Rivista di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 7 - 15 ottobre 1896

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTER~~ E SCIENZESOCIALI Direttore : Dr NAPOLEONE COLAJANNI DEPUTATO AL PARLAMBNTO Il ALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. AnnoIl. - N. 7. Abbonamentopo&tale Roma15Ottobre1896 Sommario. Dr. N. COLAJANNI - Il pomo della discordia (Tu11isi). EUGENIO SCALFAR! - Dello Stato democratico. X. Y. Z. - Le decime e gli avvenimenti di Sicilia. ERNESTO NYS - Il dritto della vecchia Irlanda. Prof. VALERIANO VALERIANI - I nostri prosatori. Sperimentalismo Sociale - La concorrentadella do1111a. Notizie Varie - Il battello motore - Il canale del Baltico. Recensioni - Guerci Ing. Cornelio: Istituzioni agrarie della provincia di Parma. Note Bibliografiche - Carlo Marx : Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte - G. B. Pirolini: Perchè siamo repubblica11i. Ancora una volta torniamo apregare vivamente t.utti coloro che non abbiano pagato l'abbonamento, a volersi mettere in regola con l'Amministrazione. IL POMO DELLA DISCORDIA. (TUNISI). A.Il' indomani del trattato di Berlino - l' ultimo grande e turpe mercato di popoli organizzato dalla diplomazia europea - il principe di Bismark vantavasi di esservisi mostrato un onestomtdiatore: la diplomazia italiana alla sua volta, con una ingenuità fenomenale, perchè aveva tenuto il sacco nelle ruberie altrui, glorificavasi di esserne uscita colle mani nette. Le due frasi rimaste celebri hanno bisogno di brevi schiarimenti. Il principe di Bismark si mostrò tanto onesto sensale quanto poteva esserlo quel genio infernale che colla falsificazione del dispaccio di Ems - da lui stesso confessata come il suo miglior titolo alla riconoscenza dei tedeschi - rese inevitabile la guerra del 1870-71. Per consolidare i risultati della medesima egli non esitò a ricorrere ad un espediente degno di fare il pajo coll'adulterazione del dispaccio di Ems: il principe di Bismark conoscendo gl'interessi e le cupidigie dell'Italia e della Francia per Tunisi, l'offrì contemporaneamente ad entrambe nella speranza che quel lembo di terra africana sarebbe divenuto il pomo della discordia tra le due sorelle latine. La politica delle mani nette proclamata dal ministero Cairoli, avrebbe incontrato il plauso sincero della democrazia italiana se in altra occasione fosse stata annunziata e con altra sincerità e coerenza seguita. Infatti lo stesso Cairoli parve essersi pentito poco dopo del ritorno da Berlino senza un qualsiasi magro acquisto iniquo per l'Italia, e abboccando all'amo diabolicamente gettato da Bismark coll'acquisto della ferrovia della Goletta, venendo meno agli accordi colla Francia, mostrò la ferma intenzione di voler porre un piede in Tunisi riserbandosi di metterveli saldamente tutti e due alla prima favorevole occasione. Non poteva piacere alla Francia, che aveva speso molti miliardi in Algeria, un vicino incomodo, ed unendo la violenza alla menzogna inventò i Krumiri - come noi più tardi inventammo i Danakili - ed invase e conquistò la Tunisia. Il torto del ministero Cairoli fu innegabile ; poichè le malcelate concupiscenze per la Tunisia chiarirono non sincera la politica delle mani nette ed affrettarono, senza saperli prevedere e prevenire, gli avvenimenti che si svolsero a nostro danno in Africa. L'indignazione in Italia per l'atto brigantesco consumato dalla Francia fu generale ed intensa e vi partecipò anche l'elemento più schiettamente democratico. Alberto Mario nella Lega della democrazia manifest6 allora virili propositi che se fossero stati seguiti avrebbero condotto alla guerra. Gli italiani s'indignarono perchè sentirono l'aculeo dell' invidia per non aver potuto consumare essi stE:ssil'atto di brigantaggio; s'indignarono perchè in Tunisi avevano interessi reali di varia specie ; interessi da custodire, che non erano sfuggiti alla mente altissima di Giuseppe Mazzini, che solo dai lillipuziani di ogni partito non venne riconosciuta, lui vivente, per quella ch'era realmente. La monarchia italiana che si era mostrata incapace della energia e della dignità suggerita dal Cavaliere della democrazia, seppe però sfruttare l'indignazione popolare - aggravata pei fatti di Mar- • siglia - e cogliendo a volo il fortunato pretesto iniziò la politica dinastica, incarnata nella Triplice

122 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Alleanza. E Tunisi, infatti, non fu che un pretesto: che alla Triplice si volesse arrivare. anche senza la condotta disonesta della repubblica francese, nell'interesse dei Sabaudi, appariva chiaro da vari indizi e lo confessò esplicitamente Michelangelo Castelli, un piemontese puro sangue devoto alla dinastia, ch'ebbe le confidenze intime dei politici dinastici più eminenti. L'onesto sensale di 13erlino era riuscito a concludere il più vantaggioso affare pel suo paese sca- . vando l'abisso tra la Francia e l'Italia, acuendo tra loro tutte le antipatie e tutti i rancori antichi e recenti, facendo entrare ciecamente la prima nel· l'orbita della politica dei due imperi centrali. Che l'opera di Bismark sia stata quale venne da noi rapidamente tratteggiata non c'è dubbio alcuno ; lo riconoscono, nei loro rari momenti di sincerità i monarchici più sfegatati, i più fan1tici avversari della democrazia; lo Scarfoglio tra i tanti, ad esempio, ha scritto testè: « Chi spinse la Fl'ancia al- « l'occupazione clella Tunisia fu propi·io la Gcr- « mania; nè l'Austi·ia si oppose». O,·a tutta la dabbenaggine degli italiani e tutta l'abilità dei ,4i nastici si mostrò in questo : nel fare convergere tutto l'odio contro il braccio che esegui - la Francia - e serbare l'affetto e la riconoscenza per la mente, che suggerì e diresse: a Bisma1·k. * * * Non faremo la storia dei ,·apporti italo-francesi dopo Tunisi e la Triplice; sono troppo noti. Furono tali, che in qualche momento si corse pericolo di vedere degenerare la guerra diplomatica e doganale in guerra cruenta; e peggiorarono sempre quando l'on. Crispi pervenne al potere, perché si sapeva in Francia e in Italia che il Deputato di Palermo essendo in preda al delirio di persecu • zione - di cui si ebbe la più ridicola manifestazione prestando fede e prevenendo l'assalto immaginario della Spezia e credendo nel grottesco trattato cli Bisacquino - pensava e diceva che la Francia ci avrebbe assaliti da un giorno all'altro e per premunirsi contro gli assalti ipotetici provocava a guerra vera. La ripulsione dei francesi verso Crispi era ed è tale, che forse imbroccava nel segno il sig. Stielman del Times affermando che se nell'occasione del trattato italo-francese per Tunisi, la diplomazia della vicina repubblica erasi mostrata più arrendevole del solito, ciò si doYeva al suo desiderio di fare un dispetto all'ex Presidente del Consiglio. I danni arrecati dalla Tn'plice all'Italia furono enormi e derivarono da un lato dal credito che ci tolse bruscamente la F1·ancia e dalla rottura dei rapporti commerciali; e 'dall'altro delle maggior-i spese militari, che la nostra politica estera c' impoJe. Non si sbaglia, altresì, ritenendo che il ricordo di Tunisi fu uno dei fattori della nostra infelice conquista di Massaua. Il peggio in tutta questa fase della politica nostra fu questo : l'Italia •non ebbe alcun compense, nè morale nè materiale. Era giusto ed utile uscire una buona volta da questo stato di tensione pericolosa tra la Francia e l'Italia? Lo pensarono sempre gli uomini pii1 eminenti del partito moderato, da Stefano Iacini al Marchese Alfieri di Sostegno ; e in questo essi si trovarono pienamente concordi con tutte le frazioni ·della democrazia italiana - radicali, repubblicani e socialisti - e coi più illustri rappresentanti della democrazia europea, che al nostro paese mostrarono sempre vivo interessamento - da De Laveleye a Castelar a Gladstone. Quest'altissimo obbiettivo, pare che si sia pro• posto di raggiungere il ministero Di Rudinì; in parte vi è riuscito coi trattati italo .francesi del 30 Settembre 1806 sulla questione tunisina. Auguriamoci che vi riesca in tutto e ci riconduca a quei buoni rapporti colla vicina repubblica che di tanto giovamento riuscirebbero ai due paesi interessati. Ma per ottenere intero lo scopo certamente non basterà il tatto diplomatico ; è indispensabile il concorso della pubblica _opinione, pur troppo non bene rappresentata al di là e al di quà delle Alpi. A quest'opera santa di pacificazione intendiamo portare il nostro modesto contributo con questo nostro articolo. . • • I trattati sottoscritti in Parigi dal Conte Tornielli ambasciatore d'Italia e da Hanoteaux ministro degli esteri della repubblica. francese, sono cinque. Un trattato di commercio e di navigazione. Una convenzione consolare e di stabilimento. Una convenzione di estradizione e due protocolli per punti speciali. É mantenuto lo sta tu quo pel regime delle. scuole italiane in Tunisia e dell'ospedale italiano di Tunisi ed è mantenuta di pien diritto la personalità. giuridica delle associazioni e degli altri istituti italiani. Le questioni di nazionalità continuano ad essere regolate dalla legge patria. È mantenuta in ogni materia di diritto civile la piena assimilazione degli italiani ai cittadini della nazione pitt favorita, non esclusi i francesi. E mantenuto pegli italiani in Tunisia il libero esercizio del commercio, industrie, arti e professioni di ogni sorta. E mantenuto lo statu quo pel libero esercizio della pesca e del cabotaggio. E mantenuto pella navigazione italiana il trattamento nazionale, e pelle tariffe doganali, si sti ·

tUV!STA. PÒPOLARE DI POLITiCA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI 123 pulò il trattamento della nazione pit1 fàvorita, mercè il quale anche pelle importazioni italiane continuerà lo statu qiw garantito dal trattato anglo-tunisino, finchè questo dura in vigore. Nel trattamento della nazione più favorita non è compreso l'eventuale regime speciale riservato alla Francia. Cessando lo statu quo le importazioni italiane, oltre al trattamento della nazione pit1favorita, non potranno essere assoggettate a dazio maggiore di quello della tariffa minima francese. Le altre stipulazioni regolano, nelle forme generalmente consuete, i punti meno importanti relativi al commercio e navigazione, al trattamento dei t ispettivi sudditi in materia di stabilimento e traffico, al servizio consolare ed alla estradizione dei malfattori. L'importanza grande di questi trattati c'impone un esame da principio assolutamente obbiettivo, che completeremo nella polemica coi suoi critici ; e l'esame obbiettivo dev'essere fatto al di fuori di ogni preoccupazione politica, .prendendo per base esclusiva l'interesse del nostro paese. L'esame imparziale i::ostringe a riconoscere, che i mutamenti nei rapporti italo-tunisini coi trattati del 30 Settembre fanno subire all'Italia delle perdite. ron si può e non si deve negare che la condizione fattaci dal Trattato col Bey di Tunisi del 1868 ci fosse molto più vantaggiosa; e sbagliano a parer nostro gli ufficiosi, che troppo esaltano i primi e vogliono quasi lasciare intendere - anche ricorrendo alla non lodevole malizia di dare versioni inesatte o incomplete dei trattati stessi - che nulla l' Italia perde rinunziando al Trattato del 1868. Si afferma dagli stessi ufficiosi che non si fanno trattati nei quali i vantaggi siano da una parte sola; il vero è, però, che nel caso presente i guadagni nostri, oggi come oggi, sono molto minori delle perdite. Quale sia la ragion di essere e la giustificazione dei trattati del 30 Settembre, risulterà meglio che dall'esame intrinseco dei medesimi, dalla critica dei desideri e dei propositi che manifestano i loro avversar:i. * * " L'opposizione ai tl'attati in discussione perde valore per motivi subbiettivi ; viene da persone e da giornali, i quali - fatte le debite eccezioni - mancano di sincerità e si trovano in uno stato di esaltazione veramente morboso, che pare sia stato comunicato dall'uomo fatale a cui fan capo e da cui prendono l' ispirazione. Per la esaltazione basta ricordare che poco fa un deputato crispino, nella massima sincerità assicurava che era stata convenuta la cessione del porto di Licata .... ali' Inghilterra; e questa volta lo smembramento criminoso del!' isola non era attribuito ai cospiratori dei Fasci, come ali' epoca del trattato cli Bisacquino, ma allo stesso onorevole di Rudinì ! Garantiamo l'autenticità di questo episodio. E dell'esaltazione si ha altra pt'ova dal corrispondente parigino di un importante giornale del mezzogiorno che scrive: « Hanoteaux, il nuovo Richelieu, clistorrà lo Czar dal venù·e a Roma ... » per dare uno schiaffo a chi in santa pace n'ebbe uno dall' Imperatore d'Austria, che non restituì una visita dovuta, ed un altro dal Re di Portogallo per una Yisita promessa, annunziata e non fatta; lo schiaffo suggerito, se verrà, adunque, andrebbe a chi ha mostrato di meritarlo. Questa esaltazione spiega la violenza di linguaggio degli oppositori dei trattati ultimi. Per la sincerità, poi, basta dire che questa superlativa difesa dell~ dignità e degli interessi italiani in Tunisia viene da coloro che in ben altro modo hanno fatto calpestare la prima e in ben altra misura hanno lasciato danneggiare i secondi. Si può credere alla sincerità di chi la prende tanto calda per Tunisi - che non fu mai nostra e dove non potremmo andare a sostituire la Francia che per calpestare i diritti altrui - e non si cura di Trento e Trieste, che vogliono unirsi all' Italia e doYe anemmo il diritto dal lato nostro? Si può credere a chi getta fuoco e fiamme per la difesa degli italiani in casa altrui e non trova una parola di protesta contro l'oppressione della lingua e degli elementi italici, che sono in casa propria in Italia e in Dalmazia? Si può credere alla sincerità di chi si preoccupa del commercio annuo di una decina di milioni in Tunisia, mentre colla propria dissennata politica altra volta ne fece perdere delle centinaia? Ma gli opposito1·i dei trattati non sempre e del tutto hanno torto. Hanno ragione quando sostengono che l'Italia recedendo nella Tunisia dalle pretese sostenute per lo passato con alterigia, subisce una qualche umiliazione. Ma di chi la colpa se si tenne un linguaggio altezzoso· in aperta antitesi colla possibilità di avvalorarlo coi fatti? Di chi la colpa se l'Italia in Europa oggi non pesa quanto dovrebbe ? Di quella politica disastrosa della Sinistra e del trasformismo, che peggiorò quella non buona della destra e che ci ridusse, almeno in apparenza, alla quasi impotenza. Ora ci vuole del coraggio, che rasenta coli' impudenza, in coloro che vengono a deplorare quelle patite umiliazioni di cui essi stessi sono la causa prima. Passiamo sopra alla quistione vera di lana caprina sulle città in cui doYern trattarsi, se a Tunisi o a Parigi. Poco monta che anche l'on. Crispi come asseriscono gli ufficiosi aYesse mostrato l' intenzione di trattare a Parigi, proprio come un qualunque Di Rudinì; e che la faccenda fosse pre-

124 RIVISTA PÒPOLAkE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZÉ S0ù1ALI giudicata dal protocollo Mancini del 23 Gennaio 1894 pel quale le trattative si fecero direttamente colla Francia e col quale si arrecò un colpo mortale alle capitolazioni; la sostanza rimaneva sempre la stessa: si doveva trattare con un rappresentante, per così dire, di prima mano, qual' è il minist.ro degli esteri della repubblica anzichè con uno di seconda mano quale sarebbe stato il residente francese in Tunisi, che dal primo doveva ricevere istruzioni e poteri. Discutendo a Parigi, le trattative dovevano correre, e corsero, più spiccie e più rapide. E ciò perchè in fatto - che in questo caso equivale al dfritto - il Bey di Tunisi non conta più. Tornano ad avere ragione gli oppositori quando rilevano le contraddizioni degli ufficiosi - sempre disgraziati -; i quali dicevano prima, per mostrare che non poteva· insistersi sul mantenimento delle capitolazioni in Tunisi che Crispi a Massaua aveva dato l'esempio alla Francia del loro ·annullamento; e si vantano del silenzio dei recenti 'trattati sulle capitolazioni, come se fossero ancora in piedi. Ciò che non è. In realtà le capitolahioni, che rappresentavano necessarie garenzie contro governi musulmani e barbareschi, non hanno più alcuna ragione di essere quando ad essi subentra una potenza appartenente all'orbita della cosidetta civiltà occidentale; perciò le capitolazioni non ebbero più giustificazione nella Bosnia e nel!' Erzegovina appena l'Austria vi s'insediò; non l'ebbero pitt a Tunisi quando la invasero i Francesi; non l'ebbero più in :Massau::-q.uando la conquistarono. gli Italiani. Fece bene J'on. Crispi mettendo in armonia il fatto colla Legalità in Massaua ed anebhe fatto male l'on. Di R'udinì a non riconoscere lo stesso diritto ai Francesi in Tunisia. Hanno ragione, infine, gli oppositori quando sostengono che gl' interessi italiani in Tunisia hanno una importanza di gran lunga maggiore di quelli inglesi, austriaci e tedeschi e che perciò i rispettivi governi potevano nelle loro trattative colla Francia mosti'arsi pit1 anendernli degli italiani. · Concesso tutto cio, nel resto delle critiche che si muovono ai trattati del 30 Settembre la sbrigliata immaginazione o la insigne malafede degli ~vversari politici, che le muovono, ha un sopraYvento incontestabile. * * I gallofobi per me:tiere, che hanno una completa 01·ganizzazione per il mutuo incensamento, pe1· la réclame acc1·editatrice della merce a,·a1·iata vedono risorgern Cartagine ; e nuovi Catoni da strapazzo nei t1·iYi e nel Parlamento udano: Delenda Cartago ! E contro la Cartagine risorta inyocano con allegra incoscienza, nientemeno che la fortificazione di tutta la Sicilia - di Trapani sopratutto -; e v'insistono anche quando i tecnici di primissimo ordine come i generali Pelloux e Dal .Verme, dimostrarono che la proposta rappresentava una follia dal lato economico e dal lato militare. L'anacronismo di questa paura, più o meno sinceramente sentita, ma la cui manifestazione è di obbligo per dar loro, innanzi agli imbecilli, la parvenza di grandi politici e di grandi patrioti, è dimostrato dalla storia recente. La quale ha insegnato che in caso di guerra le sorti dei belligeranti non si decidono con uno sbarco in Sicilia, ma colle battaglie nella valle del Reno o nella valle del Pò. La stessa storia ha insegnato che in caso di guerra europea le colonie sono d'impaccio. E l'ha sperimentato precisamente la Francia , che nel 1870 71 dovette sguernire l'Algeria, dove immediatamente divampò l' insurrezione. Tunisi oggi per la repubblica rappresenterebbe un pericolo maggiore, perchè i 50,000 italiani, che vi hanno dimora farebbero causa comune cogli indigeni a difesa della madre-patria e facilmente, se lo volessero, potrebbero rinnovarvi i Vesp1·i ; possibilità ed entita del pericolo riconosciuta dallo stesso Scarfoglio. In quanto ai colpi di mano , romanzo per romanzo uso assalto alla Spezia, bisogna ammettere che alla Francia riuscirebbe pii1 agevole organizzarli a Tolone anzichè in Tunisia. Ma Biserta è troppo vicina alle coste della Sicilia ! E perchè non accorgersi che più vicino da Biserta c' è Malta che ci appartiene geograficamente ed etnograficamente ? La numerosa e valorosa colonia che l' !tal ia possiede in Tunisia costituisce, dunque , un pericolo per la Francia ed una garanzia per noi. :\'on lo negano i gallofobi e avanzano un nuovo ai·gnmento : la Francia porrà mano a distrurre la colonia nostra colle angherie e colle vessazioni d'ogni genere. Ciò se non potrà farlo immediatamente perchè i trattati del 30 settembre lo impediscono, si farà alla loro scadenza. L'argomento è sfatato dall'esperienza : gl'Italiani non ostante la caccia feroce che venne loro data da Marsiglia ad Aigues Mortes sono aumentati di anno in anno in Francia. Dopo l'occupazione francese in Tunisi si fecero le stesse sinistre profezie e si annunziò la fine prossima della colonia. ~bbene: gl' Italiani in Tunisia erano 15,000 nel 1881 e sono arrivati a 50,000 nel 1896; l'occupazione francese anzichè nuocere ha giovato enormemente allo sYiluppo della nostra colonia. Coloro che non si vogliono rendere ragione del fenomeno devono r:er forza tacere delle condizioni demografiche della Francia, che non ha emigrazione e perciò non ha modo di sostituire in Tunisia elementi propri a quelli italiani.

RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 125 Un governo italiano intelligente e preveggente inoltre, con i mezzi consentiti da tutti gli Stati civili potrà migliorare enormemente la sorte della colonia e renderne più salda l'italianità consacrando ad essa utilmente una minima parte dei milioni consumati nell'Eritrea. Battuti su questo terreno, gli uomini che vorrebbero vedere dall'oggi al domani in guerra tra loro Francia e Italia, che sono gli stessi guerrafondai della banda crispina, si erigono a difensori dei nostri interessi commerciali e li dicono colpiti già dalla rinunzia alla posizione · privilegiata che avevamo in Tunisi e li predicono distrutti il giorno in cui la Francia accordatasi coll'Inghilterra - alla durata del cui trattato è subordinata l'entrata delle merci nostre in Tunisia col dazio dell'8 per cento ad valorem - ci sottoporrà al trattamento della nazione più favorita colla tariffa minima meliniana. Ingigantiscono le danno~e conseguenze di questo evento e annunziano che in Sicilia e in Sardegna è cominciata un'agitazione elettorale per costringere i deputati delle regioni interessate a rigettare i trattati del 30 settembre. A Roma si sa di questa agitazione elettorale, perchè se ne parla negli uffici dei giornali guerrafondai; nessuno se n'è accorto in Sicilia e in Sardegna. Coloro che la inventano fanno a fidanza colla smemorataggine italiana e danno la prova estrema della loro sfacciataggine. Invero i Siciliani e i Sardi se si lasciassero impressionare dalle menzogne' dei gallofobi mostrerebbero che per loro la storia contemporanea non esiste ; ed è storia quella che narra che la Sicilia e la Sardegna furono danneggiate in misura straordinaria dalla politica dei gallofobi, 'che condusse alla guerra commerciale colla Francia ; è storia scritta oggi , con segni di amaro pentimento da quelli stessi che stoltamente la fecero ; è storia registrata nei documenti ufficiali dai membri della stessa banda guerrafondaia. Gl' increduli leggano la splendida relazione Pais sull& conclizicni della Sardegna venuta testè alla luce e se ne convinceranno. L'impudenza di questi tardivi tutori degli intere~si commerciali d' Italia è fenomenale ; poichè ammettendo, per dannala ipotesi, che il commercio nostro venga ridoao a zero in Tunisia quando i nostri prodotti saranno sottopl)sti alla meliniana tariffa minima, non sono essi, che potranno deplorare l'avvenimento doloroso. Non hanno il diritto di protestare per la perdita del mercato tunisino, che rappsesenta in tutto un movimento cli esportazione e d'importazione cli circa 12 milioni all'anno, coloro che colla stolta politica ridussero di circa 11uattrocento milioni all'anno gli scambi tra l'Italia e la Francia, senza tener conto degli immensi danni che alla prima vennero nell' industria, nell'agricoltura e nel commercio dalla chiusura del mercato finanziario parigino ai nostri titoli di credito. Le perdite della Sicilia e della Sardegna in seguito alla proclamazione, fatta tra gli applausi dei deputati, della denunzia del trattato di commercio del 1881 furono, in proporzione, assai più rilevanti di quelle del resto d'Italia ; quella denunzia fu un vero tradimento fatto ai più vitali interessi delle due isole ed allora gli elettori avrebbero dovuto lapidare i loro rappresentanti. Ora il danno, am: messo che sui prodotti principali delle due isole - ad esempio il vino - la Francia, colla franchigia doganale, possa farci una vittoriosa concorrenza in Tunisi, non si ridurrebbe che a misera cosa. Marsala che nell'esportazione del vino ha il primo posto, nel 1895 ne mandò in Tunisia 14,695 ettolitri ; se Yeni~se meno tutta questa esportazionè perderebbe meno di quattrocentomila lire, mentre perdette parecchi milioni colla chiusura del mercato francese : mercato che in parte riguadagnerebbe colla stessa tariffa minima francese, se si riuscirà - come tutto fa sperare - a ristabilire i buoni rapporti commerciali tra l'Italia e la Francia. Epperò sotto questo aspetto il tentativo di eccitare le passioni locali per i feriti interessi fallirà miserevolmente, perchè poggiato sulla menzogna. * Le parole grosse - pac1-:con onore, guerra a fondo ecc. - sono divenute la specialità di certa stampa , che si mantiene ancora >fedele all'onoreYole Crispi e che di conseguenza, <leve mostrarsi gallofoba; tale stampa in questo quarto d'ora giuoca sulla parola: trattato perpetuo col Bey di Tunisi cui si è rinunziato per sostituirvi trattati che dureranno per la miseria di nove anni, O:ldarriva sinanco a voler dare ad intendere ai gonzi che solo essa ha scoperto questo dato della perpetuitd, che non era poi privilegio esclusivo nostro. Questa gonfiatura della perpetuità è degna dei ciarlatani che l'accampano. Non c'è trattato che non abbia avuto l'intenzione o la pretesa di essere eterno e non sia stato lacerato dai contraenti dopo pochi anni. Così venne distrutto il" trattato del 1815, il trattato di Parigi del 1856, il trattato di Yillafranca del 1859, il trattato del 4 settembre, che riguardava l'intangibilità di Roma papale. Ogni nazione europea - l'Italia compresa - ha spiato l'occasione propizia per lacerare un ti'attato. La Francia, di fatto, coli' occupazione di Tunisi ridusse a vano nome la perpetuitd del nostro trattato col Bey. Alla nostra volta se le occasioni si presenteranno e gl' interessi ce lo consiglieranno non lasceremo scorrere i nove anni stabiliti dai trat1ati del 30 settembre per sostituirvene uno più o meno vantaggioso più o meno per-

126 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI petuo, a seconda che le vicende politiche ci saranno avverse o favorevoli. Ma fu prudenza, fu buona politica l'avere riconosciuto il fatto compiuto a nostro danno in Tunisia ? La Compagnia dell'onore avrebbe voluto che l'Italia· ci si fosse rifiutaia ed avesoo assunto quell'atteggiamento di querula protestante contro la Francia che con tanta nostra buona salute il Papa mantiene contro l'Italia. Ciò .che valgono le proteste lo lasceremo dire all'ottimo Economista di Firenze che così scrive nel N. del 4 Ottobre: « L'Italia ha creduto di esser lesa :µei suoi inte- « ressi (non certo nei suoi diritti) per la occupa- « zione francese di Tunisi ; forse la sua suscetti- « bilità si risentì più del modo che del fatto. E « tutto questo è spiegabile e giustificabile ; ma il « perseverare essa sola, l' Italia, a non voler rico- « noscere il protettorato francese a Tunisi, mentre « tutte le altre potenze lo hanno rfconosciuto è « cosa che non ha senso. Il mondo va diventando « positivo sempre più e bada alla sostanza più che ~< alla forma. Si comprenderebbe la continuazione « della protesta se mediante la propria forza e q\}ella « dei suoi alleati l'Italia fosse riuscita o stesse per « riuscire a~disteuggere il protettorato ; ma non vi « è nemmeno uno scolaro di liceo, il quale colla « storia alla mano non soggiunga che se l'Italia « avesse o per propria forza o per quella dei suoi « alleati desiderio e modo di distruggere il pro- « tettorato francese a Tunisi, lo farebbe anche se « fosse avvenuto il riconoscimento. A quale scopo « quindi mantenere una causa di dissidio , che si « traduce in danni materiali e politici ? Per fare « sapere ai francesi che la occupazione di Tunisi « ci ha offeso ? Pare a noi che a persuaderli di ciò « il tempo corso sia bastato ... « Le nazioni, le quali abusano della protesta e sono « materialmentb impotenti a far prevalere la loro « opinione, somigliano ai regnanti spodestati, che « vantano sempre il loro diritto e continuano a con- « siderarsi re, quasi fingendo di non sapere che non « hanno pitt regno. Da principio può anche destare « ammirazione la loro dignita, ma a poco a poco il « pubblico apprezza diversamente il loro modo di « agire e finisce a riderne. È storia di tutti i giorni. » Sottoscriviamo di gran cuore a queste savie considerazioni e soggiungiamo che le nazioni, che provvedono sul serio ai loro interessi e alla loro dignità, se offese o danneggiate, si raccolgono e attendono il momento per riprendere il loro posto: La Russia dopo la guerra di Crimea dette l'esempio buono e imitabile. Se l'Italia ha da lavare col sangue - e noi lo escludiamo recisamente - l'offesa di Tunisi, cessi di protestare inutilmente e poco decorosamente e si prepari. Non saranno i Trattati del 38 settembre, che potranno trattenerla e vincolarla, come non fu il trattato del 4 Settembre 1864, che la trattenne sulla via di Roma. La compagnia della protesta , però , non consiglia la politica del prigioniero del Vaticano pel gusto di far perdere dignità al proprio paese: essa aspira a q.ualche cosa di piii sodo e di più criminoso. Essa sa che a Tunisi, senza un accordo, gl'incidenti dolorosi per la nostra colonia si centuplicherebbero e sa che se l'Italia ha scan,:ato la guerra per miracolo pei fatti del Brasile, di Aigues Mortes e di New-Orleans, alla guerra - e guerra popolare - sarebbe trascinata fatalmente se offese e prepotenze si commettessero a Tunisi contro gli Italiani. Essa sa che colla politica della protesta a Tunisi si avrebbe nella nostra colonia una bomba carica di dinamite, che da un momento all' altro scoppierebbe. Essa vuole la guerra a breve scadenza, come ha fatto intendere per bocca dei suoi oratori a Montecitorio ; e la sciagurata, da vera nemica della patria, dimentica le parole ammonitrici pronunziate in Senato dal Generale Primerano, ex capo dello stato maggiore : la guerra in Europa oggi sarebbe la disfatta irreparabile dell'Italia. Per quanto lungo e noioso pei nostri lettori sia stato questo articolo, esso non esaurisce'la discussione sul vitale argomento; noi saremo costretti a ritornarvi per dimostrare che Tunisi somministrò il pretesto alla entrata dell' Italia nella Ti·iplice e Tunisi prova nel modo piit eloquente che in quanto a noi la Triplice è fallita interamente allo scopo. I trattati del 30 settembre, intanto , insegnano che la Estrema Sinistra non deve pentirsi del voto dato all'on. Di Rudinì sulla politica estera. Si può aggiungere che se la Estrema non potrà _perdonare all'attuale Presidente del Consiglio i metodi crispini disonesti, violenti e incostituzionali adoperati contro i socialisti in Italia, e l'illegale scioglimento della Federazione La terra in Corleone, il paese gli dovrebbe viva riconoscenza se egli riuscisse a far sì che Tunisi, già pomo della di'scordia tra l'Italia e la Francia, possa rappresentare il primo passo per il ristabilimento delle buone relazioni tra le due sorelle latine. Dr N. CoLAJANNI. Rivolgiamocalda preghiera agli abbonati della ''Rivista,, che non fanno la collezione a volere rinviare alla nostra Amministrazione ,IN. 3 del 2. 0 anno. - I rivenditori che hanno delle copie invendute del medesimo numero sono pregati a volerle restituire. Durante le vacanze parlamentari spedire Vaglia o CartolinaVaglia all'on, Dr. Napoleone Colajannl - Castrogiovanni

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCJENZE SOCIALI 127 Dello Stato democratico. Un velo funerdo sembra all'occhio dello inesperto sia caduto per redenzion di pecc1ti sul mondo: le coscienze si sono abbuiate, la vita si é fatta triste; famiglie intere spofondano giorno per giorno nello abisso della miseria, la fede vacilla, le industrie e i traffici son inquinati dalla difficlenza, la rivoltella, le acque di un fiume, il veleno SOLO, il più delle volte la soluzione del terribile dramma sociale, del quale siamo simultaneamente attori e spettatori. Ma eleviamoci un po' su noi stessi, volgiamo l'oc·chio al passato che si sfascia, all'avvenire che va delineandosi, e in questo mare magno procelloso vedremo una luce vagolare sull'immenso oceano. Questa luce, questo spiritus domini, qui fertur super aquas é la scienza, la quale è la face che guiderà gli uomini alla conquista. di sé. Non si badi ai queruli, i quali biascicano che la scienza é diabolica e che ha detl'onizzato· Iddio, nè ai predicatori, i quali squittiscono che initium sapientiae est timor domini, nè ai dubbiosi, i quali asseriscono che la scienza é in. urto con la fede, né a tutti quei poveri di spirito,. i quali gracchiano che la società é sull'orlo dell'abisso, e che bisogna rinculare per andare innanzi. Lasciamo dica questo il vecchio mago della musica italiana e i politicanti libero-clericali transigenti coi bisogni di coscienza delle plebi diseredate e abbrutite; lasciamo dica questo il Verdi e codesti giacobini pentiti, per li quali la Dea Ragione si é mutata in ogni t,mpo nell' Eflte Supremo, perciocchè l'arte é il passato (il Gauthier diceva: (( In arte non v' ha r-rogresso: il battello a vapore é su1,eriore alla trireme greca, ma Omero non é stato sorpassato »), e la politica intendesi comunemente come transazione continua di idee: diremo noi invece che la società è su la via maestra del progresso; che non si ha da tornare indietro, ma si ha da andare sempre innanzi come il misterioso viaggiatore del poeta americano, e che questo non é negozio di oggi soltanto ma di ogni tempo e in ogni loco, solo che più rapidi sono oggi i passi, perché più robusta è la nostra vita intellettuale, più nutrita, cioè, di elementi fecondatori, i quali debbano schiuderci sicure le vie dell'avvenire. Qualcosa. di più santo é poi la scienza per noi italiani che non per gli altri popoli, e nelle procelle · della nostra vita essa è stata sempre l'arca del progresso, poichè cademmo e ci risollevammo con l'umanesimo del quattrocento, cademmo e ci risollevamn:o col metod 1 sperimentale di Galileo, siamo caduti e ci risolleveremo temprando'!i coi libri e sui libri che i tenaci e ardimentosi ricercatori del vero amorosamente ci profondono. Se non che la scienza deve essere serena, né dobbiamo turbarci se pare che essa offuschi l'idea di Dio. Però vi sono certe idee, le quali con la speciosità della religione, della ragione, dell'ordine sociale tenterebbero di impedire il viaggio trionfale ddla civiltà, ma il savio piglia sicuro la via col fine di vivere omogeneamente, tranquillamente, proficuamente. Oseremmo noi essere del passato e rinnegare il principio di nazionalità, di finalità, la scienza, il progresso? Potremmo noi essere del presente e chiedere la soluzione del Dramma ai mezzi violenti oppure alla disonestà della vita, mettendo l'ego per fastigio alla piramide della nostra. esistenza? Né l'una né l'altra cosa: dunque siamo uomini dello avvenire; se non che l'avvenire r.on ci faccia perdere di vista il p~esente, nè l'altrui l'ego, perché in questo indissolubile legame del presente e dell'avvenire, dell'ego, e dello altrui giace il segreto della vita ordinata e illuminata. * * La scienza è apprendimento simultaneo di doveri e di diritti dell'individuo umano nella società, la quale é mezzo di difesa e di incremento: l'apprendimento de' dov,:;ri traccia la via della nostra vocazione e della nostra operosità, e l'una e l'altra costituiscono la civiltà e la grandezza delle nazioni. Se dico scienza non intendo dire abbandonino gli operai e i mercatanti i ferri del mestiere, i pesi, le misure, i registri e il fondaco per la penna e i libri. Oh, no: stiano come sono, migliorino nel loro officio e non corrano appresso alla scienza, la quale una all'arte non transige, non vuol mezzi termini, mezze figuN, e fa infelici e non arrichisce; ma per scienza io intendo la cosciem.a del nostro essere, saper quel che siamo e quel che dovremo essere, e con ciò e per ciò acquistare serietà. Un falso pregiudizio vuole che l'uomo per essere stimato debba uscire dalla classe sociale in cui é nato: esca pure, io dico, ma se ha vocazione, e so no ci resti e migliori sé stesso. Questo uscire a diluvio dalle classi in cui si è nati ha ritardato in quest'ultimo trentennio l'evoluzione della nuova vita italiana, perciocché la scienza é eminentemente aristocratica per li mezzi che si hanno da adoperare perchè si raggiun~a lo scopo, mentre essa è eminentemente democratica nel fine, rompendo i pregiudizi e rendendo tutti necessari ali' economia sociale. Questo io intendo per scienza, e questa scienza ha già emancipato l'uomo dai preg;udizi teologici per fare assurgere la religione all'altissimo concetto sociologico che essa é l'idea del giusto, necessaria alla conservazione e allo svolgimento della società umana, l'ha già emancipato dai pregiudizi sociali per fare assurgere lo Stato all'altissimo concetto sociologico che esso é l'idea del dovere e del diritto umano reciprocamente connessi col fine di assicurare la libertà dei cittadini, l'ha già emancipato dalle viete formo le estetiche per fare assurgere l'arte all'altissimo concetto sociologico che essa è mezzo non pure di diletto spirituale, ma ancora di propagazione sociale. E in proposito se mi si dicesse che la grande arte, l'arte vera, l'arte di tutti i tempi, quella di Omero, di Dante, di Shakspeare è solo e null'altro che umana, io risponderei coi moderni biologi che l'arte senza distinzione tra grande e piccola, essendo un fenomeno psichico, tende alla conservazione individuale e speciale dell'uomo col mezzo del bello estetico, come tende la scienza al medesimo obbietto col mezzo del vero intellettivo,

128 RIVISTA.POPOLARE DI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI e la religione col mezzo del bene attuale. Però siccome non si assomigliano tra loro le generazioni storiche, non si assomigliano tra loro le produzioni estetiche, e l'artista sentendo palpitare intorno a sè - ora l'ideale pagano e ora l'ideale cristiano, ora l'ideale rivoluzionario umano e ora l'ideale rivoluzionario patriottico, servasi variamente della sua arte come leva col fine ultimo di realizzare quell'ideale che egli, vate, aveva suscitato, divinato, interpretato. Così l'umanità descl'ive nel tempo e nello spazio le fasi della sua infinita evoluzione, e gli artisti sono . i suoi maggiori indìgeti. Potremmo noi più rifare gli ideali della Grecia, gli ideali del M€dio-Evo, gli ideali che hanno suscitato la Rivoluzione francese, gli ideali unitari italiani? E se non poti·emo più rifarli, sarebbe volontà degli Dei che questa forma di attività psichica conservatrice venisse meno nell'uomo o almeno restasse come semplice espressione rudimentale? E non vi ha altri ideali che ne premono da presso e che ciecamente i più niegano ovvero trascurano ? Andate a Roma, montate la rnalea del Palazzo di Belle Arti e fermatevi nella sala del Cristo Morto dinanzi alla Statua di bronzo di Emilio Marsili, raffigurante una madre con un bambino in collo sq_ll'orlo di una rupe ai cui piedi spumeggiano i marosi. Quella madre ha fame e soffre a morte, un pensiero terribile l' è venuto alla mente, non nè può più e per suggello alla sua vita di dert' litta ella vuol gittarsi nelle onde. Ma la tempesta è violenta, il ven- ' to la respinge indietro, i marosi gorgoglianti ai suoi piedi hanno tuo_ni formidabili di minaccia, e la povEretta si ritrae inorridita, stringendo forte al collo il puttino. Chi ha 1rascinato quella dolente madre a tentare il suicidio, che il mare in tempesta più pietoso ha impedito? Fate vi più in là nella medesima sala, e fermatevi dinanzi al cavalletto su cui posa il bassorilievo di bronzo del Vela, raffigurante una pietosa scena di operai giù in fondo a una miniera: due d'essi poi·- tano su di una barella il cadavere di un loro compagno e due altri illuminano la 1riste via con le lucerne. Miserabile è l'aspetto dei nuovi trogloditi, maceri sono i loro corpi mezzo nudi, ma nello sguarJo bieco essi più che la pietà per lo sozio morto hanno l'odio per li vivi di sopra che li hanno imprigionati nelle viscere della terra. E fermatevi in una delle sale superiori dinanzi al Proximus tuus del D'Orsi. Quanta pietà desta il misero zappatore di bronzo, macilento e quasi tutto nudo, che si è buttato a teira, non potendo più lavorare, e che nell'occhio spento non ha nè sconsolazione nè odio ! Per chi penano giù nelle ime viscere della terra gli operai della miniera; per chi pena su, piova o ai•da il sole, il proximus tuus, fecondando coi sui sudori il suolo ? Leggete la poesia de1Carducci intitolata: In morte di bella e ricca signora, benchè pur troppo non sia più scaldato dalla musa delle rivendicazioni sociali il poeta, Chi trascina alla morte quest'altra madre, con- • trapposta alla bella e ricca signora morente confor• tata di affetti? E che morte ed eredità I Al passo della morte niun la prepara? e niuno è che qui gema? ecco: un parvol si strascica su quelle paglie, e chiede pur del pan; e un infante col rabido vagito della fame contende e si travaglia col viso macro, con le dita grame intorno dell'esausta poppa. Ella guarda, e a sè lo stringe invan. Lente cadon le braccia, il guardo le si vela, e pia morte la faccia degli affamati suoi figli le cela. Devoti essi alla livida colpa ed al vorator morbo son già. Non sentite il grido umano della miseria in queste forme estetiche che io ho scelto tra moltissime? Non sentite il grido precursord di una nuova civiltà? « Io mi sento sicuro » ha detto qalche mese addie1ro il De Amicis al signor Ugo o;etti (che lo aveva interrogato in un colloquio) « sull'avvenire d<'lla lettera tura sociale. Contrario all'arte il secialisrno ? E perchè? Come fonte di inspirazioni, mi pare che sia ·prezioso: quale avvenimento moderno genera altrettante emozioni della minacciata, temuta, maledetta lotta di cJ.1,sse; quale? Dopo il patriottismo e la tetteratura patriottica in Italia non abbiamo avuto alcuna forma di letteratura vitale. Il socialismo ce la darà. Ma gli artisti e i letterati discutono, come tutti i borghesi, coi loro interessi personali davanti agli occhi. In quanto all'eguaglianza sociale - ha aggiunto - che intendono i nostri nemici per eguaglianza? L'eguaglianza davanti alla legge? Questa c'è, mi pare, per diritto costituzionale. L'eguaglianza morale o intellettuale? Questa sarà sempre impossibile; e anche fuori dei letterati ci saranno degli asini accanto a uomini di spirito, come ci saranno degli uomini formosi accanto a uomini brutti. Eguaglianza economica? E chi l'ha detto? L'ha detto il socialismo posticcio che essi si fanno: vi sarà sempre per ogni opera il valore di consumo, il valore di utilità della collettività». * * Il concetto della democratizzazione (mi si passi la parola) della scienza e della politica, la quale non è che la vita che si esplica nello Stato, è tutto moderno. Per esso la scienza non è più il fastigio di una classe sociale, ma patrimonio di tutti gli uomini i quali hanno il diritto e il dovere di conoscere le leggi della natura nella quale vivono; !)è la politica è più il fastigio di un'altra classe, ma campo aperto a tutti i cittadini, i quali , i concorrono con le ele·• zioni dei magistrati, che son chiamati a far le leggi e a farle eseguire nel comune interesse. Parimenti moderno è il concetto della democratizzazione della industria, la quale con l'emancipazione del lavoro

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 129 manuale appresta a mite pr,.zzo ogni comfort a tutti i cittadini. Alcuni, e tra questi il Bovio, hanno negato la scienza democratica, perchè codesta, essi dicono, sarebbe un non senso. Comprenderei questo concetto quando si volesse significare che la scienza non dovesse essere trattata superficialmente e senza lunghe preparazioni, lo che costituisce la sua aristocrazia; ma comprendo la necessità odierna che si informi categoricamente, semplicemente, popolarmente checchessia intorno alle ultime conseguem.e cui è arrivato lo scienzato dopo mature e profonde riflessioni il che costituisce la sua democrazia; tanto ciò è vero che il concetto della. democratizzazione della politica è simultaneo al concetto della democratizzazione della scienza e a quello della democratizzazione dell' industria, la quale rappresenta appunto l'applicazione delle leggi scientifiche al comfort umano. .. * * L'uomo non può più considerarsi come inrlividuo assoluto, nè può più considerarsi la società come ente assoluto senza individui ; ma integrando l'uno e l'altra o l'uno nell'altra, dico che la società è collettività di individui armonicamente legati da offici diversi. Tale è un corpo organico composto di parti, ciascuna distinta dalle altre e tutte concorrenti alla vita individuale e collettiva. Perciò lo Stato non dovrebbe essere assorbente, altrimenti da omnivoro diverrà autofago e finirà col dar ragione a quelli che si industriano di farlo scomparire affatto. Se non che costoro considerando l'uomo come individuo assol~to e sufficiente a sè stesso, condizione dalla quale siamo da secoli usciti, perchè lo Stato è il fastigio dell'uomo, animale eminentemente politico, concetto che il Vico adombrò nell'apoftegma che l'uomo ha origine nella capanna per assurgere alla città, passando per il villaggio, si ingannano. Esaminiamo bene il concetto biologico dell'organismo e· applichiamolo allo Stato, nel quale esso diventa concetto sociologico. Che cosa è una pianta? È un complesso di cellule, le quali evolvendosi e non sovrapponendosi, come avviene nel minerale, sono deputate a differenti funzioni, tendenti allo sviluppo e alla conservazione del1' individuo e della specie. Che cosa è un animale? È parimenti un complesso di cellule, nelle quali essendo maggiore la forza evolutiva, l'organismo che se ne produce è più elevato, e laddove quello indistinto dalla natura è solamente fornito di vita vegetativa, questo oltre alla vita vegetativa acquista la semovenza, che lo fa distinto dalla natura, e la vita di relazione, che eleva di un grado la sua lotta per l'esistenza individuale e della specie: l' individuo animale perciò sente. Che cosa è un uomo? È sempre un complesso di cellule, nelle quali siccome è ancora maggiore l'evoluzione, si produce un organismo, in cui alla vita di vegetazione e di relazione uniscesi la vita della coscienza, cui il De Sanctis, filosofo ed artista spiritualista di genio, ha chiamato « quel focolaio interno, dove coabitano e si raffinano condizionandosi a vicenda, tutte le potenze, che la natura in un lavorio lungo ha successivamente sp1·igionato dal suo seno »: l'individuo umano perciò sente e pensa. Come vedesi, il concetto della vita deriva da individui e da funzioni; e se gli individui stanno da sè stanno anche per sè e per gli altri. Nell'organismo quindi non v' ha ozio di individui o organi, i quali ultimi non sono che individui deputati a più alte funzioni; e se ozio v'ha in qualche organo, è soltanto in quelli destinati per manco di funzione a sparire e ancora esistenti per attestarne l'evoluzione : son questi gli organi rudimentali. E passo allo Stato, il quale è la maggiore evoluzione naturale, perchè in esso non solo si ha senso e ragione di organismi isolati, ma ancora si ha scienza e coscienza di tutti gli individui considerati come un solo ente. Esso, che e la più elabol'ata e complessa forma so<'iologica, appare nella storia dotato di movimenti oscillatorii chiedenti l'equilibrio, in guisa che lo si vede trasportarsi da un estl·emo all'altro, dallo individuo alla collettività e da questa a quello, la qual cosa ha fatto dire al Vico che le società umane procedessero per corsi e per ricorsi. Vero; ma questi ricorsi all'occhio di chi bene sa leggere nel libro che insegna la vita, altro non rappresentano che ritorni atavici, quali noi incontriamo nel regno animale. non tutto ciò la vita animale si esplica incessantemente, come incessantemente si esplica la storia, nella quale si hanno sempre degli aggreg<'ti inferiori, che non potendosi chiamare preistorici, stante la loro contemporaneità con gli aggregati superiori, vengono chiamati esostorici. Il periodo in cui lo Stato trova il suo equilibrio è quello che chiamasi periodo di civiltà, di benessere sociale, di oro, e rappresenta lo stato perfetto della società in relazione con sè stessa: ivi lo sviluppo sincrono di tutte le forme sociologiche, come la morale, il diritto, l'arte, la scienza, la lingua, dalla cui fusione vien fuori la forma più complessa, che è lo Stato. Questi periodi si possono paragonare alle specie organiche, le quali si evolvono dando continuamente forme superiori, ma facendo continuamente esistere in sè, massime nei tl'apassi, fo1•meinfel'iori, ora sotto aspetto di ritorni atavici, ora sotto aspetto di organi rudimentali. A codesta specie di trapassi o anelli di congiunzione, che sono le meno perfette e le meno estetiche, corrispondono i periodi di transizione o di barbarie, nei quali la dissoluzione del vecchio e la gestazione del nuovo si appalesano in quello stato di oscurità intellettuale che chiamiamo periodo di decadenza o di ferro. Nelle specie perfette o estetiche l'armonia degli organi è mirabile, tanto da far dire ai teleologisti che esse siano nate belle e fatte e che ciascun organo sia stato fatto per la sua funzione, invece di cl'edere che ogni specie sia il prodotto di altre meno perfette e che gli organi si siano nel tempo e nell'ambiente adattati a compiere quella funzione. In quell'armonia gli organi rudimentali si riducono al minimum e meno frequenti sono i ritorni atavici. Tali i periodi storici di civiltà e di barbarie, se non che in questi oltre alla natura esterna e ali' individuo incosciente come fattori di elezione, che per-

130 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI -ciò chiamasi naturale, entra un altro fattore di elezione, l'esperienza cosciente, la quale determina quell'elezione che chiamasi artificiale. Perciò nel regno umano o storico l'evoluzione è più rapida che non quella che sia nel regno animale. Questa esperienza cosciente, che chiamano senso comune, è più propriamente dal Trezza chiamata senso moderno, appunto perché risiede nei cervelli illuminati, geniali, privi di ogni specie di lacci intellettuali. La sua mercè le forme sociologiche, come la morale, il dil·itto, l'arte, la scienza, la lingua e la forma per eccellenza che è lo stato, vengono elaborate in modo perché meglio esse assicurino la conservazione e l' incr<lmento della società. Il senso moderno ha il compito quindi nella evoluzione sociale di impedire i ritorni atavici, le forme mostruose o in estetiche, le demenze, come le chiama il Trezza, di ridurre al minimum gli organi rudimentali, di abbreviare i periodi di trapasso, di rendere la vita serena, feconda di piaceri umani, scopo a sè stessa, senza fisime teologiche. Fattori supremi di quest'armonia sociale sono la vocazione e l'oper.>sità del lavoro, che insieme costituiscono l'onestà degli atti della vita. * * * Dopo lo Stato classico, prole dell'antropomorfismo pagano, nel quale sparisce l'uomo e formasi il citta.:- dino, che fa volentieri olocausto di sè su l'ara della patria, e la Stato medioevale, pNle dello spiritualismo cristiano, nel quale sparisce il cittadino e ricomparisce l'uomo affaticato dall'auto-olocausto per la glorificazione del suo spirito, e lo Stato giacobino, prole del criticismo religioso, nel quale sparise il cittadino e il martire e formasi l'uomo senza umanità e civiltà, cupidi di piaceri e di pecunia, per i quali facilmente ei fa gitto della propria vita, delineasi lo Stato democratico, prole del naturalismo scientifico e del socialismo umano, nel quale l'uomo si concilia col cittadino per la. vita piena del!' indi viduo e della società. Di fronte a questa forma ancora in istato di incubazione, ne minaccia per la ragion dei contrari da un più remoto avvenire, sciolto da ogni legame domestico e civile, uno Stato utopistico e irrealizzabile che se per poco si attuasse finirebbe col negar tanto l'individuo quanto la società. Solo lo Stato democratico, razionale, positivo, libero in tutte le sue manifestazioni, gratuito, del quale tutti sentiamo in noi la prossima evoluzione, benchè non tutti lo sapessero completamente discernere e perciò confondessero con fo1•meevoluti ve già tramontate, crogiolandosi in esse, darà valore all'individuo e al cittadino ormai r,rivi di caratteri etici, per la cui assenza sono oggi possibili e anche giustificabili l'immoralità pubblica e privata e il suicidio ovvero l'egoismo e lo stoicismo. * * * Le contraddizioni sono frequenti nella vita, ma nei periodi di dissoluzione sociale, i quali nella loro stessa dissoluzione maturano il ve1·bonovello, le passioni e i sentimenti si aguzzano, disponendo l'eccesso di checchessia all'iperestesia. Però bisogna esser cauti, perché pria di andare innanzi si dà addietro, quasi quasi si volesse pigliar la rincorsa; e questi periodi di rinculata potrebbero esseré relativamente lunghi ed eve1·sori. In tali casi l'occhio delle moltitudini stia fisso sugli uomini di senso nwdemo, i quali sentono in sè il futuro, fecondandone il germe~ senza aberrazioni, senza riconoscimento di errore, senta strani miraggi e ii•realizzabili, che turbano la coscienza dì quelli, che gli intravvedono, fino a riempirgliela di livore e di odio contro la società. Contro costoro si rizza la scienza, la quale assiste invece/ gli altri, che il benessere umano stabiliscono tra i limiti estremi della natura e della storia. * * * L'evoluzione da un pezzo avvenuta nelle tribù simili tra loro ha prodotto le nazioni, benché essa non fosse ancora tutta compiuta. Per questo incessante processo di nazionalizzazione (mi si perdoni quest'altra barbara parola) i popoli hanno aumentato in modo considerevole il numero degli individui che li costituiscono, sicchè il pigliar parte direttamente alla res publica riesce ornai impossibile, sia che le nazioni costituiscano un grande Stato unitario, sia che si aggruppino in piccoli Stati confederati. Conseguenza naturale di ciò è la rappresentanza nazionale. Nondimeno per il cattivo governo di codesta 1•appresentanza in Italia si è ingenerato nella coscienza dei timidi il dubbio che si potesse fare a meno di essa, ignorando costoro che nella vita delle nazioni vi fossero sempre stati due principii, dei quali l'uno scaturisce dall'altro, e perciò opposti tra loro, il vecchio e il nuovo, e ignorando che nei paesi retti assolutamente quello sostenuto dalla forza delle armi vivesse stentatamente alla luce del sole e questo preparasse in segreto la caduta di esso, mentre che nei paesi retti costituzionalmente si ponessero l'una di fronte l'altra due fazioni, le quali se si alternassero rigidamente fide al proprio instituto si troverebbero dopo una certa stagione talmente svisate dinanzi alla pubblica opinione, che quando questa fosse ben matura, allora, o esse accoglierebbero quanto sarebbe in loro quello che a ma.no a mano si fosse venuto maturando in seno al popolo ovvero questo prima o poi si porrebbe come nemico. In vero fino a che i Parlamenti nazionali fossero la manifestazione schietta del popolo e sino a che tra questo e quelli vi fosse p1•estanza continua di funzioni assirnilati·ici, rappresenterebbero nello Stato quello che rappresenta il regno vegetale di rimpetto al regno minerale, l'uno, cioè, presterebbe all'altro gli elementi inerti, e l'altro assimilandosi li vivificherebbe. Se non fosse ardita l'immagine direi che per il regno minerale il regno vegetale è l'ideale: parimenti in uno Stato il Parla-mento nazionale è la sintesi e l'ideale di esso. Ma se le funzioni di circolazione si interrompessero allora i Parlamenti nazionali c1·istallizzerebbero, perdendo il loro scopo, sicché varrebbe davvero meglio che non ci fossero affatto. * * * I Parlamenti costituzionali che nacquero in tempi antichi in seno a genti germanil)he, dalle quali le genti latine li hanno ti-apiantati nei !ore paesi, adat-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==