Nuova Repubblica - anno V - n. 4 - 27 gennaio 1957

4 abbiano in sé, nella propri3. dinamica, qu~ta tendenza non hanno valore. Ciò si può vedere osservando la lotta per la ridu– zione aen•orario di lavoro a parità di salario. Non è importante - benché sia estremamente indicativo - il fatto che si siano ottenuti dei successi solo dove la ri– chiesta coincideva con una determinata politica della direzione aziendale e delle organizzazioni paternalistiche; si può infatti sostenere che in determinate condizioni di rapporto di forza, è buona politica premere sulla stessa politica padrona.le e sulle stesse organizzazioni che ne dipendono per costringerle a muoversi. Ciò che invece è centrà.1e è il fattò che non si è veri~cata alcuna sostanziale distinzione nell'impostazione· della lotta tra la FIOM e Je altre organizzazioni. I motivi della lotta cioè flon uscivano dal limite di un generieo migliora– mento delle condizioni di vita e di freno alla disoc– cupazione; mentre. è chiaro che se la riduzione d'orario ha un senso, questo senso sta nella decurtazione degli utili e nell'imposizione di una pianificazione aziendale della produzione e distribuzione. E che, sotto questo pro– filo, essa, di per sé, è insuf-ficiente, dato che può tran– quillamente risolversi - come sì risolve spesso - in un puro e semplice aumento salariale corrisposto sotto una forma più clamorosa. 11 sc1lario annuo garantito, un salario a produttività, il controllo d(•lle ore straordi– narie, la contrattazione dei tempi sono dunque al– trettante condizioni non pregiudizi.ali ma strettamente collegale a quella centrale dcll.:i. riduzione d'orario. L'obiezione è facile e riguarda le vossibilità con– crete di ottenimento di queste rivendil:aziuni. Ma se sul piano dei rapporti di forza - e perciò del realismo - il ragionamento è giusto, non altrettanto giusto è nella sua prospettiva più ampia. Che non è cjuella di condi– zionare l'impostazione delìa lotta a ciò che è pos.sibil– mente ottenibile, ma cli dare <1lla lotta fa sua imposta– zione più larga e prÙspettica proprio e specialmente quando si sa che i ri1su.ltati non posson0 essere che li– mitati. Solo in questo modo infatti si impedisce che il risult.lto sia in definitiva eccessivamente limitato, poiché l'azione di pressipne é più vasta: ma anche e in modo particolare che la classe operaia conosca bene e la por~ tata della lotta 'in allo e il quadro di orientamento generale della lotta. Nessuna trnsformazione sociale è stata fatta o.Conla lanterna cieca. Il discorso sulla cl.asse operaip mi permette di con– cludere. Un piano, una prospettiva, non sono un'etichetta che si applichi indifferentemente .. Bisogna che esso cor– risponda alla struttura rlell'organismo che lo deve ap– plicare, che, anzi, sia assorbito e fatto proprio da que– sto organismo perché esso possa tradurlo in azione im- mediata. -, Ora rion c'è bisognù di fa.re dei lunghi discorsi sulla AUTONOMIA E POLITICA SINDACALE ( Tesi programmatiche di UP) ·situazione delle forze sindacali. Se ad un politica che vuole essere una lotta per il potere debbono corrispon– dere strumenti adeguati, bisogna riconoscere che lo strumento sindacale, tutti i sindacati, oggi non lo sono affatto: 1) per la loro subordinazione al partito o ai par– titi, che impedisce loro di avere una prospettiva auto– noma e non mutuata da quella, necessariamente astratta e limitata, del •.partito; questo non riguarda la sola CGIL, anche se le altre organizzazioni si fanno vanto del contrario; 2) per la loro incapacità di unità, che è poi una conseguenza diretta e d~lla subordinazione partitica e della loro struttura accentrata, verticale, autoritaria che non corrisponde più alla situazione; 3) per il distacco tra quadri e base; un distacco che diviene, che é, ben più di quel riflesso condizionato ·della Paura che ·molti credono; e che non si copre con il conteggio dei voti alle CC.II . e delle tessere, poiché é anzitutto una manifestazione di astensione dalla vita sindacale; Un distacco che riguarda tutte le organizza- • zioni sindacali, nessuna eccettuata. Esistono dutque dei profondi problemi che bisogna riso!vere: ed è chiaro che questi problemi superano l'am– bito di una organizzazione e investono, ·addirittura, aldilà della somma delle organizzazioni sindacali, tutto i1 mo– vimento operaio in quanto tale, cioè non soltanto la som– ma delle sue frazioni tes.serate. Questi problemi :sono:· aUtonomia effettiva dell'azione sindacale, unità, partecipazione ·di base. Autonomia co– me condizione dell'unità; é chiaro infatti oggi che il discorso della riunificazione sindacale è impossibile, nei termini di riunificazione ai vertici, per il fatto che esso assumerebbe il valÙre di una grande riunificazione poli– tica che veda insieme il PCI e la DC; e perché esso in sostanza ripropone la unità sindacale nei termini di convivenza a-ideologfca di correnti contrastanti e politi– che, quale era la CGIL prima della scissione. Ora è chiaro che la formula ciellenista che teneva insieme la .CGIL allora, è tramontata; non solo, m·a che 1a esistenza di un sindacato per correnti politiche mette l'organizzazione LA CONGIUNTURAECONOMICAIN ITALIA -~ TEMPO DI SCELTA Il S UL FENOMENO della disoccupazione si scrive assai poco in Italia, e molti giornali fanno finta di dimen– ticare Je ragioni per le quali nacque lo schema .Vanoni. I giornali confindustriali dicono ad esempio che lo schema è già in attuazione, perché il reddito au– menta nella pn:Wi!:ita misura del 5 per cento, perché ]'industria e l'agl'icoltl.:.ra manifestano gli incrementi pre– visti nella loro prodnzione, ecc:. E' invece vero che non si sta attuando un bel niente e che lo schema Vanoni nacque per risolve:·e tre problemi che ancora ci tor– mentano: la disoccupaziòne e la sottoccupazione, lo squi– librio esistente fra -il Nord e il Sud, il disavanzo dell:. bilancia dei paganH'nti. Qual'era l'ipc,tesi base su cui si fondava lo schema? Che il reddito naziona·re crescesse appunto in ragione del 5 per cento. Ecco il p1,mto: l'incremento del reddito dev'essere considerato non come uno scopo fine a se stesso mtt come un mezzo per raggiungere certi risultati. La premessa fondamentale si è verificata: p·erché essa non è statn seguita da quelle che erano considerate nello schema logiche consegu~nze? Che forse lo schema si basa su ipotesi errate, o è forse destinato a restare una bella pensata avulsa dalla realtà economica del paese? Non è ora il caso di addentrarsi in una discussione teo- 1·ica per chiarire se si' possa parlare di piani in una eco– nomia di mercato (andrebbe poi visto come possa essere definita schematicamente la nostra struttura economica che qualcuno ha definito di «plutocrazia))): ci interessa ora di rilevare che negli ultimi anni, di fronte all'au– mento del reddito nazionale, della produzione in tutti i campi, dei redditi delle grandi società si è verificato un preoccupante consolidamento del livello della disoccu– pazione e della sottoccupaziorÌe. Questa divergenza si è fatta particolarmente sentire in quei settori produttivi notoriamente dominati dai gruppi monopolistici. La cosa è già indicativa ma lo di– viene ancor più se si cerca di approfondire l'indagine e di confortarla con deJJe cifre. La FIAT, la Manteca– .Uni, l'Italcementi hanno più che raddoppiato la produ- zione fra il '48 e il '54, aumentando invece l'occupazione per cifre che oscillano intorno a poche centinaia di unità lavorative (notevole il caso della Montecatini che sembra abbia addirittura ridotte) i suoi effettivi). Le cifre non vogliono dimostrare che queste industrie stanno conseguendo profitti iperbolici (perché si potrebbe obiet– tare - anche se è stato dimostrato che non è comple– tamente vero - che li hanno conseguiti attraverso con– siderevoli aumenti dei capitali fissi), vogliono soltanto aiutarci a trarre una conclusione di per sé àssai ovvia: l'attuale struttura dell'economia italiana, se può da una parte consentire anche un rispettabile aumento della produzion•e e quindi del reddito nazionale, è tuttavia incapace di risolvere il problema della disoccupazione. Questo significa che, se si vuole veramente attuare lo schema .Vanoni, biso~na trasformare ·1e strutture della nostra economia, e prima di tutto limitare lo strapotere delle industrie monopolistiche il cui scopo è soltanto di diminuire il più possibile il costo unitario, perseguendo magari una politica in pieno contrasto con quella voluta dallo schema Vanoni, che affermava: « è evidente che un sistema economico come quello italiano deve ricercare un equilibrio fra intensità d'impiego del capitale e in– tensità d'impiego della mano d'opera che tenga conto della rispettiva scarsità ed abbondanza dei due fattori nel nostro paese ». . E' il caso d~ dire perciò, a tutti coloro che dicono di volere attuare il piano Vanoni, che bisogna scegliere: o si è con i monopoli ed allora nòn si attua lo schema o altrimenti bisogna avere il coraggiQ di inimicarsi i pa– droni del vapore. Non si può essere con gli uni e voler realizzare lo schema: le soluzioni sono alternative. Su questa scelta dovrebbero essere chiamati tutti i partiti ed in special modo la DC, la quale troppo spesso urla dalla finestra che il piano. Vanoni le sta a cuore, mentre poi dalla porta fa uscire i propri parlamentari pronti e solleciti ad appoggiare qualsiasi proposta che costituisca un rafforzamento dell'attuale regime econo– mico italiano. PIERO BARUCCI (147) nuova repubblica, nelle condizioni di subire continuamente i contraccolpi delle situazioni politiche. L'autonomia effettiva è dun– que un~ condizione dell'unità. L'unità, si é detto, é un fatto di base. Ma in quale senso? Io vivo abbastan.za la vita di fabbrica e di C.I. per sape1:e che alla base, nella C.I., non si presentano problerrii qualitativamente difformi da quelli ai vertici. L'unità di C.I. é un compromesso continuo, faticoso, pa– ralizzante, anche se più facile per la limitatezza della condizione e per la pressione operaia diretta. Non è dunque questo 'il senso del « fatto di base>>. Ed é anche chiaro che, ammesso che fosse vero il contrario, ciò non crea automaticamente le condizioni della partecipa– zione attiva della classe operaia, il suo impegno nella vita sindacale come impegno ad una lotta rivoluzionaria. Il problema è dunque sì di base, ma è problema della unità della classe operaia in quanto tale, cioé di tutta la classe operaia nella fabbrica; e di unità come aspetto dell'es\:!rcizio del potere da parte della classe operaia,, della piena facoltà di decisione nelle mani della classe operaia. Qui sta il problema. Le grandi strutturazioni verticali di categoria e la loro somma organizzativa sono progressivamente paralizzate - e non parlo qua della sola CGIL - perché, anzitutto, non possono più- ri– spondere elasticamente alla complessità di situazioni e di problemi che si presentano nella fabbrica. Non si tratta di discutere in termini di abolizione; ma è chiaro che quando si parla di lotta aziendale, di aziendalizza– zione della lotta sindacale, e insieme si rafforzano le organizzazioni verticali di categoria, si incorre in una contraddizione profonda. Come può l'organizzazione di categoria rispecchiare la situazione non solo aziendale, ma zon-ale; cioè quella sitU:azione sul piano della quale specialmente - spesso unicamente - si verificano i pro– blemi comuni dei gruppi operai di categorie diverse, legati però dalla stessa economia e dallo stesso, quadro sociale? Come può perèiò l'organizzazione verticale trova– re la capacità di sanare la frattura tra gruppi operai, frattura che si produce sul terreno locale molto prima che su quello nazionale? Ma, specialmente, é chiaro che le grandi organiz– zazioni verticali gestiscono il potere per conto della, classe operaia e che questa gestione rigida, accentrata, non può conispondere al senso profondo della aziendaliz– zazione: cioè al decentramento delle decisioni, alla· arti-. colazione della lotta - e perciò dei gruppi operai, della classe opei·aia che questa lotta deve condurre - non tanto per .aziende, ma per situazioni zonali, sul filo della loro delicata complessità. Il problema dell'adesione é dunque un problema di potere. Il problema dell'unità é un problema di potere. Il problema dell'autonomia effettiva - non formale - é un problema di potere. Quando alla Olivetti abbiamo proposto la formazione di un Consiglio di Fabbrica - proposto male, insufficientemente - per un'inadeguata comprensrnne degli aspetti rivoluzionari della nostra stessa· proposta -, nessuno ha osato rispondere che si trattasse di propaganda; qualcuno non ha risposto. Per– ché nessuno poteva in realtà negare che la formazione di un Consiglio d1 delegati eletti liberamente e diretta– mente dalla massa operaia risolve il pro 0 blema del p0tere, ne pon~ le condizioni e pone le condizioni per il rove– sciamento delle strutture autoritarie ed accentrate delle organizzazioni sindacali. Il problema é dunque di. rove::jciamento delle str.ut – ture sindacali; il Consiglio di Fabbrica, emanazione di..– retta della classe operaia - quel Consiglio per cui si battono operai ungheresi e polacchi - è il nucleo di una struttura diversa. Non si tratta evidentemente di un'attuazione Pura e semplice, ma di una lotta. Ma é chiaro che solo il Consiglio, solo l'Assemblea locale dei Consigli possono risolvere il problema. In altri termini - e con un'impostazione moderna - bisogna tornare all'autonomia delle Camere del Lavoro, quell'autono– mia che fiorì in uno dei periodi migliori del movimento operaio italiano. E' un problema che richiede la fiducia profonda e la espressione in termini concreti di questa fiducia nel movimento operaio. Bisogna cioé decidere se crediamo, nella capacità rivoluzionaria del movimento operaio, in questo momento, non nei miti lontani; o se invece riteniamo che solo la delicata escatologia mitologica ga– rantisca questa capacità, attualmente perduta. Mi pare che questa capacità esista; che la crisi stessa lo dimo– stri. E che, se nessuno vorrà riconoscerla nei suoi ter– mini reali, la classe operaia, attraverso le sue avan– guardie rivoluzionarie, si riprenderà il s,uo potere. GIUSEPPE TAGLIAZUCCIII 11111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 ABBONATEVI, FATE ABBONARE A nuo~a repubblica 1.500 (annuo) 800 (semestrale) 450 (trimestrale) 1111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111~1111111111111111111111111111111

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