Nuova Repubblica - anno V - n. 11 - 17 marzo 1957

(154) n111m1 rep11bblica - Compagno Saragat, cosa fa-i? (Di~. di Dino Jfouhi) - Condiziono la DC da sinist-ra SETTE GIORNI NEL MONDO I DITTATURA ENAZIONALISMO N OI NON ABBIAMO mai ritenuto che la crisi del Medio Oriente potesse risolversi facilmente con l'integrale applicazione di .alcuni principi astratti, come il rispetto della sovranità egiziana, il ritorno del Cana1e di Suez ai suol legittimi possessori e via discor– rendo. Infatti, è vero che oggi si debbono scontare i"n questa zona quasi tre quarti di secolo d'imperialismo inglese, dal bombardamento di Alessandria d'Egitto del 1882, cui si è aggiunta, dopo la prima guerra mondiale, l'azione francese, e, dopo la seconda, quella sovietica e ameri– cana; ma è altresì vero che il moto d'emancipazione dei popoli di queste zone non ha sempre seguito Ja via clas– sica dell'indipendenza nazionale nella libertà politica, che abbiamo conosciuto durante il nostro Risorgimento e che è propria del nazionalismo europeo del secolo scorso, ma vie assai più complesse, che non sempre meritano il rispetto che va tributato ai movimenti democratici di emancipazione nazionale. Quando un uomo di sinistra contempla i fatti egi– ziani, si trova sempre in preda a un profondo contra– sto di coscienza. Nasser rivendica l'indipendenza del suo popolo contro le grandi potenze occidentali, C'he lo hanno tenuto per tanto tempo in soggezione: dunque Nasser ha ragione. Ma Nasser è anche il capo di una dittatllra militare, la quale sfrutta l'avversione contrq_ lo sfruttamento straniero ed eccita all'odio di razza contro lsraele per tenere in soggezione il popolo egi– ziano e aprire la strada ad un'espansione imperiali– stica egiziana, dal Mediterraneo all'Oceano Indiano: dun– que Nasser ha torto. , I te.rm- ini del problema egiziano sono dunque in par– tenza. termini contraddittori poiché, nel momento stes– so in cui viene posta l'istanza dell'indipendenza nazio– nale egiziana, viene pure posta l'istanZa contrastante della soppressione della libertà politica interna, che prelude alla negazione de1l'indipendenza di altri paesi, non appena la dittatura egiziana - che non è meglio deHe altre dittature - abbia la forza, di espandersi ol- tre i propri confini. .,, Non riteniamo che si possa far prevalere un ele– mentq su1l'altro e affermare, come si è spesso fatto negli ambienti de1la sinistra italiana, che le condizioni di sviluppo economico dell'Egitto non permettevano nessuna altra via e imponevano agli egiziani di conqui– stare l'indipendenza nazionale per mezzo di strumenti totalitari interni, sui quali conviene chiudere tempo– raneamente un occhio, magari deplorandone la neces– sità. Non è vero, almeno nel caso dell'Egitto, che la via dell'indipendenza passi necessariàmente per la dit– tatura. Anzi, nel caso dell'Egitto, la dittatura si giu– stificava forse meno che in qualunque altro caso analogo. L'India ha raggiunto l'indipendenza nazionale me– diante la democrazia e rimanendo democratica dopo la creazione della repubblica indiana; la Tunisia lo stesso; la Birmania lo stesso; Ceylon lo stesso; l'Indonesia, no– nostant~ il conflitto di nazionalità all'interno della Fe– derazione indonesiana, nonostante i gravi problemi economici, si sforza di mantenere un regime democra– tico interno. Eppure, nessuno di ·q'uesti paesi, neppure l'India,' si trovava in condizioni Più adatte dell'EgittÒ a mantenere la democrazia. Neppure l'India' stava meglio dell'Egitto, benchè avesse una tradizione politica incarnata da uomini quali Gandhi e Nehru; in compenso essa aveva una situa– zione economica assai più pesante di quella egiziana e problemi di raPporti interni fra nazionalità di varie origini e condizioni sociali (per non parlare delle ca– ste), Che farebbero impalJidire qualsiasi colonnello egiziano. Perciò, se l'Egitto è una dittatura, vuol dire che nel moto d'indipendenza egiziano c'è qualcosa di marcio, che rischia di 4._~re imputridire tutto quello che a questo moto si accosf5;'-'::finchè non se ne siano isolate le cause. Le cause - o meglio, la causa di questo marciume - non bisogna ricercarle in ragioni recondite connesse alle condizioni in cui l'Egitto ha raggiunto l'indipen– denza. L'indipendenza, con la dittatura, non c'entra per niente.· E' la dittatura che si serve del moto d'indipendenza per realizzare - o meglio· per mascherare - i suoi scopi. Non è il moto d'indipendenza che ha bisogno del– la dittatura per realizzare i suoi. La dittatura, connessa al moto d'indipendenza na– zionale, rischia di far degenerare ques'to moto in na:Zio– nalismo spurio, in razzismo e in imperialismo aggres– sivo. Se ciò finora non è accaduto, non è stato perché ma,ncassero le intenzioni di farlo accadere, ma solo perché sono mancate le forze' materiali, economiche e militari, perchè Nasser, da dittatore, si trasformasse in conquistatore. Quando si valutano gli avvenimenti di questi ultimi mesi nel Medio Oriente - nazionalizzazione del Canale di Suez, difesa contro l'aggressione anglo-francese e contro l'azione militare israeliana, incidenti orchestrati a Gaza contro le forze delle Nazioni Unite, ecc. - biso– gna sempre tenere presenti questi elementi contrad– dittori. Il ritorno del canale all'Egitto, la difesa contro l'azione di forza, rientrano nel moto d'indipendenza; la coalizione araba capeggiata da Nasser contro Israele, le bande terroriste anti-israeliane di fedayun organiz– zate da Nasser nella striscia di Gaza, i cannoni piaz– zati all'ingresso del golfo di Aqaba per impedire l'ac– cesso al porto israeliano sul Mar Rosso, l'opposizione a qualunque garanzia seria della libertà di transito sul Canale per le navi di tutti i paesi, gl'ilicidenti r~– centi a Gaza rientrano invece nei metodi classici di qualsiasi dittatura, che è sempre portata a risolvere i problemi con l'intrigo o con la violenza. La dittatura di Nasser non deve servire da pretesto al· trionfo dégl'interessi delle grandi potenze del Medio Oriente; ma l'imperialismo straniero non deve permette– re a questa dittatura di giustificare tutte le sue malefatte. Le manovre imperialistiche straniere nel Medio Oriente e le malefatte del dittatore egiziano costituiscono congiun– tamente un pericolo per la pace: non è consentito di di– struggerle arbitrariamente senza creare il sospetto di dissimulare in tal modo scopi che non hanno nulla a che vedere né con l'indipendenza, né con la libertà interna del popolo egiziano. Ùn socialista deve sempre sapere dissipare le cortine fumogene dietro le quali si masche– rano abilmente gl'interessi che mirano allo sfruttamento dei popoli e al loro asservimento. rAOLO VITTORELLI. 5 I.. LE'r'l'EUA ))A NEW YOUK I SI DEClllER IN CALJFORNIA d . J, MINO V/ANELLO .EISENHOWER non può· essere rieletto nel Hì60. ~ Il XXJ I Emendamento lo vieta. E' vero che ,si• , è manifestata in questi giorni una tendenza fa– vore\ole all'abrogazione di quella disposizione costitu– zionale (tendenza nata naturalmente in ambienti repub– blicani, approvata dallo stesso Eisenhower, e basata sulla considerazione che i poteri effettivi del Presidente dimi– nuiscono quando l'opposizione e il suo stesso partito sap– .piano che egli non sarà più in lizza per le prossime elezioni, e sul convincimento che può essere pericoloso costringere a un ·mutamento nell'Esecutivo, magari con– tro la volontà del popolo, perchè la continuità è la mi– glior garanzia nei momenti difficili), ma non pare che abbia molte possibilità di tradursi in real_tà, data la su– premazia democratica nelle due Camere. Dunque, la campagna del 1960 è diventata il centi·o motore delle attività personali di numerosi uomini poli– tici, che vi cercano la nomina a candidato presidenziale. Lasciando da parte per il momento il partito demo– cratico, attualmente sfornito di un leader (il più in vista .vi resta l'abilissimo Lyndon Johnson del Texas, capo dall'attuale maggioranza al Senato) possiamo fin d'ora seguire quello che avviene nel,_partito repubbli– cano, cioè il duello tra Nixon e Knowland per la nomina a candidati del Partito alle elezioni presidenziali del 1960. Àmbedue della California, Nixon è il favorito. Le in– tenzioni di Knowland divennero improvvisamente chiare, quando egli dichiarò che non avrebbe cercato di farsi rieleggere senatore nelle elezioni del mese scOrso, la– sciando intendere che vuole così raccogliere le sue forze per tentare d'essere eletto alla Casa Bianca. Restando al Senato, avrebbe avuto sempre davanti a sè la massiccia figura di Nixon, mentre fuori può mirare a diventare governatore della California nel 1958, impadronendpsi in tal modo della macchina del partito colà, e presentandosi quindi come magna pars nella convention del 1960, da cui deve sortire il candidato alla presidenza. Nixon è giovane, ha abbandonato l'atteggiamento apertamente reazionario• dei primi anni e ~i è messo sulla scia di Eisenhower, il quale, a sua volta, è sulla traccia del New-Deal: è, quindi, probabile che riesca a guada– gnarsi le simpatie di molti liberali delusi del partito de– mocratico; e ha dimostrato la sua abilità, soprattutto jn missioni di politica estera, guadagnandosi la stima di Eisenhower. Ha, però, contro di sè la storia: infatti, è dal 1836 che un Vice-presidente non è eletto alla Presidenza. Knowland, di 4 anni più vecchio di Nixon (ne ha in– fatti 48), è uomo largamente esperto in. questioni inter– nazionali, abile nelle manovre parlamentari, e rappre– senta l'ala conservatr\ce del Partito, quella che faceva capo a Taft. Prima di lasciare il Senato, egli ha tentato il primo colpo. Come ho già detto in NR del 27 gennaio, l'art. 22 dello Statuto del Senato, che impone che i 2/3 dei ~ena– tori (cioè 64) siano presenti. per chiudere un dibattito, e che nessuna limitazione possa essere posta al dibattito concernente una modificazione dello Statuto stesso - articolo che è quindi il caposaldo sudista contro la legi– slazione sui diritti civili - è stato mantenuto, nonostante un. attacco dei liberali democratici del Nord, battuti per 55 a 38. Knowland propose inaspettatamente di modifi– care l'articolo nel senso che bastino 2/3 dei presenti in aula per chiudere il dibattito, anche se concernente 1o Statuto stesso. A partè l'adesione veramente inattesa di Johnson, anche lui in cerca d'essere eletto nel 1960, è chiaro che Knowland ha voluto con questo atto mettersi in luce come il •leader del partito repubblicano su uno dei punti più scottanti. F INO a quale punto il senatore Knowland sia nemico di Nixon, e cioè ritenga di poter creare un blocco conser– vatore a suo favore contro le tendenze più liberali del Vice-presidente, è impossibile sapere. Ovviamente, egli potrebbe preferire qualche carica importante, e d3re a Nixon tutta ]a sua influenza, qualora si rendesse conto che egli non ha. possibilità concrete di successo. E' in– fatti chiaro che andandosene dal Senato, egli lascia carta bianca a Nixon~ che saprà certamente trarne profitto per irrobustirsi agli occhi del Partito, grazie alla sua azione di Vice-presidente del Senato, e sostenendo la politica di Eisenhower nel seno delle varie commissioni e altrove. Che Nixon abbia la ferma intenzione di cercare l'ele-· zione a Presidente, è sicuro, perchè l'ha dichiarato lui (segue a pçig. 6, .3:a .col.)

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