il Potere - anno I - n. 5-6 - novembre-dicembre 1970

Novembre-Dicembre 1970 il POTERE LETTERE AlDIRETTORE BRUCATE L'ERBA ESCATOLOGICA Q UANDO mi avete inviato una prima volta due copie del vostro giornale vi avevo scritto una lunga lettera, nella quale proclamavo il mio fiero disaccordo con le tesi sostenute nel giornale. Poi è arrivata l'alluvione e ho pensato che non è giusto che mando una lettera incazzata, quando magari devono spalare fango e hanno perduto le macchine e altre cose. Mi è arrivato il terzo numero e così ho ripreso la vecchia lettera, ho deciso cli non spedirla, e di spedirne invece un'al• tra, insieme a un assegno. E questa let– tera non è assolutamente polemica, al massimo spiega che il fatto che io man– do un abbonamento non è perché io sia d'accordo. Al contrario sono radicalmen– te in disaccordo. Allora guarda questo qui che si abbona perché non è d'accor– do. Il nostro comune amico vi potrà spiegare che questo è perfettamente coe– rente con la mia persona, e sarebbe mol– to meravigliato che io stessi dalla vostra parte. Che differenza c'è tra me e voi? mi sono domandato, perché poi alla fine alcune cose dette mi andavano bene, co– sì come le dice\·ate. E anzi le trovavo interessanti. Come Bruno Orsini che par– la della Calabria e dice che è come la Russia. L'Italja che diventa ancora una volta terra cli mezzo. Che la parola Mez• zogiorno non significa niente eccetera. Ma voi ci tenete a dire a ogni pagina che siete cristiani. Ora io non lo sono. Anzi non mi sono più posto il problema da quando avevo 18 anni. Io sono stato sempre abituato da una lunga educa– zione fami.liare a considerare la mia fede in Gesù Cristo morto e risorto come una specie di scommessa, della quale non si può essere troppo sicuri. Ora il tipo eru– dito che certamente avrete in redazione dirà, ma questo plagia Pasca]. Falso, non plagio nessuno, me ne infischio di Pa– scal e dei suoi problemi di salvezza. La salvezza per me non ha senso. Da cosa dovrei essere salvato e come? Boh. Ora Barth dice che quando un cristia– no smette anche per un attimo di ama– re il prossimo per affermare se stesso come cristiano, cioè salvato, non lo è più. Von Balthasar, che è una persona a modo, ribatte e conferma che solo l'amo– re è credibile, tirando fuori una citazione da Giovanni, quando Gesù Cristo dice da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, dal fatto che vi amerete come io ho amato voi. E se le parole hanno un senso questa frase è perfettamente rever– sibile: non vi potranno riconoscere come miei discepoli, e quindi n0n lo siete, se non ri amerete l'un l'altro. Allora potete scegliere se non chjamanri più cristiani, oppure mettere il termine tra virgolette, così: «cristiano». Perciò il discorso vale anche per voi, mica solo per quelli che sono peggio di voi. Io non lo sono cri– stiano e perciò non ho problemi, voi vi affermate tali, e il problema dovete aver– lo, perché se no come faccio a ricono– scervi come discepoli di Gesù Cristo. C'è anche di peggio proprio per le persone come voi che si ostinano a chiamarsi cristiani a tutti i costi. Cito come viene dal capitolo VI di Giovanni: Gesù Cristo esce su piazza san Pietro e trova un muc– chio di farisei che lo stavano aspettando, magari era il giorno commemorativo della presa di Roma e della breccia di porta Pia. E allora domanda a preti mona– che fedeli: ma voi non siete schiavi? No, che non siamo schiavi, siamo figli cli Abramo (cioè battezzati con tanto di car– ta da bollo e 560 lire di tassa parroc– chiale). E Gesù Cristo, gli risponde: fi– gli di Abramo voi, in verità (in nome della sua persona-verità cioè, mica in nome della verità di Socrate o di qual– che altro azzeccagarbugli di filosofo) voi siete figli del demonio. Poi quelli Io mi– sero in croce e fecero bene, perché ca• pisse che era meglio venisse con dodici legioni di angeli a fare piazza pulita. on ho finito. Ciò che ho detto finora vale solo per la vostra innocua mitoma– nia religiosa, ma tutto sommato è un vostro problema di coscienza e se vi fa piacere potete anche incidere un disco che dica sempre io sono cristiano, data del timbro postale e ogni mattina lo mettete in moto mentre dite le preghiere. II problema maggiore è quello della vo– stra collocazione politica. Ali' atto pra– tico, tanto per intenderci, quando gli ope– rai della ex-Ansaldo fanno sciopero voi dove state? In caso di una violenta scossa sociale da che parte puntate il fu– cile? Non vi domando per chi votate, perché il fatto è assolutamente privo di importanza, tanto meglio sarebbe votare per canzonissima. Magari siete pacifisti e non violenti, pronti a diventare cristiano– sociali, cioè fascisti, che è poi la scelta che hanno sempre fatto le tenere pecore del gregge cristiano. Preferite anche voi obbedir tacendo nella migliore tradizio– ne carabinieresca del laicato cattolico italiano? Brucate anche voi l'erba escato– logica quando un problema storico vi scoppia in mano? Sono domande alle quali il vostro giornale non risponde e per questo ve le faccio, che poi non mi interessa che mi rispondiate a me, quan– to che ve le facciate. E in gruppo, per carità, niente direttore spirituale. CARLO STRIANO Roma Non bruchiamo l'erba escatolo– gica, cioè non vogliamo evadere quando wi problema politico coc– ca la nostra coscienza. La difficol– tà oggi sta proprio nel trovare una causa politica giusta: noi ritenia– mo che l'essere cristiani ci aiuti in quest'opera, senza dovere pagare un prezzo né al temporalismo eccle– siastico né alle oligarchie laiche. Naturalmente, ci meuiamo alla pro– va: e sappiamo che è w,a prova ri– sclziosa. Essere presenti senza es– sere complici è difficile. Striano pone il problema nei giu– sti termini: voler essere cristiano significa rispondere a questa do– manda: che farebbe Gesù oggi? Noi possiamo dire che egli non misu– rerebbe la sua azione alle voglie e ai desideri di alcuna parte, di al– cw1 interesse costituito. Nemmeno del temporalismo ecclesiastico. Ma, caro Striano, Gesù ha brucato l'er– ba escatologica? A CHE SERVE LA SINISTRA DC? LA delusione provata nel leggere gli arti- coli di Bruno Orsini e Gianni Tambur– ri del numero di settembre de « Il Potere> mi ha spinto a scrivere questa lettera. Gli articoli in questione trattano di Val– lombrosa (Orsini) e della sinistra dc (Tam– burri). Secondo Tamburri, cito a memo– ria, il momento caratterizzante della sini– stra cattolica è l'impegno morale. Niente altro? Sembra di no. Francamente, da un sociologo, mi aspettavo qualcosa di più. Quando gli storici futuri si chiederanno chi erano i democristiani di sinistra e co– sa, nei fatti, volevano, quale sarà la loro risposta? A me premerebbe che questa risposta fosse data subito, ora: a quale classe apparteniamo, quali interessi difen– diamo, quali prospettive abbiamo? A que– ste domande sembra rispondere implici– tamente Orsini quando critica la scelta « di classe» fatta dalle Acli a Vallom– brosa. Per Orsini la risposta aclista appare in ritardo sul corso della storia; e ciò per– ché « la frattura nella società contempo– ranea è piuttosto tra civiltà tecnologica e comunità umana che non tra classe ope– raia e classe borghese.. Le strutture pro– duttivistiche e consumistiche distorcono e mettono in crisi tutta la comunità: non solo la classe operaia, che pera! tro ne pa– ga lo scotto maggiore». Tale ultima am– missione è importante perché è chiaro che dove ci sono degli sfrnttati ci sono anche Jegli sfruttatori: ma chi sono que– sti ultimi se gli sfruttati sono quelli di sempre, cioè i lavoratori? Tuttavia, Or– sini scrive che « tutta la comunità sociale è oggi oppressa dalle strutture della socie– tà tecnologica in cui si convogliano e si rinnovano le forme più antiche di op– pressione>. Queste strutture della società tecnolo– gica poste in maniera così inafferrabile, quasi fossero delle astrazioni metafisiche, mi lasciano un pochino perplesso. Desi– dererei conoscere qual è l'elemento umano costitutivo di tali strutture. Mi spiego meglio: quanti sono i figli di operai che diventano ingegneri, magistrati, finanzie– ri, industriali e quanti di costoro conser– vano coscienza del loro ceto di prove– nienza? La risposta è, rispettivamente, « pochissimj » e « nessuno». Nei bar e nel– le osterie di via San Giovannì d'Acri a Comigliano, gli operai la sera discutono dei loro problemi: il lavoro, la paga, gli affitti alti, gli infortuni sul lavoro, le ma– lattie, il governo dei padroni. L'oppressione delle strutture tecnologi– che, di cui sopra, è qui visiva, lampante, si può toccare con mano. In Piccapietra da Motta, da Mangini a Con.retto, questa oppressione diventa più sfumata, e gli ar– gomenti di cui si discute da Mangini non sono certo quelli dei cottimi, della mutua che non rimborsa certe medicine, di ope– rai che per un qualche incidente in fab– brica si sono trasformati in acciaio fuso. Il discorso a questo punto si farebbe lungo e amaro; conviene, quindi, stringe– re. Certo, è facile criticare la scelta clas– sista delle Acli, più difficile è fornire una alternativa concreta e non soltanto in ter– mini di astrazioni politico-ideologiche. In questo senso anche la sinistra dc sta facendo cilecca: ciò nonostante continua a credere di poter fare a meno della classe operaia, senza rendersi conto che, in questo modo, è destinata inevitabil– mente a perdere congressi, elezioni, cre– dibilità. A Genova ne abbiamo avuto prova nel– le ultime elezioni regionali. on basta un Donat Cattin a fare da contraltare ai big locali, non bastano dei leader intelligenti per contrapporsi alla miriade di mezze fi- b1bl1otecaginobianco gure moderate e opportuniste del partito: occorre una base ampia, politicizzata, for– te delle proprie ragioni per controbattere l'amorfa massa clientelare che fornisce peso e forza al doroteismo locale. Questa base bisogna cercarla nella classe operaia. Gli operai, nella stragrande maggioran za, votano comunista, si sa, ma rassegnar– si al fatto compiuto significa dare ragio– ne ai moderati che a modo loro hanno già stabilito le parti della commedia: i borghesi per la Dc, gli operai per il Pci, per sempre. Ma allora, la sinistra dc a che senre? ALBERTO BONIC!OLI Genova Riconosciamo la qualità dell'esi– genza e dell'obiezione, ancl1e se il problerna non può certo esaurirsi in un articolo. Tuuavia, vorremmo domandare a Bonicioli: non è pos– sibile che anche membri della «clas– se operaia» siano coinvolti nelle strullure clientelari? Gli esempi non mancano: dalla storia della so– cialdemocrazia alla cronaca delle no• stre assemblee sezionali. L' « amor– fa massa clientelare» è interclas– sista, nel senso che trae i suoi fi– gli impar:ialmente da tutta la com– posita stratificazione sociale del no– stro paese. Desideriamo degli uomini llberi e non scriviamo perché abbiamo già una forza, bensì per andarla a cer– care. Anche noi sosteniamo che è più facile trovare esigenze politiche di moralità e di giustizia tra coloro che frequentano le osterie che in coloro che prediligono i locali cr: be– ne»: ma se esistesse veramente una base sociale unitaria che si baues– se solo per la giustizia, molti la avrebbero già individuata. Nemme– no la professione di fede classista ha salvato i partiti di sinistra dal– l'imborghesimento e dalle « nuove classi>. I GEOLOGI E L'ALLUVIONE e OME geologo sento il dovere di rin- graziare il suo intelligente mensile per gli articoli di Ugo Signorini, di Cesare Fera e di Aldo Carmine, pubblicati sul numero di ottobre del « Potere», che con– tribuiscono da una parte a riportare su un piano obbiettivo e reale il discorso suUe cause dell'alluvione e dall'altra a sconfessare in maniera chiara ed eviden– te i frequenti ed interessati vaniloqui dei politici. Riguardo ai motivi del disastro dell'ot– tobre scorso troppo si è detto e troppo si è scritto ed in troppo breve tempo perché della situazione si possa avere un quadro sincero. Tuuo questo prolife– rare di esperti chiacchieroni non fa che seguire il ben noto costume italiano di affrontare con frenesia i problemi nazio– nal.i solo al momento in cui essi si rive– lano nella loro tragica realtà e di abban– donarli altrettanto rapidamente dopo che tutti si sono per l'occasione improv– visati tecnici competenti e dopo che il problema è, per così dire, « passato di moda>. In realtà le cause dell'alluvione genove– se sono, da un punto di vista geologico, molteplici, complesse e profonde e per e- uPOTERE saminarle tutte ci vorrebbe non l'cpera di un singolo, ma uno studio lungo ed accurato di un'équipe specializzata. Il problema delle alluvioni noi geologi lo co– nosciamo anche troppo bene nelle sue linee essenziali e, in particolare, per l'e– vento genO\·ese abbiamo dei dati di fat– to concreti ed inoppugnabili che riguar– dano anche le vere colpe del mal prer grammato sviluppo edilizio. Tutto questo esiste ovviamente solo a li\·ello di idee generali, di presupposti, di direzionj verso le quali sarebbe necessa– rio operare. Infatti, a mio modesto avvi– so, non è più il momento di ruscutere sul– le cause, non è più il momento di per– dersi in cavilli, non è più il momento dei cr: distinguo>: tutta Genova è geologica– mente un pressante problema da risolvere e da tener in permanenza sotto controllo. Potrà dispiacere ai politici che amano il compromesso, la discussione e i tempo– reggiamenti piuttosto che gli interventi radicali, ma i geologi di Genova sanno che questo è invece il momento di pren– dere di petto la situazione e di sistemarla una volta per tutte. La sezione ligure del! 'associazione na– zionale geologi alla quale mi onoro di ap– partenere aveva presentato già da molto tempo all'amministrazione genovese pro– poste concrete in materia di difesa del suolo. Da un lato proponeva di avocare ai competenti in materia le responsabi– lità di ordine geologico in materia edili– zia, dall'altro sottoponeva alla pubblica attenzione la necessità di affrontare il complesso delle difese del suolo con pia– no regolatore geologico (e qui sta la ve– ra opera preventiva) senza il quale nes– suna difesa da calamità naturali e nes– sun progresso di razionale sfruttamento del territorio sono assolutamente possibili. La prima proposta, tramite una oppor– tuna revisione degli articoli 13, 13 bis e 18 del vigente regolamento edilizio, è stata approvata il 5 febbraio 1970 dalla giunta comunale, ma deve seguire il solito lun– go iter ministeriale e chissà quando en– trerà in vigore; la seconda proposta è al– lo studio ed i geologi genovesi fann o voti che venga accolta nell'ambito del.la forma– zione dell'ente regione. Immagino che a questo punto qualcuno potrà sogghignare e non con tutti i torti, sentendo parlare di ente regione e figurandosi che anche i geologi s;ano pronti come avvoltoi a sal– tare in barca e a dividersi la loro par– te di torta. Tolgo subito ogni dubbio. Ciò che vogliamo non è, per carità, un nuovo ufficio o un ulteriore carrozzo– ne burocratico ricco solo di raccomandati e di debiti verso la comunità, ma una precisa responsabilità morale da assumere totalmente e con la coscienza di essere le uniche persone che, per preparazione spe– cifica, sono in grado di stilare in brevis– simo tempo il primo documento sul pia– no regolatore di Genova e della Liguria al fine di procedere poi a considerare le misure necessarie per la difesa del suolo che richiederanno un tempo di attuazio– ne molto più lungo ed un successivo per– petuo controllo. Ci sono dunque cose che si possono fare presto anzi adesso e cose che invece necessitano di una preparazione e cli uno studio molto più lunghi. Affermo una Yolta per tutte che i geologi sono tra le poche persone in grado di dire ai politici cosa si deve fare prima e cosa dopo e, ciò che più conta, di dirlo gratis, ora e senza bisogno di commissioni ministe– riali e di convegni settoriali in cui tutto va avanti, odi, rancori personali, diatribe politiche e beghe di partito, tutto insom– ma tranne l'utile della comunità. Da una parte chiediamo per l'ennesima volta alle autorità di interpellarci e di darci infine quella fiducia che, per igno– ranza e più spesso per male\'oli interessi di altre categorie, ci è sempre stata nega– ta; dall'altra chiediamo a voi giornalisti di aiutarci a gridare, se è il caso, che c'è un estremo bisogno della geologia non solo per combattere le avversità della na– tura e por riparo ai suoi difetti, ma an– che per moralizzare certi settori specula– tivi i quali, oltre a contribuire pesan– temente a disastri più o meno gravi, hanno deliberatamente ignorato il nostro apporto tecnico-scientifico sia per ragi0- ni di ottusa economia sia per motivi me– no facilmente confessabili. FRANCO BENSA Genova LA NASCITA DE « IL POTERE» E' STATA ATTO DI LIBERTA' E DI AUTONOMIA: IN QUESTA PROSPETTIVA IL NOSTRO FO– GLIO DEVE VIVERE. CIO' COM– PORTA LA SUA AUTOSUFFI– CIE ZA, ANCHE MATERIALE: CONFIDIAMO CHE QUANTI HANNO UN QUALCHE INTE– RESSE AL NOSTRO DISCORSO ADERIRANNO ALLA CAMPA– GNA DI DIFFUSIONE. IL PREZZO AN •uo DELL' AB– BONAMENTO E' DI LIRE MIL– LE. SI ACCETTANO ABBONA– MENTI SOSTENITORI. I VER– SAME TI VA NO EFFETTUATI USUFRUENDO DEL C/C POSTA– LE N. 4/6585 I TESTATO A « IL POTERE», CASELLA POSTALE 1665 - GENOVA. « IL POTERE» E' IN VE DITA PER ORA SOLTANTO NELLE EDICOLE DI GENOVA-CENTRO, IN TUTTE LE EDICOLE DA DI– NEGRO A STURLA. pag. 5 NON C'ERO SE C'ERO ... C O. viva sorpresa ha letto il corsivo cr: Il fronte popolare> sul • Potere> di ottobre. Sorpresa per molti e plausibi– li motivi: in primo luogo perché al ban– chetto in casa ~1achiavelli non avrei po– tuto partecipare in alcun modo, trovan– domi in quei giorni a Strasburgo in mis– sione. Certo lei sarà convinto che ad un sottosegretario, molto, se non tutto, è possibile, ma la prego vivamente di cre– dere che l'ubiquità non è tra le preroga– tive dei membri del governo. Quanto al definire cr: casa paterna> quel– la dei miei amici .\-1achiavelli è far loro un torto poiché sia Pippo sia Paolo pos– sono essere al massimo, per ovvie ed evi– denti questioni anagrafiche, miei fratel– li. Né credo si possa attribuire a loro una, seppure adottiva, paternità pclitica nei mjei confronti poiché nel nostro par– tito non esistono né padri, né figli, ma semplicemente compagni di fede e di lotta. Credo che vi sia poi un tantino di ma– lafede nel definirmi abbacinato dalle cat– tive compagnie politiche romane, volen– do in questo modo attribuirmi una de– bolezza di carattere che credo di non aver affatto. Sono invece ben lieto che mi si attribuisca un gesto gentile ed affet– tuoso nei confronti di cr: mamma Machia– velli • e l'unico rammarico è che, data la reale esistenza di questo affetto, il ge– sto in questione esista solo nella fertilis– sima e un po' distorta fantasia dell'esten– sore di quella fasulla fantacronaca politi– co-familiare. Quello che è grave e sconcertante, se non offensivo, è il ruolo di paternaUstici feudatari del partito socialista di Geno– va che viene ascritto ai Machiavelli che sempre secondo il vostro ineffabile cor– sivista distribuirebbero collegi senato– riali, abbracci e provocherebbero pianti di pentimento, gioia e riappacificazione. Gra\·e per la malafede di tali asserzioni, sconcertante per la leggerezza e la su– perficialità con cui ci si serve del mezzo della stampa - nel caso specifico non democratico ma arbitrario. Il nostro par– tito sta avendo da sempre, nella città cli Geno\·a e in tutto il paese fama di one– stà di azione e chiarezza di intendimenti, ha espresso uomini come Canepa, Barba– reschi, Macaggi e gli altri tutti, di ieri e di oggi, che non considerano la loro can– didatura alle responsabilità del parlamen– to come una torta da dividere sulla tavo– la domenicale di un pranzo festivo, ma un mandato di fiducia da parte della po– polazione. Il resto è uno squallido tentativo di fol.klore che non qualifica certo il foglio da lei così ben diretto. Concludendo \·oglio precisare che il prer fessor Canepa, a 30 anni già segretario provinciale del partito, oggi capo gruppo nel consiglio regionale, non è un ragaz– zino irresponsabile da tener fuori dal « sa– lotto buono > dove risiedono i grandi, re– legato nella stanza dei bambini, per di più cattivi. E', come tutti gli altri, un compagno di grande valore e di brillan– te avvenire. Sarei stato lieto di pranzare con i miei amici di sempre anche il 4 novembre, ma ciò purtroppo non è potuto accadere, tuttavia succede spesso e succederà an– cora senza l'intrusione (seppure fantasti– ca) di un malevolo e poco informato cro– nista. Dal nascere ho apprezzato questo gior– nale per il contributo culturale in senso lato, l'invito alla meditazione su certi temi di vita politica generale, e non per essere implicato in prima persona, mi stupisce che abbia ospitato questo corsi– vo degno di una fumettistica politica di bassa lega. M.i auguro per il futuro di poter confermare il mio giudizio posi– tivo nella lettura dj più serie cronache. Ringrazio per l'attenzione che la invito a tenere sempre vigile per evitare, a buon nome del suo giornale, che si ripetano scempiaggini del genere, con viva cor– dialità Senatore FR,>u'ICESCO FOSSA Roma Il senatore Fossa è un abile scrit– tore e sa dosare opportunamente il bastone e la carota, l'ironia e la rievocazione, anche se in qualche mumento non sappiamo ben distin– guere se si commuove o se sorride. Egli ci informa che, per wz sociali– sta, parlare di politica a tavola è contravvenire aile regole del club: nel Psi di politica si parla solo in luogo apposito. Ne prendiamo atto. Tuttavia, il senatore vorrà am– mettere che il nostro corsivo non era una cronaca, ma un apologo: il nostro redattore non è certo entra– to con lui da Romanengo né sostò malizioso sugli stipiti di casa Ma– chiavelli. L'apologo, che ci sembra– va delicato e suscita invece tanta tempesta, alludeva ad un accordo politico tra il senatore Fossa e i fratelli Machiavelli. Non ci senzbrQ. che il senatore Fossa abbia smen– tito questo accordo, ci dice solo che non è avvenuto a pranzo. E se tutto si riduce a supporre un pran– zo in casa Machiavelli, dov'è lo cr: squallido pezzo di folklore»? dove la « fumettistica politica di bassa lega • dove la « malevolenza del cronista»? Non c'è nulla di male né in un pranzo né in un accordo politico. Se il nostro corsivo non risponde– va a verità, perché il nostro cro– uista è incorso in tant'ira? Dovre– mo forse ripetere l'adagio del prin– cipe del foro dostoevskijano: « Gio– ve t'adiri, dunque Jzai torto»?

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