il Potere - anno I - n. 2 - agosto 1970

pag. 2 il POTERE • Il cammino I I I degli imperi IL congresso di Yalta costituì l'occasione politica che diede inizio al cammino degli imperi. Il loro tempo era giunto. La se– conda guerra mondiale si era con– clusa con la liquidazione della forza militare degli Stati europei e con l'esplosione della potenza di Stati Uniti ed Unione Sovieti– ca. I due imperi d'oriente e d'oc– cidente erano, in breve, divenuti egemoni della spaventosa poten– zialità atomica. Quasi contemporaneamente la evoluzione socia'le e politica dei Paesi sottosviluppati liquidava le posizioni di potere degli indebo– liti Stati coloniali europei in Afri– ca, in Asia, in America. Il con– cetto di Stato-nazione, tipico del– la struttura politica dei Paesi eu– ropei, entrò in crisi parallelamen– te al ridimensionamento della lo– ro potenza: ciò condusse al tra– monto dello Stato come supremo regolatore della società civile ed al costituirsi delle grandi orga– nizzazioni sociali (economiche, ec– clesiastiche, sindacali) come sog– getti autonomi di politica interna ed estera. La crisi degli Stati europei, che col Giappone erano gli unici pos– sibili oppositori allo stabilirsi de– gli imperi americano e russo, raf– forzò ulteriormente l'egemonia mondiale Usa-Urss. La sola Cina riuscì a sottrarsi al sistema, riuscendo curiosamen– te e rischiosamente a giocare l'un contro l'altro i due imperi: la sua doppia e contemporanea polemi– ca verso l'Unione Sovietica e ver– so gli Usa ha finito col risolversi in una doppia garanzia. Ciascuno dei due imperi ha offerto àlla Cina una tacita assicurazione con– tro un'ipotetica aggressione da parte dell'altro: lo si è visto al tempo della guerra coreana e, simmetricamente, nei recenti gior– ni dell'Ussuri. Ma la Cina non è un impero: è il risultato di una fortunosa politica di sopravviven– za del!' autonomia nazionale nel tempo degli imperi. DIREZIONE POLITICA: BRUNO ORSINI FILIPPO PESCHIERA Direttore responsabile: ALBERTO GAGLIARDI INDIRIZZO: Casella Postale 1665 16100 Genova Aut. del Trib. di Genova n. 14/70 del 4/4/1970 Una copia lire 100 Abbonamento annuo llre 1000 Il versamento va effettuato usufruen– do del c/c postale n. 4/6585 intestato a • // potere• Casella Postale 1665 16100 Genova PUBBLICITA' L. 150 al mm/colonna Distributore: Tardlto, via S Stefano 32 Genova Tipografia: Grafica BI-ESSE• Genova Telefono 58.18.60 10ecag1no La Francia di de Gaulle ha ten– tato una simile politica, ma ha dovuto constatarne il fallimento e sostanziamente tornare, con Pompidou, ali' imperiale ovile a– mericano. LA politica internazionale, oggi, si riduce quindi al conflitto russo • americano sui confini dei rispettivi domini, che ciascuna del– le due superpotenze diversamente gestisce. Gli Stati Uniti cercano di controllare indirettamente la loro arca mediante governi amici ed aiuti economici, l'Unione So– vietica non disdegna forme p1u vistose e dirette di presenza mi– litare. L'impero sovietico, più dell'an– tagonista, punta su una potenza militare di tipo convenzionale che gli consenta grandi possibilità di azione anche a prescindere dal– l'intervento atomico e mostra vel– leità espansionistiche assai più di quelle americane. Tuttavia, l'Urss ha constatato la sua impossibilità di espandersi in Asia: il poten– ziale economico giapponese e la realtà della Cina costituiscono un ostacolo insormontabile. Inoltre, proprio la tendenza sovietica a strutturare il suo impero secon– do lo schema classico del control– lo militare diretto impedisce lo stabilirsi della sua egemonia in aree immense e lontane, rispetto al baricentro della sua potenza, quali quelle cinese, giapponese, indiana. L'espansione dell'impero russo in Europa è invece più facile: la presenza di una schiacciante su– premazia militare convenzionale sovietica nel nostro continente è una realtà. Charles de Gaulle svi– luppò la sua politica estera e giu– stificò il riarmo atomico france– se nella convinzione che I' Urss avrebbe potuto occupare Bonn e Parigi senza che l'ombrello ato– mico americano si aprisse: Wa– shington, secondo il generale, non avrebbe rischiato la morte atomi– ca di 120 milioni di americani per difendere l'Europa. LA Germania, disarmata anche se industrialmente gigantesca, è quindi oggi alla mercé dell'Urss. Gli Stati Uniti, scossi da gravi problemi di politica interna e da una contestazione che trae la sua forza dal rifiuto della gioventù americana di morire lontano dal– la patria sui lontani confini di un non desiderato impero, non esporteranno più soldati per la difesa altrui. L'Urss, per contro, ha esplici– tamente palesato a Praga le sue possibilità concrete d'intervento militare; poco dopo ha persino tentato di razionalizzare il suo diritto all'invasione con la nota teoria della sovranità limitata; infine, ha inviato a Bonn una no– ta diplomatica con cui rivendica- 1anco va la sua facoltà di invadere il territorio della Germania feçlerale. A questo punto, i tedeschi non hanno avuto altra via che la ri– cerca di un accordo con l'Urss: tale patto non è paritario né po– liticamente, né militarmente; è un accordo imperiale sovietico con una potenza minore che, ine– vitabilmente, accentua la crisi del– la Nato. Non a caso l'iniziativa dell'ac– cordo è partita dai Krupp e dai von Bohlen: la crisi dello Stato, in Europa, autonomizza le forze economiche e sociali, le quali cer– cano la via della loro sopravvi– venza nell'accordo diretto con gli imperi. LE vie dell'espansione russa nel Mediterraneo sono anch'esse palesi: raggiungere un concorda– to internazionale nel Medio Orien– te, di cui l'Urss sia, di fatto, la potenza garante. Ciò porrà ogget– tivamente i Paesi arabi nelle ma– ni sovietiche, da cui dipenderà la integrità territoriale islamka nei confronti della superiorità mili– tare israeliana. L'egemonia militare russa in Egitto ed in Libia spingerà, for– se, ad occidente gli Stati del Ma– ghreb, ma l'Urss sarà stabilmente insediata come potenza mediter– ranea e la Turchia aggirata dal- 1 'impero sovietico. In Italia lo Stato, in pratica, non esiste più: le grandi organiz– zazioni ecclesiastiche ed economi– che guardano da tempo verso o– riente. Esiste qualche disegno di ritorno all'integralismo atlantico, magari concepito dal cosiddetto partito della crisi e dell'avventu– ra? E' difficile stabilirlo. E', invece, estremamente signi– ficativo il fatto che il governo pro-nasseriano e filo-sovietico di Gheddafi, confiscando i beni ita– liani in Libia, abbia trattato con ogni riguardo la Fiat e l'Eni, pro– tette evidentemente più dai loro buoni rapporti con l'Urss che dal– la dubbia autorità del governo italiano. Con ciò non affermiamo che l'impero americano abbia rinun– ciato al Mediterraneo e alla Ger– mania. Diciamo soltanto che gli imperi sono in cammino: gli ame– ricani forse consolideranno le lo– ro posizioni in Estremo Oriente (un positivo accordo per il Viet– nam è nella logica), ma certa– mente - nonostante 'la guerra dei sei giorni e la pr-imavera pra– ghese - l'impero sovietico avan– za in Europa, nel Medio Oriente, ne'l NoPd Africa. E ciò non potrà non avere effetti sulla politica itaHana. Sergio Romano Il ... p1u Tevere storto ANDREOTTI ha scritto un li- bro sulla presa di porta Pia. Il senso del libro è espresso da un aneddoto: quando cadeva Ro– ma, papa Pio IX componeva scia– rade. O meglio, una sciarada sul– l'argomento. Pio IX non avrebbe dunque preso sul serio la caduta del potere temporale: avrebbe fat– to una gran «scena», ma alla fine si sarebbe rallegrato nel ve– dere che i soldati piemontesi an– davano nella basilica di san Pie– tro con atteggiamento più devoto dei papalini. Nella Chiesa, secondo Andreot– ti, vi è una verità pubblica ed una privata, una verità per le masse ed una per gli intimi. Se dovessimo passare dalla sciarada di papa Mastai all'enig– ma del presidente Andreotti, se dovessimo appunto cogliere la sottile diplomazia che ha fatto del braccio destro di De Gasperi lo scopritore in proprio della scorciatoia della repubblica con– ciliare, dovremmo dire che l'enig– ma è questo: la Chiesa preferi– sce ai « papalini » (socialdemo– cratici, liberali, destra) i « pie– montesi» (Psi e, alla fine, ap– punto Pci). La sua protesta pub– blica è destinata a coprire, con il suo fragore, l'accordo privato. Siamo lieti che Federico Ales– sandrini abbia difeso, sulle co– lonne dell'«Osservatore romano», coloro che hanno creduto alla ve– rità pubblica della Chiesa sino a morire per essa. E, con buona pace di padre Balducci, lo Stato italiano non ci pare un'impresa tanto gloriosa e di così gran suc– cesso da dover chiedere perdono a Dio di quel che s'è fatto con– trastandolo. Ma, alla fine, le mutate vesti dell'onorevole Andreotti rendono omaggio alla qualità politica del personaggio. Aver cercato per primo la via della preferenza al Psi sul Psu in una crisi di go– verno, è stato proprio dare l'oc– chiata assassina, dardeggiare la verità privata con lo sguardo. E' vero che 'la preferenza al Psi sul Psu risuona in tutte le cronache politiche di « Civiltà cattolica ». Ma il personale che doveva por– tarla a termine era un po' com– promesso a sinistra. Adesso è evidente che esiste un personale politico, « caro a tutti », non com– promesso a sinistra, che si pre– para a fare, in nome della demo– crazia, della maggioranza e del buongoverno, la più g;rossa ope– razione politica che sia mai av– venuta in Italia dal fascismo in poi. La sconfitta dorotea I dorotei hanno avuto sempre la fama di essere una corren– te per il potere: un tecnico della questione, Andreotti, si definiva un doroteo di complemento. Eb– bene, gli ultimi dorotei sembra– no voler smentire tale assunto. Infatti, ci hanno dato, caso ben raro, l'esempio di dimissioni di coscienza, di dimissioni dietro cui non si vede, almeno imme– diatamente, e forse nemmeno più in là, un qualche obiettivo poli– tico, un qualche frutto di potere. Perché Piccoli diede le dimissio– ni da segretario del partito, con– sentendo ai fanfaniani di accede– re alla suprema carica? Perché egli con tanta decisione ha pre– sieduto alla spaccatura della cor– rente dorotea? Le ragioni politi– che, le comprendiamo: Piccoli udiva uno scalpiccio a sinistra, sentiva Colombo e Andreotti che, Agosto 1970 il pm silenziosamente possibile, ma senza mostrar dubbi sposta– vano l'asse del gruppo verso le posizioni morotee. Piccoli reagì a questo silenzio– so abbandono della barca, pac– cando la corrente e dimettendosi da segretario del partito. Così aprì la strada a Forlani: quel Forlani con cui sembra quasi es– ser giunto alle mani durante la ullima riunione della direzione dc, prima della crisi. Piccoli si fidava. Si fidava di Fanfani. Il calcolo era semplice e diremmo persino generoso. Se Fanfani assumeva in proprio la segreteria del partito, Fanfani era «snidato» (come diceva Taviani per la destra, quando organizza– va i « pontieri »). Avrebbe dovu– to venir fuori. Sarebbe rinata la grande « Iniziativa democratica» del '54, mettendo al margine Co– lombo e Moro, elementi che le si erano aggregati nell'ora del successo. Si fidava di Fanfani. Uscì fuori del fortilizio ed aspettò all'oriz– zonte il polverone, che annuncia– va l'arrivo dei nostri. Ma il pol– verone non si alzò. Dopo di lui Rumor. La crisi più misteriosa in una età poli– tica in cui tutte le crisi lo sono. Perché Rumor si è dimesso? Il disegno politico era evidentemen– te quello di costringere la Dc a scegliere tra Psi e Psu, o almeno quello di costringere il Psi alla resa a discrezione. Quando Pic– coli si dimise, si dimise gridan– do: o il centro-sinistra o il caos. Quando Rumor si dimise, e non era passato un anno, si dimise facendo capire che quel centro sinistra era il caos. Gli slogan sono contraddittori: e questa è una grande prova di debolezza. Bisogna dire quello che si vuole, per essere una for– za politica: non basta farlo ca– pire a strizzatine d'occhi. Rumor pensava, ovviamente, che uno schieramento di fanfa– niani, tavianei (dimentichi del ponte e dello « snidamento della destra») e dorotei puliti avreb– be, in alleanza con il Psu, co– stretto il Psi alle corde. Anch'egli uscì ed aspettò il pol– verone. Fanfani andò a Reggio Calabria e pronunciò un discor– so agrodolce verso Andreotti. Da Reggio si alzò il polverone, ma non fu quello di Fanfani, Fan– fani non fece altri discorsi. E nel silenzio del leader, che aveva e– spresso propositi minacciosi, ma sibillini, durante la campagna e– lettorale, arringando il paese dal Casentino e dal'ia valle della Pe– scaia, Forlani e Arnaud organiz– zarono la grande alleanza dei fan– faniani con Andreotti e Colombo mentre le sinistre, da Moro i~ là, consentivano. Cosa faranno ora Run1or e Pic– coli? Continueranno a dimettersi en attendant Godot? Faranno I' interpartito con il Psu? O si ricorderanno che fu proprio Pic– coli, prima della campagna elet– torale politica del '68, a fare le prime scoperte avance ai comu– nisti, in funzione anti-tavianea? La politica italiana è misterio– sa per i non addetti ai lavori: talvolta pensiamo che lo sia an– che per loro.

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