RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 189 LaFunzioSnoecialdeelDirittoCivile (Continuazione vedi N. 4.) II. Ed ora entriamo nella parte più scabrosa della nostra tesi, quella che concerne la proprietà. La proprietà attraverso la storia, oltre ad aver servito a integrare l'attività individuale, s'è collegata ad àlti interessi sociali, quale l'attaccamento alla terra, la stabilità della dimora, per quanto 1•i. guarda i beni immobili, lo sviluppo della ricchezza sociale, la sicurezza interna ed esterna, l'ordine e la pace tra le diverse classi sociali. Ma la suprema gravità stessa cli questi interessi e la grande difficoltà di armonizzarli tra loro spiega le lunghe e ace1•bissime lotte e ·i passionati attacchi a cui l' istituzione della proprietà individuale è stata fatta segno. Il diritto civile è particolarmente interessato in questa quistione, in quanto che regola l'acquisto, le modificazioni, le trasformazioni delle diverse specie di proprietà privata. Esso deve fare in modo che sie no conciliati l'interesse individuale, che spinge alla massima produzione, coli' interesse sociale, che esige un' equa ripartizione delle ricchezze per mantenere l'ordine e l'armonia tra i consociati. s·ebbene i nostri Codici non trascurino alcuno di questi due fattori, non può negarsi tuttavia che, sia per la tradizione del diritto romano, sia per l' influeza della scuola economica, classica, che ebbe tanta importanza al principio di questo secolo, essi abbiano un carattere prevalentemente individualista. Il nostro Codice civile definisce la proprietà in un modo ambiguo, in quanto mentre dice che consiste nel diritto più assoluto sulle cose, aggiunge implicitamente quanto basta per ren~erlo effimero. In sostanza il Codice difende ogni fo1·madi proprietà privata, salvo alcuni temper.1menti tendenti a conciliare gl'.interessi dei proprietari e quelli sociali. Le due forme più discusse di pNprietà privata sono quella della tèrra e l'altra capitalistica, appunto perché s'è creduto di trovarè realizzato un plusvalore illegittimo nella rendita della tei•ra e nel profitto del capitale. .. Non possiamo dilungarci sulla famosa quistione economica della 'rendita. Sia che essa voglia considerar.,i come n· sovrarreddito che resta al proprietario del suolo, dedotto il compenso dovuto al lavoratore della terra e l'altro dovuto al capitale impiegato, e che rappresenta il plusvalord delle torre fertili, sia che voglia considerarsi come il sovrarreddito dovuto all'addensamento della popolazione, sia che nasca, come riteniamo noi, da molteplici fattori che non possono determinarsi a priori, non ci pare che ciò debba avere impo1•tanti conseguenze giuridiche, conservando l'attuale organamento della proprietà. È ben difficile nella pratica colpire quest'altro profitto e devo! verlo allo stato come vorrebbe lo Stuart Mill, o ai lavoratori del suolo, come vorrebbe il Loria, per l'impossibilità di colpire i possessori originari a vantaggio di cui si cominciò, a verificare il plusvalore. Ma alcuni economisti, partendo dal principio che 1:1 rendita è un guadagno illecito, e che non è possibile colpirla singolarmente, sostengono . sia necessaria la nazionalizzazione della terra. Noi riteniamo che non si possa venire a questa conseguenza, perchè la rendita non compare poi così facilmente come alcuni ritengono, e quando co·mpare va spesso accompagnata da varie circostanze che ne scemano l' importanza. Infatti di plusvalore delle terre fertili non è più a pn:rlare dopo eh.e i pr~prietari delle terre fertili non son più gli originari. Quanto al plusvalore delle terre derivante dall'add·ensamento della popolazione, dalla vicinanza di un nuovo mercato, o di mezzi di trasporto etc. etc., bisogna notare che spesso è accompagnato da perdite effettive da parte di altri proprietari di terre, per causa della diradazione della popolazione, dell'allontanamento del mercato o dei mezzi di comunicazione etc. E poi bisognerebbe m~ttere in rapporto quest'altro profitto col depreziamento della moneta. Sicchè non sarebbe proporzionato il rimedio della socializzazione della terra alla causa della rendita. Dato poi che l' intero profitto in un dato caso possa accertarsi, sa1·cbbe da colpirsi con un' imposta. Ma indipendentemente dalla quistione della rendita i collettivisti sostengono· che lo stato abbia il diritto e il dovere di avocare a sè la proprietà della terra perchè essendo questa limitata, e trc1.endosi da essa non solo i mezzi di sussistenza, ma anche la materia prima delle diverse industrie, non potrebbe esser lasciata in completa balia di pochi. Non escludiamo che possa concepirsi uno stato futuro della società in cui la terra abbia ad essere di dominio collettivo, come lo fu una volta. Ben inteso però che le modalità dovrebbero cangiare considerevolmetlté:Infatti il collettivismo esistette in tutto il suo vigore quando la terra non era coltivata, o lo era a cultura estensiva; per cui ognuno ritraeva i frutti necessari alla sua sussistenza e faceva pascolare i suoi armenti, in modo che gl' interessi di tutti erano conciliati. Ma quando cominciò la coltivazione intensiva del suolo, gl' interessi divennero disarmonici, 'e non volendo più ognuno eccessivamente sforzarsi per gli altri, ciò dovette importare che colui che aveva. dissodato il terreno attiguo alla sua abitazione volle ritrarre per se il frutto del suo lavoro e il potere sociale fu cocostretto a poco a poco a riconoscere come definitive le occupazioni temporanee del suolo. Altre cause
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