Nuova Repubblica - anno II - n. 9 - 5 maggio 1954

4 I ITALIA, oggi CONGRESSINO AF RENZE I L Congresso del PRI, a Firenze, avrebbe potuto elevarsi, in qualche momento. a una tensione dram– matica. Era, dopo il 7 giugno, il pri– mo congresso di partito in Italia. C'era luogo a tutti gli esami di coscienza, a tutte le recriminazioni, i pentimenti, i dirottamenti, c'era possibilità per lo meno di una autocritica serrata. Per non dire che esistono sul tappeto problemi nazionali, sui quali sarebbe singolare che anche i repubblicani non avessero opinioni. Si dica, se non la CED (intorno alla quale questi uo– mini di antica fede e di sicura infor– mazione sono tranquillamente in pace con se stessi), almeno la questione del– la formula per una futura legge elet– torale. Abbiamo l'impressione, invece, che la dialettica congressuale sia stata di una esilità che rasentava l'inconsistenza. Di che si trattava, a volerne con– cisamente definire i termini? li PRI, come altri partiti che si ri– spettano, è uscito dimezzato il 7 giu– gno. :B ingrato, ma necessario ricorda– re che questa dimidiazione del 1953 se– gue ad un'altra riduzione della stessa imponenza, avvenuta nel 1948 rispetto al 1946. Declino sicuro, apparentemen– te inarrestabile. Di fatto, siamo per– suasi pure noi che un ritardo al to– tale disfacimento esiste in quel fatto di costume, per il quale la fede dei mazziniani si trasmette di generazione in generazione, malgrado che il vento impetuoso di nuove ideologie e di nuo– ve vicende socialmente determinanti raggiunga anche le regioni privilegia– te, in cui i repubblicani continuano a reclutare le loro leve più giovani. Il PRI non terminerà dunque i suoi giorni, in clima democratico, d'un tratto; non si scioglierà, vogliam dire, per una di quelle crisi violente e sussultorie, che spezzarono anni sono il partito d'azio– ne. Qui il deperimento è cronico, ma ancora lento. L'importanza nazionale, s'intende, è esigua lo stesso: potrebbe essere ironico insistervi. 11. vero tema del Congresso era pro– prio questo: come porre rimedio a questo deperimento, come individuarne le ragioni; e non si pretende che si risalisse ai motivi storici di esso: ba– stano i motivi prossimi. quelli che ri– guardano la politica del partito dal 1948 al 1953. Ora, è singolare che. mentre la re– lazione or_ganizzativa dice chiaro che la Segreteria ciel Partito è ben consa– pevole di non essere per nulla alla radice del disastro del 7 giu1tno. la re1azione politica conferma che si è fatto bene a stare nel _governo per tutti quegli anni, che si è fatto bene a votare la famosa legge magp:iorita.– ria, e che se ora si sta fuori del governo è sia per cacciare dal partito la malafama di ambizione, sia per dar– gli un po' di respiro or_ganizzativo e cercare di tornare a farsi ricono~cere tra la gente. Che oroprio non vi fosse nulla da ridire alla lunga condotta di questi anni passati? Che proprio le ragioni individuate da Salvemini. e cioè la supina adeguazione alla ooliti– ca democristiana in Italia, non abbiano contribuito per nulla alla disitrazia del 7 giugno? Il dubbio non sfiora nep– pure la relazione dell'avvocato Reale. Tutto è stato fatto bene, e se i ri– sultati non hanno corrisposto ai desi– deri, cii\ è dovuto alla legge storica e morale ben nota. per la quale, trOPPO spesso, i giusti non sono riconosciuti in terra. e le canaglie diventano. in– vece, onorati e potenti. A questo pun– to, un po' di timor di Dio non gua– sterebbe: si sarebbe dovuto conci ude– re che il Signore non dimenticherà, nell'altra vita, i suoi fi!!li giasti e buoni: i fili/i magfiioritari. Al Con!lresso è apparso che la posi- • zione di Reale lasciava lievemente per– plessi. C'era chi non osava sottoscri– vere in tutta innocenza· questo acriti– co verdetto di assoluzione del passato; c'era invece chi non solo lo condivi– deva, ma pensava in cuor suo che si dovrebbero superare i ritegni, che di– vidono ogJ(i i repubblicani dai di– retti compiti ministeriali del passato quinquennio. Ovviamente, questa ul– tima deduzione non veniva dichiarata in tutte lettere, perché non sarebbe troppo serio che . il PRI, coo la sua debole rappresentanza, avanzosse dei « desiderata >> di potere esecutivo. La convinzione, tuttavia, rimaheva egual– mente nei cuori più arditi. Noi direm– mo anche che i secondi, i ministeria– listi cronici, sanno esattamente quello che vogliono; purtroppo, i primi, in– dubbiamente pili aC:uti, lo sanno assai meno. Intendiamo riferirci all'atteggiamen– to èritico e polemico dell'on. La Malfa. L'on. La Malfa ha recato nel suo ài– scor~o quella coscienza. che lo onora, dei limiti tra democrazia liberale e de– mocrazia diretta. che h:t sempre di– stinto la sua carriera. Ma essa ci è apparsa qui a Firenze stranamente vel– leitaria. La Malfa ha spiegato al Congresso, in modo passabilmente confuso. il pri– mo errore dei repubblicani: quello di aver creduto illusoriamente, per molti anni, che la democrazia si difende dafl'alto. con le riforme e le inizia– tive ministeriali, anziché dal basso. guidando la gente alla richiesta delle riforme stesse, e alla loro difesa. L'ana– lisi si sembra esatta, e non demagogi– ca. Risponde ad esperienze storiche che l'Italia ha già fatto più volte. Per questo motivo. all'inJ?rosso, cad– de nel secolo scorso la destra stori– ca; per lo stesso motivo, Giolitti. che anticipava le riforme rispetto alle ri– chieste socialiste, e i socialisti che non sapevano farne discendere l'esigenza nella classe operaia, sono stati l'uno e gli altri divorati dal fascismo. Per que– sto motivo, la dottrina comunista criti– ca abitualmente il riformismo, consi– derandolo un ao;;oetto formale, giuri– dico. e astratto del progresso politico: una forma di dualismo tra stato e DO· polo. tra Stato e classi. Sulla critica al riformismo si · basa la convinzione comunista che le riforme si fanno dalla classe operaia a I potere; e che non hanrio valore popolare quelle della bor– gesia, intese ad illudere la classe ope– raia, e serbarne più a lun,go lo stato c:ji soggezione. Anche La Malfa si è accorto, nell'anno 1953. che le rifor– me non bastano. se non sono anima dell'anima pop0hre. l-e non si tra,.for– mano in ootere popolare. Che quindi è stato utile. ma inst1fficiente. battersi oer la riforma agraria o per la Cassa del Mezzogiorno. dal momento che l'ansia cli potere delle classi popolari non vi trovava appagamento. essendo venuta meno la mediazione tra _gli ar– diti pionieri della << giustizia sociale». e il soggetto di questa giustizia. il popo– lo italiano. Il mediatore fallito, in par– te almeno. era ed è lo stesso par– tito repubblicano. A\'erlo compreso. I: un merito di La Malfa: il cerveJJ·o senza dubbio migliore in questa egregia famiglia. A questo punto però verrebbe da do– mandar. i che cosa di utile La Mal fa ritenga da farsi, per riprendere il tem– pò perduto. Qui purtroppo dobbiamo dire che l'acuto politico è venuto meno. La !vfalfa ha cercalo infatti di enu– cleare il futuro orientamento del par– tito. dalla sua pre,i,;cnte situ:uione. di collaborazione 1,:-irl::unentare, ma non governativa, al Ministero Scelba. Nel– la non partecipaiiont-. Reale e Pac– ciardi vedoAo solo 1:n·t concessione alla opportunità del momento. Vedo– no il partito come uno dei partiti di _governo. salvo che. oggi, per un mo– tivo tattico più che politico. è da preferire un rinvio a nuovi impegni diretti. T fini del partito restano però identici a quelli del itoverno Scelba. ln questa condizione. la non parteci– pazione è Joµ-icamente identica alla par– tecipazione. La Malfa si è reso conto invece che la non partecipazione è 110a figura logica e politica diversa. Essa non è una espressione equivalentP alla Partecipazione. per raso e per hreve tempo difforme. Nella partecipa·,ione, J!iacciono altre alternative per il (11. turo. Impegnare tutte le possibilità della non partecipazione in opere e azioni identiche a quelle che la coali– zione governativa compie per la sua conservazione, senza altre scelte oer il futuro, sarebbe errato e infecondo. L'animo nostro si apriva alla soe– ranza, quando udivamo que~ta analisi seria e serrata delle possibilità del Partito. Ma qui incombeva all'on. La Malfa l'obbligo di fare almeno intrav– vedere al suo pubblico qualcuna delle alqe scelte che egli desidera predispor– re. Ci duole confessarlo, e raccon- NUOVA REPUBBLICA tarlo agli amici. L'on. La Malfa non aveva in mente nessuna altra propo– sta, se non qutlla, del tutto accade– mica. del patto di unità d'azione fra i tre partitini. Fu suo vanto, egli dice. averne parlato sin dal 1951. Al– tri, ad esempio i nostri vecchi amici di S1t1/o 111oder110, di Milano, potreb– bero ben dire che essi vi pensarono sin dal 1948. Di priorità in priorità non si sa dove si potrebbe risalire. li fatto è però che la soluzione della « terza forza » è stata sempre la scap– patoia accademica con la quale i par– titi minori si sono illusi di poter pro– iettare in un futuro benevolo il potere e l'iniziativa che .via via loro mancava. La terza forza è un fatto politico, non organizzativo. Jl rinviare al patto di unità d'azione una iniziativa decisi– va che non si sa determinare in seno a ciascuno dei propri raggruppamenti, è un I ungo e povero sogno mi raco- 1 isticci. L'on. La Malfa vi si è appellato a Firenze. mostrando chiaramente che egli vede benissimo la carenza di alter– native del suo partito, ma che non ha, per suo conto, la capacità di dargliene alcuna. Basterebbe del resto stringere più da vicino il pensiero dell'uomo politico repubblicano. Il problema odierno, in Italia, è quello di allargare la base del– la democrazia: a destra? a sinistra? il cuore cli La Mal/a risponderebbe: a sinistra. Ma a sinistra ci sono i nen– niani : reparto infetto. Che resta allo– ra, all'infuori dei socialdemocratici? Se non che j socialdemocratici hanno un elettorato socialmente affine a quel– lo dei repubblicani : che senso ha che i repubblicani, stringendo anche organizzativamente la loro alleanza c1i socialdemocratici, sperino di attingere qui un allarg.1mento della loro base? E in ultimo: l'on. La Mal fa sa be– nissimo che i socialdemocratici stanno ora tentando loro stessi, dal governo, quella esperienza della conquista del– relett0rato per mezzo di riforme, che i repLJbblicani hanno già consLJmato in precedenza. Qualche cosa, questa espe– rienza, può loro giovare. Non molto, intendiamoci, perché la gente, al ri– formismo di Saragat. ci crede poco; ma, almeno, stima Tremelloni: « fa pagare i ricchi », questo è il giudizio dell'uomo della strada. Proprio in que– sto momento, La Malfa chiede ai so– cialdemocratici cli uscire dal p;ovemo per venire a giocare alla terza forza. coi repubblicani? E si meraviglia che neppure gli rispondano! lcosE DI FRANCIA REGIME "A TESTA DIBUE " Dal nostro corrispondente S I parla spesso dell'instabilità dei governi francesi. È vero che ci sono state, in un recente passato, delle crisi frequenti, e so– vente completamente ingiustificate, perché non solo la linea. politica del nuovo rninistero non tlilferiva da qutdla del predecessore, ma quasi sem/JTe non ne dilferiva,io neppure gli uomini, che si litn.itavano ad un parziale scambio di dicasteri. Ma oggi, cioè da quando le cose vanno male, malissimo, non si J111Ò parlare di instabilità: Pinay ha durato otto mesi e Laniel ha supe– rato anche questo tem,po. Se, per Pinay, poteva aversi l'illUsione di qualcosa di nuovo, sia pure in senso reazionario, con Laniel si è tornati all'im,mobilismo, il più esasperante, mentre l'autorità del governo è al– legramente presa in giro dai suoi stessi amici, mentre in Asia e in Africa tutto va a catafascio e un m.inistro degli Esteri, che nessuno capisce più che cosa voglia e a chi ubbidisca, sta portando la Francia incontro a paurose avventure. Per parecchi mesi si era tollerato Laniel, scelto anzi appunto per La su.a mediocrità ritenuta incapace di una politica' che non fosse di purn attesa. Si aspettava l'elezione presi– denziale del dicembre, e per questo i catastrofici scioperi dell'agosto, coi quali Laniel aveva inaugurato la .sua permanenza a palazzo Matignon, non lo avevano travolto, come avrebbe voluto la logica. Poi abbiamo avuto Laniel come protagonista dell'inde– cente comniedia di Versailles, che avrebbe ucciso col ridicolo qualun– que uomo politico; ma Laniel è con– siderato uomo troppo poco interes– sante perché il ridicolo lo diminuisca · ancora di più. All'Eliseo è entrata, riprendendo le tradizioni della Terza Repubblica, la figura più scialba del niondo politico e parlamentare, ma contrariamente alle tradizioni della Terza Repubblica" 110,1 c'è né L1uomo né la forza politica che dia u.na direttiva al paese. E Lan.iel continua. Fra qualche giorno, quando sarà fallita. la Co11ferenza di Ginevra, quando la catastrofe militare sarà completa in Indocina, c'è chi pensa che il governo sarà finalmente tra– volto, tanto più. che ormai appare polese che l'nlroce batt'aglia di Dien Bie,i Fu altro non fu che il Tisultato di una serie di errori, errori di giu– dizio, errori di preparazione, errori d'informazione. Laniel sta cercando di riversare ogni responsabilità Jui capi militari. C'è chi sostiene che si tratta di una vigliaccheria disgusto– sa, ma niente esclude che Laniel si salvi ancora una volta. Frmiçois Mauriac, il terribile « enfant terrible » delle destre, scri– veva giorni fa che la colpa più grande dei comunisti è quella di render possibile, con la paura che essi esercitano su certi ceti, questo regime « a testa di bue», com'è chiamato il governo Lmiiel. Pochi si mostrano più feroci del vecchio scrittore cattolico, le cui invettive non si arrestano ormai neppure da– vanti alle supreme gerarchie catto– liche, complici attiue dell'a/.tuale si– tuazio11e politica della Francia e dell'Europa. Ma, malgrado qualche sintomo favorevole, subito seguito da un sin– tomo contrario, non c'è da farsi gran– di illusioni sopra un cambiam.ento di tattica del Partito Comunista, che terrà il suo Congresso - non ne ha più tenuti dal 1951 - ai primi di luglio. La « distensione Malm– kov » è ancora un'ipotesi molto ua– ga, e non è certo la politica di Fo– ster Dulles che potrà incoraggiarla. IL MURO Se i socialisti riuscissero a ripren– dere un po' di mordente .... Ma ne sono ancora capaci? Il fatto interno più i11t.eressan/,e della S.F.1.0. è la dichiarazione nettamente e docu– mentatamente· anticedista di Vincent A 11riol. È stato detto che Vincent Auriol è stato il miglior presidente della Francia, ma che per eccesso d'imparzialità e di fedeltà allo spiri– to delle istituzioni repubblicane s'ern per sette mmi dimenticato d'essere socialista. Ora, a 72 anni, egli pren– de la test.a della corrente anticedista in seno al Partito, e porta il peso della sua autorità e del suo prestigio sul piatto della bilancia su cui si trova già La 1naggioranza del gruppo pnrlamentare. Una vittoria anticedi• Jta al prossimo Congresso socialista wrebbe importante più che per i suoi effetti sul voto del Parlam.mto, per– ché darebbe forse il Partito in ma– no a elementi che lo farebbero uscire dalla morta gora in cui l'ha Lasciato impaludarsi Guy Mollet. * Domenica 25 aprile, a 'tviilano, l'on. Tc-rracini ha affermato che una delle ragioni per le quali noi italiani dobbiamo essere contrari alla C.E.D. consiste nel ria;mo del « secolare ne– mico», e cioè il tedesco. Già nel I9 I5, poi nel 1943, gli italiani han– no dovuto cambiare fronte, in con– trasto con la. politica ufficiale, e le conseguenze furono disastrose. No, no, per noi socialisti non vi devono essere « secolari nemici ». La nostra avversione al riarmo tcdrsco ha, sì, fondamento nel fatto che oggi esso si risolve nel riarmo dei quadri della \·Verrnacht e nella riabilitazione dei generali nazisti, manovrati da una classe dirigente guidata dai mede– simi impulsi e sogni• di rivincita e di conquista della Germania hitle– riana. (Del resto si tratta della stessa classe dirigente che ha appoggiato e portato al potere Hitler). Ma la no– stra avversione, per questo aspetto, è limitata nel tempo. * Le ragioni della nostra avver– sione, come abbiamo già detto, sono anche di caratterC' meno specifico. La C.E.D. verrebbe a creare nel cuore d'Europa un solco permanen– te, una ferita sanguinante. una can– crena guaribile soltanto col ferro e col [uoco. E con la bomba all'idro– geno, in possesso di americani e di russi. Noi avremmo solo le nostre teste da offrire in olocausto. * Gcrnrnnia pacificamente unificata con libere elezioni, disarmata sotto controllo sino a quando non sia crea– ta: l'unità politica dell'Europa,. alla cui autorità sia sottoposto l'esercito unico eurOpeo. L'on. Terracini è d'accordo? * Non ci rompano l'anima con la barzelletta della « indipendenza na– zionale ». Tanto, non ci crediamo. I comunisti sanno benissimo che nes- suno crede alle loro parole quando invocano cose del genere. Artche per– ché la ritorsione viene troppo spon– tanea. Tanti argomenti, e tutti va– lidi, possono essere opposti ai faLJtori del riarmo tedesco e dcH'atlantismo dalla faccia feroce. Che bisogno c'è di scovar fuori l'armamentario del romanticismo nazionalista? * Sarà machiavellismo, sarà tatti– cismo, ma a noi vien da ridere. Pre– frriamo ancora e sempre il nostro « vecchio e superato» internaziona– lismo. Con tagliatelle e lambrusco, se- volete, ma senza inganno. * Gedda all'offensiva, Pella, An– drcotti e Togni all'arrembaggio, e dietro le q 0 uinte monsignor Ronca e l'ex-ministro fascista Bottai. 11a sì, mettiamoli tutti insieme e agitiamo prima dell'uso. (Ma che sia tutto combinato per tener buona la sini– stra democristiana? Dc Gas peri sa– rebbe capace anche di questo). * Diversi nostri amici socialdc-mo– cratici si sono scomodati per andarr a Nizza a discu tcre con varie per– sonalità della politica e della cul– tura francese sul modo migliore- per combattere il comutlismo in Italia e in Francia. A noi pare che gli in– contri sarebbero molto pitt fruttuosi se costoro si incontrassero per stu– diare e discutere su] modo migliore per evitare le sconfitte della social– democrazia. on che ci sia bisogno cli studiare tanto: basterebbe si con– vincessero che il successo dei comu– nisti, in Francia ma specialmc·nte in Italia, dipende anche dalle gaffes <lei socialdemorratici e soprattutto dalla politica dei loro alleati del par– tito-guida. * Dic< : non è che mi manchi il coraggio, è la ·paura che mi frega. l'lf Così. un volo anticedista del Par– lamento francese, più che per i suoi effetti sul progelto. avrebbe come risultato di rom/1ere finalmente que• sta « dittatura· dalla testa di bue», di tiare un po' tFaria a questo am– biente soffocante rreato dalle elezioni del I7 giugno 1951. A che punto è lt1 questione della CED in Frrrncia? L'o/1posizione comprende attual– mente, in più deL Partito Comunista, il generale De Gaulle, quelli che an– cora lo seguono e quasi tutti quelli che lo hanno seguito in passato e l'hanno poi abbandonato per motivi diversi; il maresciallo Tuin e la maggioranza dei capi dell'esercito, nonché quelle correnti reazionarie che si sono polarizzate attorno all'ir– requieto maresciallo; il /}residente Auriol e la mag.~ioranza del gruppo parlamentare socialista; i ministri ra– dicali. E tuttavia c'è progetto potrebbe Laniel, che è un sità, ci ha ormai miracoli. chi pensa che il passare lo stesso ... cedista per neces– abituato a tutti i Ma al quadro pessimistico della politica. francese fanno contrasto i bollettini della Borsa: il franco mon– ta, rimonta ... il dollaro è quasi di– sceso, sul mercato libero, al suo tasso ufficiale (360 franchi contro 350, dopo essere arrivato a 420). Le in– dustrie, che piangono il morto, dan– no dei dividendi, apertamentd e sot– tomano, invidiabili. Insomma, si fan• no ancora, in Pranèio, dei buoni' af: fari. Però, quanti sono a farli?

RkJQdWJsaXNoZXIy