il Potere - anno I - n. 5-6 - novembre-dicembre 1970

pag. 4 il POTERE N PROBLEl'IIA PER GLI Al~NI SETIA TA Gli attuali modi di vita, la mobilità residenziale, la stessa struttura metro– politana rendono anacronistico e ste– rile un siffatto modo di concepire il decentramento d~lle attrezzature civili e la stessa «autonomia>> a livello di quartiere e di delegazione. • • I serv1z1 Occorre invece prospettarsi il ruolo delle attrezzature civili e collocare il discorso sulla loro autogestione in una strategia nuova che, attraverso un con– tinuo processo di scientizzazione dal basso, trasformi i servizi collettivi in strumenti per superare l'attuale asset– to del sistema economico e politico. collettivi I servizi collettivi, infatti, presenta– no, nelle società industriali evolute, un notevole grado di ambivalenza. Da un lato essi costituiscono un'« economia esterna:» indispensabile per mantenere i livelli di efficienza del sistema pro– duttivo; dall'altro, proprio per il fatto di essere destinati al soddisfacimento di bisogni di tipo pubblico, contrasta– no - almeno potenzialmente - con la logica alienante del sistema produt– tivo, che tende, invece, ad indurre con• surni opulenti, spesso inutili, destinati ad essere fruiti individualisticamente. IN un precedente articolo, si sono sottolineate alcune preoccupanti ca– renze di attrezzature collettive nella maggioranza delle zone periferiche della nostra città. Si è concluso che l'inadeguata dotazione di asili nido, di scuole, di spazi per il gioco e Io sport, di verde pubblico e così via, non solo rappresenta una prova pale– se dell'immobilismo politico che ha caratterizzato le scelte urbanistiche genovesi negli ultimi vent'anni, ma è anche un sintomo preoccupante della mancata formazione nella nostra cit– tà di W1a coscienza imprenditoriale e– voluta. La predisposizione di un'efficiente rete di servizi collettivi tende infatti a diventare un fattore di localizzazio– ne di primaria importanza per le atti– vità produttive, come dimostra, ad e– sempio, l'insistenza con la quale la Fiat a Torino e l'Alfa-sud a Napoli fanno pressioni sulle amministrazioni locali affinché venga avviato a solu– zione il problema degli alloggi e quello delle attrezzature civili. Con riferimento a Genova lo scar– so interesse dell'establìshement locale (non esclusi alcuni esponenti sindacali e di partiti di sinistra), nei confronti del problema dei servizi collettivi ol tre ad ostacolare Io sviluppo di un si– stema produttivo vcluto, rischia anche di compromettere la caratteristica struttura policentrica della nostra cit– tà, con conseguenze particolarmente negative, specie in una prospettiva di tipo metropolitano. Ali' indiscriminata espansione edili– zia ed al decentramento residenziale che ha investito l'area genovese negli ultimi vent'anni, non ha infatti corri– sposto un adeguato decentramento del– le attrezzature collettive: non solo di quelle di livello intermedio, in grado di potenziare i nuclei urbani delle « de– legazioni» genovesi, 1na, in non pochi casi, anche dei servizi di prima neces– sità, quali negozi alimentari, ambula: tori, farmacie, nidi di infanzia, spazi per il gioco dei bambini e cosi via. A monte dei nuclei storici delle « de– legazioni » genovesi, ricchi di valori ur– bani e di preesistenze ambientali, ma orma.i inghiottiti da un mare di ce- mento e soffocati dal traffico, si sono così estesi disordinatamente insedia– menti edilizi ad alta densità, privi dei servizi più elementari, mal collegati alle zone costiere, vere e proprie peri• ferie-dormitorio. Il centro storico prin– cipale della città, d'altro canto, sem– pre più emarginato rispetto alle zone direzionali e privo di un contatto diret– to con il mare, ha subito un lento, ma inesorabile degrado socio-urbanistico e, per molti aspetti, è ormai assimila– bile a certi ghetti delle metropoli ame– ricane, con la differenza che la sua compattezza e il suo elevato valore artistico rendono qualsiasi operazione di risanamento conservativo partico– larmente impegnativa e delicata e con– sigliano pertanto (come troppo spesso accade nella nostra città) ad un com– pleto immobilismo, che deteriora ulte– riormente la situazione già pervenuta ad insostenibili limiti di rottura. Questa è la Genova degli anni set– tanta, che, guardando oltre Appenni– no, cerca faticosamente una nuova frontiera metropolitana. Il problema della salvaguardia delle poche aree li– bere per porre in atto programmi di sviluppo delle attrezzature collettive nelle zone periferiche della città, l'e– sigenza di avviare operazioni di rinno– vamento urbano per restituire al cen– tro storico ed ai nuclei delle (< delega– zioni» genovesi un ruolo attivo nel quadro del recupero e del potenzia– mento dell'originaria struttura poli– centrica del capoluogo ligure, sono restati ai margini del dibattito sul pro– getto per il nuovo piano regolatore della città, nonostante la palese de– nuncia della situazione che emerge dal documento programmatico. L'establishement politico ed econo– mico e, almeno in parte, le organiz– zazioni sindacali non hanno saputo co– gliere il ruolo strategico che può as– sumere una politica dei servizi collet– tivi tendente al recupero ed al poten– ziamento della struttura policentrica di Genova ai fini di una coerente im– postazione del disegno metropolitano previsto negli studi per la revisione del piano regolatore della città. Solo alcuni membri dei comitati di quartiere e di delegazione hanno timi– damente cercato di portare avanti un discorso sui servizi collettivi, che è rimasto, tuttavia, pressoché inascolta– to, essendo ispirato, in non pochi casi, ad una visione « romantica » e ana– cronistica del problema. Non si tratta infatti di pensare al recupero della struttura policentrica di Genova come ad un ritorno al pas. sato, ai tempi in cui le attrezzature di quartiere (gli spazi verdi, la chiesa, la scuola, il circolo ricreativo) erano i luoghi nei quali si manifestavano rap– porti sociali statici, espressione di una cultura locale cristallizzata, ricca di tradizioni, rassicurante. Nella misura in cui, facendo leva sull'imprescindibile esigenza da parte dello stesso sistema produttivo di svi– luppare un ambiente metropolitano ricco di attrezzature collettive, ci si pone in una prospettiva di trasforma– zione e si accettano gli obbiettivi rifor– mistici come obbiettivi intermedi di una strategia più vasta, le attrezza– ture civili, la loro diffusione capillare nel ..~ssuto urbano, possono rappre– sentare ..m importante punto di inne– sco di meL,-canismidi autogestione in grado di conferire nuovi contenuti allo stesso consumo pubblico. In questa prospettiva lo sviluppo delle attrezza– ture collettive, attorno alle quali si « polarizza » la vita associata e pren– dono forma le aree metropolitane, può rappresentare non solo un fatto rifor– mistico, ma anche uno strumento di trasformazione, opponendosi alla logi– ca di induzione dei consumi e di ma– nipolazione del consenso del sistema produttivo. V'è da chiedersi, tuttavia se e in che misura l'attuale struttura dei co– mitati di quartiere e di delegazione consenta a tali organi di porsi una siffatta strategia di azione. La rispo– sta non può che essere negativa. Gianni Cozzi BANCO DI NAPOLI ISTITUTO DI CREDITO DI DIRITTO PUBBLICO Fondato nel 1539 Fondi patrimoniali e riserve: L. 94.294.650.546 DIREZIONE GENERALE - NAPOLI 493 FILIALI IN ITALIA SEDE DI GENOVA: Via Garibaldi, 1 - Te!. 20.97 Telex 27111 • 27145 NAPGENOA AGENZIE DI CITTA': N. 1 Via Gramsci, 85 r. - Te!. 292.983 N. 2 Via XX Settembre 123 r. - Te!. 52.994 - 581.432 N. 3 Via F. Avio, 22 r. - Ge-Sampierdarena Te!. 457.150 • 459.921 N. 4 Corso Buenos Aires, 51 r. • Te!. 581.990 589.965 N. 5 Via Orefici, 48 r. - Te!. 298.057 - 298.075 N. 6 Via L. Pinelli, 4 r. - Te!. 589.772 N. 7 Via G. Rossetti, 19-G r. - Ge-Ouarto - Te!. 395.584 N. 8 Via Milano, 147 r. - Te!. 683.984 N. 9 Via Parma, 23-25 r. - Ge-Pegli • Te!. 439.263 Filiali all'estero: Buenos Aires - New York Uffici di rappresentanza all'estero: Bruxelles - Bueno:; Aires - Fran– coforte s/m - Londra - New York - Parigi • Zurigo Corrispondenti: in tutto iI mondo bibliotecaginobianco Novembre-Dicembre 1970 I POLITICI DIETRO LE QUINTE Un teatro troppo stabile Sarà sempre tardi per recuperare il tempo perduto - Il gioco dei partili n dilemma : è il pubblico che deve andare a teatro o il teatro al pubblico ? L O «stabile» di Genova, dicono in molti (persino gli esperti), ha raggiunto un livello di anima fanura: è un complesso di tutto rispetto, di as– soluta competitività nei confronti del • Piccolo» di ~!ilano (al quale dopo l'addio « particolare» di Strehler con– tende la primogenitura nazionale). ora– mai è lanciato verso la conquista del mercato europeo. E' vero in effetti: ha un direttore coi fiocchi, un regista di fama, una « trou– pe » di attori affiatati, un gruppo effi– ciente di impiegati. un museo sempre in attesa di essere definitivamente ca· talogato data l'abbondanza di materiale, persino una associazione dalle aspirazio– ni culturali quale gli « amici del tea– tro» (dove comunque insistono a ri• manere diversi elementi da museo an• ch'essi che farebbero benissimo da ma– nichino agli abiti di scena della Ristori o della Duse), in[ine - ma questo solo da poco tempo - un'abile drammatur– ga ed esperta di teatro essa stessa regista. Per questo, periodicamente, come da una fabbrica (dove però non si scio-– pera mai e dove il principio della coge– stione è stato tanto assimilato che il direttore è anche il rappresentante elet– to dalla base dei lavoratori), escono prodotti più o meno finiti, ben lustrati, ineccepibili o discutibili per quel tanto che serve a far parlare di falsi proble– mi i falsi intellenuali. programmati con sapienza ed avvedutezza: un Goldoni qua, uno Shakespeare là, un Euripide giù, un Brecht su. E sempre per que– sta abilissima capacità organizzativa ar– rivano, per lo più da [uori. anche gli «alibi», cioè gli spettacolini d'avanguar– dia, quelli irriverenti, i recital di can– tanti o di attori sul viale del tramonto. perfino i pupi siciliani. Ad esempio la corrente stagione è iniziata un po' in sordina dal punto di vista qualitativo nondimeno interessante dal punto di vista finanziario visto che gli incassi non sono andati poi tanto male: dapprima ha acceso le polveri una attrice fiduciosa di strappare ancora la– crime e di attirare a sé folle oceaniche giocando d'astuzia con pezzi di solitu– dine amorosa e di voglie tipiche dell'età climaterica: poi si è lavorato di fino, di cappa e spada, rispolverando il capo– lavoro di Dumas ed una altrettanto celebre edizione teatrale francese: nel frattempo sono arrivati uno degli ultimi prodotti « coupé » del « Piccolo» con nuova carrozzeria (non più Strehler ma Chereau) e la solita problematica rivo– luzionaria. poi un Otello più nero del solito assieme ad una Desdemona abba– stanza noiosa e puttana, infine un Ce• chov nel complesso tragico e tulio da ridere a seconda dei punti di vista. Carosello e decentramento Si tratta di un'attività frenetica e con– vulsa: il futuro non prevede mutamenti di rotta anzi se mai si annuncia - dato l'ambiente non poteva essere altrimen– ti - tempo fin troppo «stabile»: in– somma pare che la caratteristica di que– sta stagione genovese debba essere pro– prio un avvicendamento del genere« ca– rosello » con qualche pausa e molte ri– prese: insomma un « vernissage» di quanto il desolante mercato drammatur– gico italiano offre (a parte i lavori fatti in casa). Bisogna convenire che pur ventilato da tempo. proprio per la mancanza di spazio e di possibilità concrete di mo– vimento. un problema non sembra aver trovato l'attenzione che meritava: se non altro al momento della istituzione regionale: il problema del decentramen– to. Sì, è vero, da Brescia è venuta ap– posta con compiti specifici una teatran– te di rara qualità ma comunque e quan– tunque si parta sarà sempre troppo tar– di per recuperare il tempo perduto. Mi– lano e Torino in tal senso sono già sulla luna mentre Genova e la Liguria ancora per molto dovranno accontentar– si dei soliti Duse, Genovese. Chiabrera. in attesa che gli interessati chiariscano il dilemma se è il pubblico che deve andare a teatro o il teatro al pubblico. Chi sarebbero gli interessati? Beh, da– ta la situazione locale, è forse un po' troppo volerlo sapere: si corre il ri– schio di essere tacciati di curiosità o peggio di attiYità sovVersive. Quando a qualcuno dell'entourage si pone il problema « insomma lo fate o non lo fate il decentramento?», la ri– sposta più comune è un sorriso da 21 pollici. Né del resto si comprende bene chi possa dare l'avvio all'operzaione. Direttore e condirettore devono sotto– stare al gioco dei partiti e sottopartiti, i consiglieri a volte non hanno le idee chiare su cosa voglia dire teatro e si ostinano a guardare solo con sacro ter– rore i deficit (quasi che avere uno « sLa– bile » in attivo con tutti gli enti di stato in passivo possa risolvere le que– stioni o addirittura salvare il centro-si– nistra), qualcuno pensa che le cose del palcoscenico possano essere regolate CO· me una strada del centro per sveltire il traffico (pensiline. stop, sensi vietati). qualche altro che si debb3 dar sfoggio di virilità nei confronti delle attrici ca• rine (ma in serate di magra tutto vien bene). qualche altro ancora di solito si addormenta alle sedute come gli enti, le banche. tutti quei complessi legati in qualche modo auraverso l'assemblea all'andamento dello « stabile », i quali continuano ad ignorare la questione. Il sapore della democrazia Si tratta solo di una irresponsabile casualità? Può darsi: certo, a monte del problema spicciolo, non si può non ri– cordare come s'agiti una questione di esclusiva natura politica anzi non si deve dimenticarlo, anche se i fatti dimostrano il contrario, cioè che tutto procede co– me prima, con la stessa ostinazione di dieci anni addietro. con l'orgoglio di avere tanti abbonati al Duse ed al Ge– novese, probabilmente perché i direui responsabili dei « segreti locali » non vo– gliono comprendere « quanto » il pro– blema di rinnovamento di uno « sta· bile» esiga un'impegno ben diverso da quello limitato da periodiche sedute o dalla visione annuale dei rendiconti. A questo punto è facile dimostrare come la perfezione organizzativa del massimo organismo teatrale cittadino ve– geti in una piacevole stasi perché in effetti tale stasi risponde ad una parti– colare concezione del «potere»: anche quando si tratti in definitiva di potere indiretto, meno evidente, meno brucian– te. di altri. Questa concezione cerca di imbrigliare la cultura in quanto ne teme le reazioni, sa di non poterla prevedere, ha paura di cosa possa fare una base non sempre controllata dietro lo stimolo di certi ammestramenti scenici incisivi e stimolanti. In sostanza, se il problema decentramento non va avanti è soprat– tutto per una questione di quadratura politica (non tanto economica): né a riguardo servono gli alibi. E l'arrivo a Genova di Mina l\lezzadri. arrivo sotto certi aspeui di inestimabile portata, ri– schia di finire in una nuvola di fumo se si guarda con occhi disincantati oltre gli spettacoli, il numero degli spetta– tori, i borderò, le repliche, i premi go– vernativi. Infatti giungere in periferia con formule di retroguardia, senza es• sersi prima preoccupati di arare il ter– reno, di far scaturire spontaneamente in seno alle delegazioni quella che qualcu– no ha definito « la voglia di far teatro», significherebbe compromettere i risulta– ti di un'operazione che non può. per l'alto significato sociale. essere amma– nita con mezzi mistificatori: né è pos– sibile che una « poltrona » più o meno anonima, anche allo spettacolo inteso come forma di crescita ed educazione collettiva. rifiuti con terrore, in seguito a chissà quali alchimie o ragioni, il sa– pore della democrazia. Carlo Brusati GENOVA REGIONE

RkJQdWJsaXNoZXIy