Nuova Repubblica - anno V - n. 31 - 4 agosto 1957

6 LA RIVOLTA UNGHERESE SilRTRE ILSICIJILISMO di GIULIO CHIARUGI I L VOLUME di Mondadori dedicato agli avvenimenti ungheresi (J. P. Sartre ed altri • La rivolta unghe• •rese, Milano, Mondadori, · 1957) avrà certamente - per i mezzi cospicui dell'editore e la veste da romanzo di grande tiratura con una bandiera strappata che fa bella mostra in copertina - una diffusione molt più ampia di quals~asi altra pubblicazione sull'argomento. Per questo è stata un'ottima idea quella di tradurre gli articoli sartriani apparsi su Temps Modernes nel gennaio scorso, tanto più che fino ad ora al grosso pub– blico italiano.erano state riservate, con pochissime ecce– zioni, solo le versioni più conformiste passi.bili. Stalini~– ne o [orcaiole che fossero, si suffragavano a vicenda col classico argomento del contrario. Ben venga Sartre a schizzare l'acido della sua dialet– tica corrosiva sui cervelli sonnacchiosi degli italiani as– suefatti aJla droga «borghese>) dei Gentile e dei Mattei o a quella «proletaria» degli Ingrao e degli Alleata. Espres– sioni come queste: « i proiettili (dei carri sovietici), gui– dati dal processo storico, sceglievano i fascisti e colpi– vano soltanto loro», o, più avanti, « il dovere del mili– tante (comunista) è di diffondere le pie menzogne: te– nerle sulla lingua come un'ostia e poi rifilarle ipocrita– mente al vicino», sono gemme caratteristiche deì suo stile e rilasciano al suo pensiero politico il passaporto rosa per raggiungere gli « apolitici » che lii ;,iccano di tenersi al passo coi tempi. Dopo avergliene dato atto, interessa di più Ja sostanza del suo ragionamento, imperniato sul]a dimostrazione del carattere democratico e proletari.o della rivolta, che sol– tanto «l'autodistruzipne del Partito comunista» costringe– va a ripiegare su un programma politico e sociale « ne– gativo>>, sino alla tragedia finale. Se il PC si fosse dimo– strato capace, come lo fu in Polonia, non diciamo di di– rigere gli avvenimenti, ma almeno di tenersi al passo con loro, le cose sarebbero andate assai diversameflte. Ciò no– nostante - e nonostante si fosse riusciti con uno sforzo terribile a colmare il vuoto lasciato dai vertici comunisti e legare in una solidarietà rivoluzionaria di base il risorto pluripartitismo che rischiava di dar luogo ad una restau– razione formaJistica - l'intervento sovietico si produsse ugualmente. Perchè? Perchè sarebbe accaduto così anche in Polonia se il PC avesse dimostrato solo per un istante di non con– trollare la situazione. Perchè le difficoltà incontrate per In auto e in treno in aereo e in albergo sulle ginocchia, sul tavolo d'un bar, esatta e leggera scriverci la vostra corrispondenza gli appunti di· viaggio i ricordi delle vacanze. Olivetti Lettera 22 I I I I I I I I I \ \ ' ' , ' ;- / ' ' ,,. ,,. ,,. ------ ------- _,,. ' ' \ \ \ I I I I I I I I I I I modello LL lire 4%.000 • ,•·•· -~eì negozi Olivetti ed in quelll Eli macchine per ufficio, eleUro– domasttCi e car1olorle. realizzare « l'accumulazione primitiva» del capitale ne– cessario all'industrializzazione avevano posto da tempo l'Unione Sovietica in una condizione di estremo disagio verso qualsiasi movimento a carattere intrinsecamente socialista, che fosse volto alla rivendicazione diretta del potere e alla tutela immediata di interessi operai o con– tadini. Gli interessi a lunga scadenza dell'edificazione so– cialista erano entrati sin dall'inizio in contraddizione con gli interessi immediati del proletariato, tanto che que– st'ultimo, logorato e numericamente insufficiente, era sta– to immediatamente esautorato dal «piano,. e dalla bu– rocrazia incaricata di attuarlo e Stalin diveniva non tanto il « migliore » - guida necessaria e taumaturgica nella costruzione del socialismo - quanto l'incarnazione asso– luta in un solo individuo, immune da contraddizioni al– l'interno di sè, dell'unità sociale indispensabile alla riuscita del <e piano >1in un paese arretrato e assediato dal mondo. Il guaio è che Sartre, chiestosi se si possa chiamare socialismo e< questo mostro sanguinoso che lacera sè stes– so», risponde « francamente» di sì, perchè di socialismo « non ve n'era un altro, tranne forse nel cielo delle idee platoniche e si doveva voler quello o non volerne nessuno: lo scacco dell'URSS ebbe origine nel '45, dalla sua vitto– ria che la mise in grado di portare la propria egemonia su un gruppo di nazioni straniere». Ripreso contatto col mondo, il socialismo, mostro che adopera la classe operaia e i contadini come cose, stru– menti di produzione - li « reifica » -, entra in crisi Provocato, sempre secondo Sartre, dal piano Marshall, non riesce a risolvere i rapporti coi movimenti operai dei paesi alleati sul piano dell'internazionalismo proletario, e li schiaccia. la repressione ungherese è l'estremo colpo di coda nel!e convulsioni di un sistema che agonizza dal 1945, dall'indomani della grande vittoria. P URTROPPO il socialismo-non socialismo - capitali– smo di stato o come meglio si voglia chiamar1o - a~\r!a già schiacciato da molto prima i movimenti operai dell'Europa occidentale, nelle loro possibilità di iniziativa. E questo proprio perché pretese la qualifica di esempio per quello che non era - socialismo - e trovò molti so– cialisti occidentali che gli accordavano quanto chiedeva, pensando, con Sartre, che « non ve n'era un altro», che non c'era alcun « socialismo» di confronto. Scrisse a suo tempo Pierre Naville (NR, maggio '57): « (secondo Sar– tre) l'inte11ettuale esiste· per giudicare quanto è accaduto e non per indicare ciò che bisogna fare» e « l'idealismo è quasi sempre giustificazionista», dato che per Sartre « l'organizzazione di lotta proletaria non fa altro che per– fezionare la reificazi01t-e dell'uomo iniziata per opera della borghesia )). Non sembrano, a confrontarle con quanto Sartre viene scrivendo, opinioni peregrine: il «socialismo>► staliniano reificava - rendeva cose - gli operai e i contadini peg– gio del capitalismo, ma era l'unico socialismo esistente, quìndi si giustificava proprio in virtù di quel « processo storico)> che lo stesso Sartre ironizza così bene a pro– posito dei proiettili sovietici di Budapest e degli apolo– geti comunisti di Parigi. Se poi, oggi, il sistema produt– tivo che sta poco a poco uscendo dal bozzolo e la massa socialista autonoma della Cina impongono all'URSS di af– frontare per la prima volta problemi realmente e non più nominalmente di carattere socialista - decentramen– to, sburocratizzazione, pluralismo internazionale, dialettica interna, in una parola allargamento di potere - allora è anche possibile associarsi a Sartre per credere con Jui nell'URSS e in una sua funzione socialista nel mondo. Ma intanto, però, ad evitare lo sfacelo prodotto in occi– dente dalla mistificazione sovietica - è socialismo quello che non è e voi ci dovete credere - gli intellettuali-giu– stificatori come Sartre hanno dato un ben modesto con– tributo. Agli altri due saggi del volume, dovuti a Marce} Pé.iu e a François Fejlo. fa seguito una vasta antologia di te– stimonianze dirette sulla situazione prima e durante la rivoluzione. ricca di materiale tanto politico· che let– terario. Il Pé.1u e il Feito, dal canto loro, presentano due saggi - il primo dedicato prevalentemente alla storia so– vietica. alla destalinizzazione e alla posizione in merito dei comunisti francesi e il secondo, definito proudhoniano da Sartre, sugli insegnamenti teorici della rivolta unghe– rese - che sono senz'altra meno brillanti, ma forse più sostanziosi dello scritto più celebre che 1i precede. Cu– rioso, infine, ma spiegabile il fatto che Togliatti acquisti, sia presso Sartre che presso Péju, alcuni punti a favore. Og'ntino guarda fuori con gli occhi di casa' sua. (174\ nuova repubblica LAMISSIONE MIKOf AN-SUSL (continuaz. da pag. 5) che, durante tutto un giorno ancora, nella fortezza asse– diata dell'Akadémia-Ucca, continuano a comandare GerO e il suo accolito Hegedils, trattando Nagy e Kàdar come subalterni. Poi l'indomani, venerdl 26, GerO e Hegedi.is spariscono. E' stato Mikoyan a farli « sgomberare >t in Russia? Al tavolo della conferenza - mentre la sommos– sa infuria in tutto il paese e nascono nuove 'autorità ri– voluzionarie - Nagy e Kàdar ·occupano i posti rimasti vuoti. Appare sempre più evidente .che per sedare la rivolta, i russi debbono fare delle concessioni importanti. Ma fino a che limite? Mikoyan e Suslov lasciano Budapest nella giornata del 26, per chieder consiglio al Kremlino. Che accade a Mo– sca? Oggi 1o sappiamo: sì prepara la crisi che scoppierà nel giugno del '57. Le divergenze si approfondiscono, i e liberali » e i «duri» si accusano scambievolmente di essere stati la causa dell'accaduto. Gli uni rimpiangono di certo di non aver seguìto sin da giugno i consigli di Tito: silurare non solo « quell'imbecille di Rakosi », ma anche GerO « che non vale affatto di più». Sarà Krusciov a ma– nifestare questo rimpianto il 14 luglio '57, a Praga. Gli altri avranno deplorato, senza dubbio, l'allentamento di redini sul collo degli ungheresi dopo il xx· Congresso. Come in altri tempi alla Hofburg di Vienna, anche al Kremlino ci si è sempre fidati poco degli ungheresi, schiat– ta di ribelli. Per il futuro, occorreva prevedere tutte e due le eventualità: accordo o nuovo intervento. E' a que– sto punto che si colloca un tentativo di mediazione polac– ca, poco noto fino a oggi. Il 29 ottobre Mikoyan ricompariva a Budapest, per conferire con un inviato di Gomulka, il vice-ministro del– la difesa· Naszkowski, e con un rappresentante del co– mitato centrale ungherese, Szatarevich. Pare che Nasz– kowski sostenga Nagy e il suo programma di democratiz– zazione: preme su Mikoyan perchè accetti lo sgombero delle truppe sovietiche. Lo spirito conciliativo sembra prevalere anche al Kremlino. Il 29 ottobre, durante un ricevimento, il maresciallo Zukov parla di Nagy con sim– patia. Approva perfino la formazion_e della milizia ope,. raia. Non pare quindi che l'esercito sia orientato pregiu– zialmente verso la repressione. Il 30 Radio Mosca comu– nica: « Il popolo lavoratore d'Ungheria è schierato dietro a Nagy e sostiene il suo programma ». Lo stesso giorno il Praesidium approva una delibera dove si promette la ri– parazione degli errori commessi verso i satelliti: è la nuo– va carta del Commonwealth socialista! Mikoyan parla a lungo con un ministro del governo Nagy, sembra cedere su tutti i punti: evacuazione delle truppe e sistema pluri– partitico. Ma già si segnala dalla frontiera orientale l'en– trata di unità corazzate sovietiche. Misur? di precau– zione in vista dei negoziati che si apriranno? Preparazio– ne del dispositivo per un nuovo intervento? Il fatto ri– mane enigmatico anch~ dopo l'inchiesta dell'ONU. Il 31 ottobre Mikoyan e Suslov proseguono i negoziati con Nagy, Kàdar, Mi.innich e Tildy. I sovietici sembrano disposti al ritiro di tutte le truppe che si trovano in Un– gheria, in deroga dalle clausole del trattato di Varsavia. Ma il comitato rivoluzionario di difesa, diretto da Malé– ter e da Kiràly, che controlla sia le forze armate insurre– zionali sia i consigli operai e i comitati rivoluzionari civili, spinge il governo Nagy a irrigidirsi, a denunciare il patto di~ Varsavia, a proclamare la neutralità. E' questo, in modo incontestabile, il punto di rot.tura. L'intransigenza degli insorti ristabilisce l'unità del Krem– lino. Il fatto che il partito comunista abbia praticamente cessato di esistere, contribuisce a precipitare la decisione. Il 1 novembre, in una intervista a un quotidiano di Ro– ma, Kàdar proclama ancora la sua fiducia nel « comuni– smo nazionale ungherese >). C-i crede davvero? La sera stessa viene convocato all'ambasciata sovietica, da dove esce sconvolto. Ha capito. Due •giorni dopo abbandonerà Nagy. D'altronde, sin dalla sera del 1 novembre Radio Mosca ha cambiato tono: parla di « marea contro-rivolu– zionaria » per preparare l'opinione pubblica al voltafaccia. La missione Mikoyan-SusJov è finita così; nella notte dal 3 al 4 novembre il capo della sicurezza sovietica, ge– nerale Serov, interrompe bruscamente i negoziati che il generale Malinin conduceva con Maléter. « Scortato da ufficiali sovietici, egli dichiara di esser venuto ad arre– stare la delegazione ungherese. Sorpreso dall'interruzione, il generale Malinin, capo della delegazione sovietica, fa un gesto di Sdegno. Allora il generale Serov gli dice qual– che parola all'orecchio, a seguito della quale il generale Malinin alza le spalle e ordina alla delegazione sovietica di lasciare la stanza. Subito dopo i delegati ungheresi sono tratti in arresto». Questa testimonianza, che figura a pagina 134 del r volume è molto indicativa sui rap– porti tra esercito e polizia sovietici. Quanto al secondo– intervento, non si tratterà che di una operazione di poli– zia condotta a termine dall'esercito. nuo\)a repubblica AB80NAMEl\TI : Annuo Semestrale T1·imestrale L. 1"i00 " l:!00 450

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