ci permettiamo a loro riguardo le fantasticherie più straordinarie, si è costretti a riconoscere che qualsiasi fer:omeno sociale si riannoda, in ultima analisi, ad un fenomeno psichico. Le istituzioni, così economiche come politiche, dipendono dalle idee che si trovano nei cervelli umani; ora queste idee alla loro volta provengono d·a miliardi di-fattori diversi. Perchè le classi colte in Italia, nel!' anno di grazia 1898, pensano in una certa maniera e non in un'altra? Ciò dipende da tutta la serie degli avvenimenti che hanno agito sulla storia di questo paese da venti secoli. Quando si scartano sistematicamente questi fattori innumertvoli per sostituirne aJ essi uno solo - l'indice cefalico o il colore della pelle - si commette il più spa venttv ;le errore di metodo che si possa immaginare. Vi:,ti da lontano, sopratutto dal!' Italia, i russi sembrano duri e crudeli; la Siberia ha una riputazione delle più sinistre, e si crede, nelle mass~ popolari dell'occidente, che vi s' inviino ogni anno centinaia di migliaia di condannati politici. Ma, quando si guardano le cose più da vicino, è facile accorgersi che i russi non sono nè più cattivi nè più crudeli degli altri popoli; ma, in seguito a migliaia e migliaia di circo~tanze (una fra le quali è che essi hanno ricevuto il cristianesimo da Bisanzio e non da Roma) essi hanno oggi delle idee diverse da quelle dei popoli dell'occidente. E poichè hanno delle idee differenti lunno delle differenti istituzioni; se domani i russi cambieranno d'idee, cambieranno le loro istituzioni, pur rimanendo della medesima razza di prima. In Turchia, dice P. Leroy Beaulieu, e presso diversi popoli maomettani, l'imposta fondiaria è essenzialmente variabile, essa confisca tutto quello che supera la spesa di sfruttamento e un lieve beneficio pel proprietario. Da ciò derivano degl'imbarazzi di ogni natura per l' amministrazione, la corruzione, l'arbitrio dei funzionari pubblici e finalmente lo scoraggiamento degli agricoltori, i quali non fanno più alcun progresso. Questo sistema ha trasformato in solitudini e lande parecchie delle contrade, che altra volta erJno le più prospere e le più fertili del globo. (1) Da questo solo fatto si vede quanto la teoria della razza sia assurda; quello che oggi produce la miseria dell'Impero turco, non è la pretesa degenerazione fisiologica, ma, in parte, un'idea falsa sul sistema delle imposte. È certo che nessuna ragione fisiologica impedisce agli Osmanli d'introdurre presso di loro un nuovo sistema d' imposta: la forma del loro cranio non vi metterà, senza dubbio, alcun ostacolo, tanto più che fra gli ottomani, come fra tutti gli altri popoli, vi sono dei brachicefali, dei mesocefali e dei dolicocefali. La razza esercita una influenz1 quasi nulla sulle istituzioni sociali; si sarebbe potuto trascurare questo fattorr, se disgraziatamente la nuova scuola antropologica non vi avesse dato una importanza enormemente esagerata. Questa aberrazione ha avute di già, ed avrà ancora, (se non si riuscirà a ridurla al culla) le conseguenze più funeste. L'ipnotizzazione della parola « razza » produce due frutti dei più velenosi: la discordia e il pessimismo. A furia di ripeterci che le persone le quali hanno il cranio un poco allungato e quelle che lo hanno un pò più rotondo rnno di razze differenti, a furia di ripeterci che esse hanno delle origini diverse così come se avessero visto la luce su pianeti distinti, si stabiliscono tra gli uomini delle divisioni, che tendono a divenire irriducibili - quando la scienza proclama che intorno all'indice 75 si è di razza nobile, pura, superiore, ma che se si va al di sotto o alquanto al disopra di questo grado di dolicocefalia si è di razza vile, bassa e inferiore, si seminano tra gli uomini delle idee di antagonismo, di odio e di discordia. Si divide l'umanità in semidei e bestie, le quali, non potendo essere nella medesima associazione politica, non hanno altra alternativa cht di esterminarsi gli uni gli altri. Guardate quanto la teoria che riguarda i tedeschi come dei cc nobili » germani, e i francesi come dei latini « degenerati » ha contribuito a ·seminare l'odio tra le due grandi nazioni occidentali, le quali hanno pure comuni tanti interessi intellettuali ed economici. Ed e pure questa funesta teoria della razza che stabilisce come un antagonismo irriducibile tra gli slavi e i tedeschi, mentre non vi sono, in realtà, tra gli abitanti della Germania, dell'Austria e di una grande parte della Russia Europea, che delle differenze linguistiche e per nulla fisiologiche. La questione sulla legislazione delle lingue potrebbe regolarsi in pochi minuti, se si volesse rigettare un momento l'idea assurda ddle razze superiori e inferiori. L'Europ1 era, pur troppo, già divisa abbastanza dalle lotte dei governi affamati di ;:onquiste territoriali e affetti da quella malattia che noi abbiamo chiamato la chilo- ( 1) TraiU <I' Eco110111pioelitique. - Paris, Guillaumiu voi. I, p. 175·

RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEltEE SCIENZESOCIALI metrite. Ciò non bastava ancora, a quanto sembra. A questi odii politici, dei pretesi scenziati vogliono ancora aggiungere degli odii fisiologici, derivanti da una difierenza di uno o due gradi nell'indice cefalico! Tutti gli spiriti sani dovrebbero armarsi contro errori così colossali e nefasti. Bisogna ripetere giorno e notte ai signori antropologi che i fatti sociali sono delle risultanti di migliaia di cause e non d'una sola causa dell'ordine fisiologico. L'altro (rutto avvelenato della teoria delle razze è, come abbiamo detto, il pessimismo. Quando si è imbevuti di questa verità, elementare in sociologia, che le nostre istituzioni vengono dalle nostre idee, si guarda l'avvenire fiduciosi. Ci diciamo: Oggi abbiamo delle idee false e a causa di ciò siamo immersi nella miseria, il malcontento e la sventura ; domani potremo acquistare delle idee vere e potremo nuotare in piena prosperità, in piena esuberanza giovanile, in piena soddisfazione. Ora, poichè è un fatto di osservazione universale che le idee degli uomini cambiano costantemente, noi siamo convinti che le idee di domani non saranno più quelle di oggi, e poichè nulla prova che esse debbano essere necessariamente più stupide, nulla ci vieta di guardare l'avvenire fiduciosi. Invece, appena la teoria delle razze è messa innanzi, tutto cambia. Se certi caratteri fisiologici sono indissq,- lubilmente associati a certe idee, bisogna, per modificare queste idee, modificare J.nche questi tratti fisiologici. Ora tutto il mondo sa che i cambiamenti fisiologici sono di una estrema lentezza. Se, per esempio, l'indice cefalico 75 è necessariamente associato al cesarismo, allora i popoli ( 1) i quali hanno questo indice languiranno nel cesarismo durante delle centinaia di migliaia d'anni. All'epoca paleolitica vi erano già dei brachicefali e dei dolicocefali in Europa. Ora l'epoca paleolitica è ben antica! Se è dunque vero che le idee (e per conseguenza le istituzioni umane) sono associate a un carattere fisiologico, noi dobbiamo assolutamente disperare di poter migliorare la nostra condizione in un avvenire che possa entrare nelle nostre preoccupazioni. Noi dobbiamo quindi disperare interamente e, come condannati da una natura inesorabile, dobbiamo subire, senza ribellarci, una miseria eterna. Delle opinioni di tal genere non sono fatte per rialzare il coraggio. Aggiungiamo che i signori antropologi spingono l'inesorabilità ancora più lontano. Non ~olo condannarono tutti gl'infelici, il cui indice è inferiore a 74, a restare eternamente ai gradini inferiori dell'umanità, ma ancora vi condannano dei popoli presso i quali si trovano tutti gl'indici immaginabili. In quest'ultimo caso la condanna è ancora più crudele, perchè non è motivata da nessun carattere fisiologico determinato. Intanto gli antropologi sono inflessibili : benchè la « razza » latina non esista (non v' è alcun carattere fisiologico speciale corrispondente ai latini), essa è « degenerata » Ciò è scritto ed e inappellabile! (r) Per essere esatti si dovr.,bbc dire piuttosto:« i popoli presso i quali degl'individui più o meno numerosi hauuo questo indice cefalico » Questa sola correzione mostr .i, ancora una volta, ciò che valt: tutta la teoria. Qua.1do si domanda loro perchè è cosi, essi danno talvolta, come per esempio il F errero, le ragioni più singolari. Egli dice che ciò accade perchè gli anglo-sassoni sono ca5ti e i latini libidinosi. li nostro amico prof. Mosca, ha oppo;to questo semplice fatto a tale spiega• zione: « Nel XV secolo le razze italiana e inglese erano quelle che sono oggi: da che dipende, allora, che, malgrado il carattere casto dell'una e il carattere licenzioso dell'altra, gl'italiani erano in quell'epoca la nazione più civile dell'Europa e l'Inghilterra una delle più retrograde? Poichè vi sono delle razze maledette e delle razze benedette (gli antropologi trascurano di dirci da chi e quando sono state colpite da tali condanne), le prime non hanno che una cosa a fare : scendere tranquillamente nel sepolcro. Questa prospettiva, lo ripetiamo, non è fatta per rialzare il coraggio di tutti coloro che su questa terra non hanno la fortuna di essere dei nobili anglo-sassoni. Ecco come questa funesta teoria delle razze produce il più desolante pessimismo. Ora chi non ha più alcuna speranza nell'avvenire non ha alcuna ragione di restare fiero, coraggioso, dignitoso ed onesto; ecco, dunque, come il pessimismo, scoraggiando certe nazioni europee, le spinge realmente alla loro decadenza. Ciò dimostra, ancora una volta, questa verità fondamentale della sociologia : che tutti gli stati sociali si riducono a degli stati psichici. Ma ciò dimostra altre~! che ci basta abbattere questa aberrazione insensata della razza, per scuotere il nostro pessimismo attuale, per guardare fidenti all'avvenire, per compiere allegramente il nostro dovere sociale e per divenire degli uomini dal cuore baldo e generoso. J. Nov1cow. Il~ensiern l tterario ~i CarloCattaneo I. « La ragione, anche aspirando aUe più alte conquiste, non deve spregiare d'esercitarsi in qualsiasi più circoscritto e povero campo». (C. CATTANEO. Prefàzione al Voi. I. delle OJ1ere, pag. 8). Quando l'illustre Direttore di questo periodico mi fece l'onore di chiedermi un sunto delle lezioni da me tenuto lo scorso inverno al Circolo Filologico della mia città sopra Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo nella letteratura, ebbi dapprima il disegno di accoppiare in un solo studio i due nomi gloriosi, illustrando di conserva i pensamenti, i criteri e l'attività dell'uno e dell'altro in questo nobilissimo campo dell'umano sapere. Che se poi mi persuasi a trattarne separatamente, fu per ragioni soltanto di chiarezza e di convenienza, non certo perchè non mi paresse di scorgere fra i due, insieme a' rapporti e all'armonia altrettanto note, quanto estranee al mio assunto, altri punti d'accordo e di contatto, proprio in quelle parti del loro ingegno e delle loro teorie, che dovevano formare lo speciale argomento di questo studio. li sistema delle critiche comparath·e o parallele, venuto

RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI 249 in grande auge col progressivo incremento degli studi di letteratura straniera, diventò ormai fra noi malvezzo ed abuso pressochè generale ; e invero la fregola del raffrontare a ogni costo, a ogni patto, non risparmiò neppure i migliori; e per ora, appiccatasi a un illustre, facea si ch'egli paragonasse - con la maggior serietà del mondo - il compianto Ruggero Bonghi a... Marco Tullio Cicerone ( r ). Si diceva dunque che, anche per quello che forma oggetto del nostro studio, relazioni e somiglianze intercedono pure tra l'agitatore genovese e il pensatore lombardo : e noi non lasceremo di rilevarle di mano in mano che si presenteranno nel corso della trattazione. Una di esse - per entrar subito in argomento - ci si offre subito al primo passo. Apprendemmo, per la bocca del Mazzini stesso, come le sue giovanili aspira- ~ioni fossero letterarie, come la prima rinomanza gli venisse dalle fatiche compiute nella palestra della letteratura. Orbene: « i primi amori di Cattaneo con Livio e con Virgilio - c'informa il più illustre fra i discepoli di lui, Gabriele Rosa ( 2) - facevano in lui presentire più l'artista od il letterato che lo scienziato ». Il futuro cospiratore, quando fanciulletto era richiesto che cosa volesse in regalo, sempre rispondeva : « un libro »; e l'economista in erba, allorchè, compiuti i dieci anni, lo zio volle regalarlo, chiese ed ottenne da lui che il presente fosse la storia originale di Tito Livio. (3) La poesia fu il suo primo amore. Un giorno il professore Benelli gli grida nella scuola: Non state attento: che fate ? - Leggo, risponde lo scolaro - Cosa leggete? - Virgilio. - In qual lingua? - In latino. - Venite qua, e vediamo se lo capite. E stupi alla traduzione d'un brano che gli scelse. « Anima poetica, ammira la poesia, ma non scrive versi in tutta la sua vita : solo molto tardi egli compone due quartine non già per Tizio o per Cajo, come nelle sue opere compkte è detto, ma bensì ali' indirizzo d'una ~ua giovanissima amica, Noemi Pe2.zi, che gli mandava parecchie poe,ie di vari autori, e ch'egli, musicista nato come il Mazzini, si dilettava a musicare improvvisando, senza pubblicarne ben inteso una nota; ma soltanto per proprio sfogo nwmentaneo, e unico lusso della sua vita laboriosa e travagliata ». Cosi egregiamente Raffaello Barbiera, discorrendo di quel salotto della contessa Maffei, (4) di cui il Cattaneo, " giovane, biondo e bello come una testa di Giorgione », ( 5) era uno de' più desiderati, se non de' più assidui frequentatori. I noti versi: Tu non vedrai, ecc., scritti per una sua nipotina inglese alla Castagno 1a il 29 Agosto 1863, (6) non sono tuttavia i soli ch'egli abbia dettati, (1) V. Nuova Antologia, 1 nov. 1895, pp. 5 sgg. (2) C. C atta11eo.Co111me111orazio11e, p. 1 5 (Sta nel I. volume degli Scritti politici ed Epistolario di C. CATTANEOpubblicati da G. RosA e J. \V. MARIO, 2 voi. Firenze 1892-94. Citiamo quest'opera abbreviatamente colla sigla Scr.: quando la citazione si limita ali' indicazione dd volume e della pagina si intende fatta dalle Opere edite ed i11editedi C. CATTANEO, raccolte e ordù,ale per cura di A. BERTANIc,cc., Firenze 1881 ecc. (3) Ivi, p. 13. (4) Il salotto deliri Co11tessaMajfci, Milano 1895, p. 116. (5) A. MARIO,nella 'Pref11zio11e al voi. V1 delle Opere, p. 6. (6) Opere, I, p. VI. come il chiarissimo critico sembra ritenere. Oltre a parecchie poesie giovanili e tentativi drammatici ancora inediti, si hanno di lui alcuni componimenti poetici di vario argomento,· tra cui una saporita parodia della canzone : Fratelli d'Italia ( r '. Si ha pure un'affettuosa nota da lui diretta a' suoi allievi l' r I aprile 1824, nell'atto di separarsi da loro. Alcuno de' suoi discepoli, vi si dice fra l'altro, diventerà grande un giorno, e l'animo del vecchio amoroso maestro esulterà di gioia. « Ma non mi accosterò al glorioso, perchè l'uomo rado ama di vedere chi lo fece grande ; nè il Pò quando per via scontra il Ticino e l'Adda e li travolge seco al mare, spento il loro nome, mai si volge a guardare le solinghe rupi del Viso, laddove piccolo, ignoto ai vati e ai vagabondi, dai deserti ghiacciai cadeva spregiato » (Scr. I, 46). Ora, questa specie d'apostrofe al « glorioso » è ripetuta nei seguenti versi : Ma non fia eh' io m'accosti al glorioso Che un dì guidai. Non si rammenta i giorni Di sua fiacchezza il forte, e spregia il nido Ove fu senza penne, aquila audace. Nè solo perchè si dilettasse di far versi, non ignobilmente, noi lo salutiamo poeta ; ma anche, e più « perchè aveva la divinazione del poeta, perchè sapeva da lievi segni indovinare i fenomeni nuovi, eleggerli, recarli a rapidissimi confronti » (2), perchè infine parlavano in lui vivaci come nel Genovese, il sentimento e l'affetto, della natura, quella sempre fresca e serena genialità, che non le tristizie della vita, non il volgo degli anni, non le austere speculazioni valgono ad inaridire nell'animo dei pochi. Ne son riboccanti le molte lettere ai famigliari, specialmente quelle scritte dal romito soggiorno sulle sponde del Ceresio, quello ch'egli chiamava il suo " paradiso » ( Scr. II, 17), dove conduce co' suoi una « vita da ortolani ,, (Ivi, II, 19), « in aria buona e con pochissimi seccatori anzi quasi soli coi colombi e coli~ galline » (Ivi II, 5r ), dove non v' è « mai un giorno di quelle nebbie che contristano Milano e Torino » (Ivi, II, 356), e più abbandonarsi a « quel libero moto eh' è per lui una necessità della vita, come ogni altra libertà » (Ivi, Il, 384: cfr. 379), e donde scrive all'amico Dall'Ongaro, quasi a compendio del suo modo di vita lassù: « non ho allegria : ho i libri e il sole » (Ivi, II, I 56). La nota mesta vi ha più volte - e come non vibrerebbe? - in quell'epistolario, in cui versò tanta parte del suo; ma insieme, come rilevammo per il Mazzini, non mancano tratti d'amabile causerie, di scherzosa ironia, e persino di gaia faceta festevolezza. « ]'ai un peu l' instinct de la comèdie » - confessa in una piacevolissima lettera a Madlle .... in cui scherzosamente l' istruisce sulla miglior strategia da seguirsi per condurre a termine un matrimonio, e dichiara con fine umorismo: « de ces maudites choses de ce monde il est mieux d'en avoir que d'en avoir pas » (lvi, ll, 82 sgg.). Invitando Agostino Bertani (medico, come tutti sanno) a collaborare al suo Politec11ico, gli scrive: « li Politecnico vuole essere da capo a fondo bellicoso e fulminante: l'esercito deve avere anche la sua ambulanza » (Ivi li, 2 38). E (1) Co11troca11zoa1i1Fe ratelli d'Italia," Lugano I giugno 1859, mezzanotte », in Scr. H, 15. (2) G. RosA, I. cit., p. 20.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==