Rivista di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 7 - 15 ottobre 1896

l3S RIVISTA POPOLA.RE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.Lt I NOSTRI PROSATORI. In Dante che; ripetiamo, nulla sa di latino, nè nella lingua, nè nello stìle, la costanza del pensiero logico, non vien mai meno e spicca mirabilmente, sia nei suoi lavori poetici, come in quelli prosastici. Li stessi pregi, per quanto riguarda la coerenza logica, presentano le prose del Macchiavelli, il quale però invece d' ispirarsi alla scuola di Cicerone, attinse forma e pensiero da Tito Livio. Il fatto sta, che quanto a pro~averamente buona e spigliata, se non vogliamo s'affermi l'epigramma: Scrivi versi che son prosa; scrivi prosa che son versi; cm può contrapporsi l'altro: Àvvi qualche asino anche in Parnaso, che suona il piffero cosi per caso, è duopo rivolgersi agli artisti. Lo stesso Carducci espresse l'avviso, che l'autobiografia di Benvenuto Cellini, tutta italiana o meglio toscana, è forse la prosa più scoerevole e ters<J. che adorni la nostra letteratura. Così altri sommi artisti, come Leonardo da Vinci, nel suo mira:bile trattato della Pittura, seppero nelle loro composizioni d'indole razionale o descrittiva che fossero, mantenere una nitidezza ed efficacia incomparabili. E lo stesso Vasari, nelle sue vite dei Pittori: quanta felicità di giuste intuizioni, quale trasparenza e semplicità di stile ! La lingua e la letteratura latina hanno certamente de' grandi pregi; ma chi non è costretto a riconoscerne la inferiorità, in confronto di quelle assai più ricche e varie de' Greci ? Gli è che il latino aristocratico, del Governo, delle classi dirigenti e degli scrittori, non fu forse mai parlato dal popolo. E poi i latini non ebbero in generale nè scienze. nè arti proprie ; essi non furono nè scienziati, nè artisti. L'unico di loro poeti, che ispirato si fosse alla schietta realtà della natur.i e dei fatti, e che si presenta ad un tempo come letterato, scienziato ed artista, si è Lucrezio. I prosatori, gli oratori, e gli storici della Latinità sono grandi, è vero, ma poichè rispecchiano quella peculiare grandezza aristocratica e conquistatrice della classe romana onnipotente, non potevano servir di modello alla prosa, che fiorì nel primo e nel secondo nostro Risorgimento, in quella felicissima epoca delle nostre ricche e festanti repubbliche medioevali, presso le quali tutto sapeva odon di popolo. Per questa ragione dell'imitazione piit o meno servile della prosa latina, accompagnata da un' eccessiva preoccupazione della forma, due sconci gravissimi ebbe a patirne la nostra letteratura. Da un lato mancò alla nostra prosa quell'onda spontanea, che tanto si presta a divulgare i portati dell'arte e della scienza, dall'altro tardò appunto a svilupparsi e concretarsi la vera forma di prosa scientifica. E, se pur s'eccettua il Galilei, questo genere di prosa, pur a giudizio del Giordani, non apparve fra noi veramente lodevole, se non col Leopardi e col Manzoni, nei dialoghi e nei pensieri del primo, e nella morale cattolica del secondo. Ma mentre nelle vene del grande Romanziere lombardo, scorreva lo illustre sangue del Beccaria, non è a dimenticarsi che lo stesso Manzoni fu grande ammiratore del Porta. Ed è così che egli il Manzoni, in fatto di prosa sovra gli altri com'aquila vola nel suo insuperabile romanzo. Quivi, forse inconsciamente, ma pur certo coll' intimo senso del bello e del vero, di. cui tanto brillava la sua limpida mente, nelle prime edizioni dei Promessi, dando appunto all'Italia il primo romanzo, che sapesse odore di popolo, pur nella forma ebbe a prendere ispirazione dal popolo, riversando in esso romanzo il tesoro del suo dialetto, insieme appunto al fare spigliato e gaio del Porta. Ma lo stesso Manzoni, più innanzi adescato dallo andazzo dei tempi, per quanto riguarda l'eccessiva preoccupazione della forma, giudicò ben fatto ridurre al fraseggiare puramente toscano o anzi italiano il suo romanzo ; con che pur a giudizio dei più competenti, ei fece bensì opera dotta ed accurata, ma non opportuna per accrescerne la perpicuità della lingua e dello stile. Vediamo infatti pur oggi giorno, che di contro, il più grande dei Romanzieri francesi, lo Zola, senza pentirsene, come fecero Omero e Dante, seppe importare nei suoi lavori piit perfetti il ricco patrimonio delle fonti dialettali. Sicchè ei, rispetto alla propria nazione si rese benemerito ad un tempo colla serie continua de' suoi romanzi, e nel senso popolare artistico e in quello linguistico. Ed eccoci, con rapidità vertiginosa pervenuti al punto, a cui ci premeva giungere: ai nostri giorni. Quale si è pertanto il presente stadio della nostra letteratura ? Con Carlo Cattaneo, Gioberti, Leopardi, Manzoni, Mazzini, ed altri valorosi, che rifulsero nella prima metà del secolo che muore, le tradizioni migliori letterarie, che fanno capo a Dante, si vennero oscurando. Prendiamo le mosse dall'epoca, in cui il soffio animatore dell'indipendenza :accese i petti delle classi dirigenti, in tutta la penisola Allora un fatidico insieme di circostanze, rese possibile ed attuabile ì'unità della patria sotto lo scettro della Monarchia Sabauda. Grandi si furono del pari come cospiratori e spronatori della gioventù: Mazzini, Guerrazzi, Campanella, Saffi ecc. Ma chi ispirandosi alla scuola del Cattaneo, la quale per davvero fa capo a Dante, per forma é pènsiero sani ed indipendenti, si fu

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