Il piccolo Hans - anno IX - n. 33 - gennaio-marzo 1982
«per una vita di notti lunari», per il Regno Millenario promesso dall'alchemia, per il mondo trasfigurato in in candescenza mineraria («boscaglie inondate d'argento, ge lo scricchiante e buie acque dorate...»). In Agatha, le «fi nestre» sono organiche, poco cristalline. La prima, quella dell'infanzia, tenta di catturare - un movimento liquido, una curva del fiume, lenta e materna. Un'altra, «accesa» nelle . prime righe del testo, inquadra il perfetto vuoto del pre sente: «una finestra lascia passare la luce invernale. Si sente il rumore del mare. La luce è nebbiosa e cupa». Di finestre, Marguerite Duras ne ha fotografate diverse, che ama dare poi alla pagina e allo sguardo, senza com mento 1 • Ma a che cosa sono sensibili tutte queste finestre opalescenti, queste superfici emulsionate? Non incornicia no alcun orizzonte, alcun regno. Sono pura cornice, strut tura, «passe-partout» montato attorno ad un acquerello irreparabilmente diluito, attorno ad una laguna della vista e della memoria, una lacuna dell'essere. Il loro bagliore latteo metaforizza, così mi appare, il vuoto che, nei roman zi e nei film di Duras, divora il presente dei protagonisti (e che da anni ormai trascina i cultori durassiani nella fascinazione incondizionata mentre arrocca gli altri in una perplessa diffidenza). La novità forse di Agatha (e Duras in privato insiste sul significato chiave del suo ultimo testo) è che la visione finale - «finestra» o miraggio di parole - non ha la fissità patologica che invece secerne fino alla fine l'economia libidinale di Lol V. Stein. All'ultima «finestra» di Agatha corrisponde uno sguardo non paralizzato ma contempla tivo (Agatha sta per partire, forse partirà), che dà forma al vuoto, al «rapimento». Tra le due figure di Lol V. Stein e Agatha (attorno alle quali altri personaggi femminili si articolano) c'è una figurazione, non saprei se per maturazione di Agatha o per degenerazione di Lai. Sembra che Lai, l'affascinante, 44
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