Nuova Repubblica - anno I - n. 12 - 20 giugno 1953

6 NUOVA REPUBBLICA OPINIONI E CONTR!STI ·I CREDO NELL' EUROPA D ECISAMENTE non ci intendiamo. E, dopo questa risposta - sen• · za volermi attribuire il diritto a parlare per ultimo - mi pare che il dialogo non avrebbe più senso. rubini ed io ci troviamo su due piani diversi e dal mio al suo mi pare ci sia la stessa differenza che corre tra chi si sforza di 11edue liberamente le cose in termini di realtà e chi procede - mi sia consentito - come sotto il peso di svariati complessi di infe- riorità. "' Esaminiamone solo due: De Gasperi e l'America. Cominci3mO anzi da quest'ultima. Qualunque giudizio si voglia esprime– re delJa politica americana, non vedo come la sostituzione dell'attuale siste• ma pluralistico di rapporti tra gli U.S. A. e i singoli staterelli europei con un unico rapporto tra due partners, gli U. S.A. e l'Europa Unita, entrambi sup– pergiù della stessa forza e pertanto capaci ciascuno di una propria politi• ca autonoma, possa da Fubini scam• biarsi per un asservimento all'America. Asservimento, se mai, ci sarebbe pro• prio proseguendo nello stato di cose attuale, in cui ·il rapporto cli forza tra i minuscoli e anacronistici staterelli europei disuniti e il granitico colosso d'oltre Atlantico fatalmente sfocerebbe' nella tradizionale alleanza tra il pachi– derma e la mosca cocchiera. Perché, mi perdoni il Fubini questo continuo sforzo di realismo che nep• pure è connaturato al mio tempera– mento, in politica sono solo i rappor– ti di forze che contano e non le fanta– sie. Qui corre obbligo ricordare che dob– biamo allo scrupolo di democrazia che ha animato finora la politica estera americana se questi nostri staterelli, essegnati da Potsdam alla tutela occi– dentale - altra realtà non scelta da noi, caro Fubini ! - non sono stati asser• viti e fagocitati dal possente tutore, come invece è capitato agli altri state• relli dell'Europa orientale che hanno avuto in sorte un tutore diverso! E veniamo ora al secondo comples– so, che purtroppo non è solo di fu. bini, ma di buona parte del socialismo nostrano, il « complesso De Gasperi », intendendo investire con queste perifra. si tutto il sistema dei rapporti tra so• cialismo e democrazia cristiana o, in alti termini, tra opposizione e governo. I comunisti sono stati una cattiva scuola di opposizione in Italia, perché la concepiscono, come tutto il resto, so• lo in termini .totalitari: ora, se ciò po• teva andar bene per il fascismo, che era a sua volta totalitario, non va più bene per la democrazia cristiana, che è, anche se Jlli gene,ù, una democrazia. La lotta contro il fascismo corrispon– deva a un impegno morale che richie• deva la totale eliminazione dell'avver– sario. La funzione di una opposizione democratica a un governo democratico è invece quella di sceverare il buono e il cattivo della sua azione e metterli, quando occorra, sulla bilancia per ac• cettare il primo e respingere il secondo. E poiché ogni opposizione deve per sua natura mirare a· sostituirsi al go• verno in carica, si impegnerà a con• servare il buono e a correggere il cat• tivo della precedente gestione, senza di che ogni mutamento di governo ob– bligherebbe i nuovi governanti a svol– te di 180 gradi e la storia si ridurreb– be allora a un'immensa tela di Penelo– pe, che perdeva di notte quanto aveva acquistato di giorno e ogni mattina si ritrovava allo stesso punto. Questo è, oltre tutto, un cattivo ser• vizio che Fubini renderebbe al neces. sario ricambio della democrazia, per• ché all'elettorato, con queste premesse, ogni mutamento anziché progresso ap• pare salto nel buio, e per timore di que– sto, si preferisce conservare, anche se non soddisfa, quello che si ha. Del resto, l'esempio britannico inse• gna: forse che i conservatori, salendo al potere, non hanno proseguito la po· litica di prestigio nazionale già inizia• la dai laburisti? Non si sentano quindi i socialisti nell'obbligo di disconoscere quanto di felice vi è stato nell'attività del go– verno, se non vogliono tagliarsi per sempre le gambe alla successione o tro• ot e varsi poi nelle peste quando questa do– vesse aver Iuogo. Abbiamo invece il coraggio di dire che la politica eslera di De Gasperi è stata, grouo modo, quale doveva esse• re, date le difficili circostanze in cui si è fatta, e non carichiamo, per co~ modità polemica, sulle spalle di nes– suno il peso di una situazione obiet• tiva, che non certo Nenni, Saragat o Magnani avrebbero saputo meglio sbri– gare. Preziose ed oneste, a questo riguardo, le recenti ammissioni dello stesso Parei, pur rese nell'arroventato clima elettorale. Inoltre non ha senso parlare, come fa Fubini, della « politica europeista che il governo De Gasperi ha adottato dal l947 ad oggi » ! Per la verità a quell'epoca a parlare di Europa c'era solo il sottoscritto con pochi altri « paz– zi melanconici », come direbbe Salve– mini. Nel '/48 si aggiunse quel canta– storie di Churchill, che ci invitò tut– ti all'Aja e nel '50 ci fece assistere alla prima messinscena strasburghese. De Gasperi, in quel tempo, si dimo– strò sempre particolarmente sordo alla sirena europea, il che può anche de– porre a favore della sua concretezza, se europeismo per lui voleva dire l'« aria fritta » delle infinite conferenze e sigle che ci hanno deliziato in tutti questi anni. Egli si è svegliato alla realtà euro– pea solo più tardi, nel '51, quando fi. nalmente ha capito quello che i fede– ralisti gli andavano ripetendo da tem• po, che cioè l'Europa poteva divenlare una cosa seria, e allora ci si è buttato con l'entusiasmo proprio dei neofiti, scandalizzando anche, quando occorre• va, i suoi accompagnatori diplomatici, i quali trasecolavano a veder portare lo stile caldo e sincero dell'oratoria parlamentare in quelle conferenze in– ternazionali in cui prima regnavano, incontrastati sovrani, la compostezza e il riserbo. In questo senso la sostituzione agli Esteri di Sforza con De Gasperi può avere rappresentato un elemento positi• vo, proprio come creazione di una at– mosfera che un diplomatico di carriera, e in particolare un uomo dello « stile » personale di uno Sforza, nòn ci avrebbe mai dato, anche se questi aveva una coscienza, una sensibilità e una voca– zione dei problemi europei certamente superiori a quelle del primo. Bisogna essere stati all'estero per sen– tire come dappertutto il nome del no– stro De Gasperi venga fatto come quel– lo del portabandiera dell'unità euro• pea. Perché non dovremmo noi ita– liani riconoscerglielo? Bisogna aver seguito passo passo gli sviluppi dell'idea europea lungo tutti questi anni per capire in cosa consi– stano le attuali possibilità. Certo, chi vede la politica europea unicamente CO· me sfondo, mascheratura o diversivo di una certa situazione nazionale può essere indotto ad estendere a quella il giudizio negativo riservato a questa. Ma il problema è proprio l'inverso. ·La vera, la sola politica è quella in– ternazionale, dove soltanto si possono avere oggi, sui diversi problemi, solu. zioni non fittizie ma reali. La politica nazionale in realtà non esiste. Esiste l'amministrazione, che naturalmente è anche importante e soprattutto deve essere buona (e qui sono d'accordo con Fubini nel non ritenerla sempre tale), però solo come una sorta di avviamento e preparazione a quella pri– ma, la grande politica internazionale. Veda Fubini, a questo riguardo, gli spunti veramente profetici di Aldo Ga– rosci nella collezione di « Europa Fe– derata» del 1952 e il recente opuscolo di Chiti Batelli, edito dal M.F.E. « Sta– re all'opposizione », dove la politica economica di Pella e La Malfa è fatta oggetto a critiche non so se più seve- ' re od argute. · Quindi, caro Fubini, per concludere su questo punto: opposizione, sem· pre; massimalismo, mai! E ancora: Fubini, con atteggiamento che mi pare più moralistico che politico, incolpa i federalisti, per così dire, di sporcarsi le mani con.... materiale da costruzione poco raccomandabile, quan• do essi si sforzano di utilizzare, ai fini dell'unità dell'Europa, una sballatis- CO sima e imbrogliati;sima situazione in cui egli ravvisa assieme servilismo ver– so gli americani, paura verso i russi, autorità specializzate campate in aria., clericalismo, reazione e chi più ne ha più ne metta! Ma forse che i rivo– luzionari Mazzini e Garibaldi non han– no accettato la collaborazione di re Vittorio e del suo ministro Cavour, pur di raggiungere quella che essi crede– vano essere la condizione essenziale, la meta prima che la società in cui vive– vano dovesse raggiungere: l'Unità Ita– liana? Forse che lo stesso Fubini non avrà, fianco a fianco coi comunisti, dato il suo contributo di parola e di fede nel '46, quando si trattò di assicurare al paese una più moderna struttura istitu– zionale? Forse ch'egli voleva una re– pubblica sovietica per questo? Se i dodici milioni di Fubini che allora ci regalarono la repubblica si fossero amleticamente posti tutti gli in– terrogativi che oggi Guido Fubini si pone a proposito dell'Europa (sarà un carcere? sarà una scuola? e come sa. ranno le finestre'), potete star certi che la repubblica oggi non ci sarebbe, per– ché se possono essere dubbiosi e di– visi coloro che puntano sulla creazione di una nuova realtà (sia essa la re• pubblica italiana o la federazione eu– ropea), certamente uniti e concordi sa• ranno invece tutti coloro che hanno nel– l'ordine costituito particolari e con– creti interessi da difendere e conservare. Per questo fa particolarmente male vedere un giovane come Fubini schie– rato - in politica contano le effet– tive posizioni che egli assume e non le particolari intenzioni con cui le as– sume - dalla stessa parte dei monopo– listi e dei comunisti italiani o non ita• liani (dei nazionalisti neppure fa con– to di parlare!), legati i primi a nien– te altro che alla protezione dello Sta• to in cui prosperanq i loro affari, e i secondi alle condizioni di miseria mate– riale e di disagio morale ch'essi con– siderano il miglior terreno di cultura delle loro idee! Fubini stesso ci spiega del resto le ragioni del suo atteggiamento: egli non sa, non è sicuro che l'Europa che si sta facendo sarà proprio quella che pia– ce a lui e allora preferisce che non se ne faccia di niente! Come se in tutte le azioni umane non vi fosse un certo margine di rischio, come se quan• do si mettono al mondo i figli ci si as– sicurasse perché non nascano con le gambe storte e la testa a pera, come se questa nostra repubblica si fosse al– lora potuta antivedere in tutte le sue attuali manifestazioni. Voglio ammettere con Fubini: questa repubblica « monarchica dei preti » - come la chiama Salvemini - non mi piace proprio per niente, a me non più che a lui. Tuttavia considero una fortuna averla creata e ringrazio con l'occasione anche Fubini di essersi di– mostrato, col suo volto repubblicano di allora, meno cacadubbi di ora. Se mai mi limito a pensare tra me e me: me• no male che ce l'abbiamo fatta, in un paesaccio come questo, che nel giro di pochi anni ha dimenticato la Resi– stenza e si accinge ora a rimangiare ciò che ha già una volta espulso dal proprio corpo! Perché se a questo punto di invo– . luzione siamo giunti con la garanzia delle istituzioni repubblicane, dove sa– re,nmo mai arrivati in regime di mo• narchia? Tra Fubini e me c'è quindi questa differenza sostanziale: io credo nel– l'Europa e sono disposto a fare dei sacrifici per realizzarla; egli evidente• mente non ci crede e sacrifici, com· è ovvio, non ne vuol fare. Quindi, per Fubini, l'Europa o è socialista e laica. o (almeno per quanto dipenderebbe da lui) non sarà! Ma quale alternativa I?One Fubini al– l'Europa? Forse una serie composta e pacifica di Stati nazionali, ognuno dei quali naturalmente in grado di svolgere una propria politica autonoma, come dice Fubini, far prosperare i cittadini e assicurare l'ordine interno e la difesa dei confini? Non si avvede che son tutte cose queste che si leggono ormai solo nei libri di lettura per le scuole medie delle passate generazioni o si ascoltano nei comizi elettorali dei no• stalgici di ogni tipo e colore? Se si pensa a quale è effettivamente la situazione oggi, in cui necessaria– mente i piccoli Stati sono tributari dei grapdi - e mancherei di riguardo al– l'intelligenza di Fubini se ritenessi di doverglielo dimostrare - mi pare ri– peto, che veramente Jertium non datur: O federarsi o perdere! Padronissimo naturalmente Fubini di starsene al suo secundum, respingen– do così la «prigione», com'egli la chiama, di un unico grande libero mercato di 159 milioni di consumatori per scegliere la libertà di morire di fame in questo pazzesco sistema di passaporti e dogane, con in più la consolazione di ingrassare col proprio sacrificio di contribuente•consumatore, i generali e i burocrati di cui sono per monarchica e fascistica tradizione così prodighi i nostri Stati nazionali. Resta però sempre un tragico inter– rogativo: come può un laico e un so• cialista come Fubini, non realizzare, nella sua mente, l'apertura, la rottura, il significato e la funzione profonda– mente rivoluzionaria di questa nostra azione europea? Speriamo quindi che, come già De Gasperi, anche il buon Fubini caschi presto, nuovo S. Paolo, sulla strada di Damasco. Forse un accurato esame a certe sta• tistiche potrebbe facilitargli la salutare caduta, con tutto vantaggio suo e no• stro. LUCIANOBOLIS •• Ho semp,-, pubblicalo i11teg,·almenle gli a,-Jicoli degli amici Bolis e F11bi11i, s11 un argomento di così alto interes• se, senza i11terveni,-e direllameute, per co11se11tire la più ampia liberlà di dibatliJo, Ma mi p,-eme Ol'a di dichia- 1'nre eJpliciJamenle che la quesJione me• ,-ila 1111serio e medilato approfo11di– me1110da parie di Jutli noi. I dubbi e le ince,-Jezze di F11bi11i, comunque Ji vogliano giudicare, Jo110 l'esp,-essio11e di un effe11ivo Sia/o di disagio in cui Ji Jrova110moltiJJimi fe– de,-alisli i1alia11i (socialisli e 11011), non già di fro11Je ali' obiellivo da • raggi1111ge,-e - per le vie e nei modi co11sen1i1idalla rea/Jà effe11iva -, ma di fronle agli alleggiame11ti assu111ine– gli ultimi tempi da alcuni esponenti del/' organizzazione federa/iJJa italiana. L'ide11tificazio11edella poliJica fede..a– lisJa co11 quella quadriparJiJica (che Ji è esp,-eSJacon la volonlaria esclusione da determinate manifeslazioni federa• lisJe dei cosiddeJJi « ereJici » e, JO· pratJutto, con al,1111/articoli che 11011 esito a defi11il'e gravi di A/Jie,-o Spi– nelli proprio 11elco,·so della cam/1agna eletJorale) è non solJanto un errore: essa ha rischialo in/alli di lravolgere nella crisi del quadripartilo, che noi avevamo previsto, tutttt l'impOJtazione federalisla, leg,mdola ad una formula di politica i11te1'11a ltamente dùcuti• bile. Spinelli può ri11grazial'e i fede,·a• lisJi Parri, Calamandrei, Ga,·oJCi, ecc. se la parola federalista è sia/a por– tata sulle piazze d'/Jalia fuori della polemica p,-o e contro l'apparentamen• to; se eua non è ,-iuuila in1erame11te confusa con la propaganda dei cleri– cali d"va11ti alle masse p,-olelarie ila• liane. E quindi in veste di federalisti con– vinti, e non perché dubbiosi federalisti, che ci riteniamo in diritto di ripren• dere in pieno la questione della poli– tica seguila dal M.F.E., di discutere Je eJJa Jia la più adatJa a creare in Italia una coscienza popolare e11ropea, di criticare le slrade finora ba/Iute. Ci auguriamo sinceramente che la critica sarà con1e11Sita,senza essere tacciali di an1ifederalismo: poiché a/Jrimenti do– vremmo concludere che lo sJ,frito to– Jalitario ha fallo lroppa J/rada anche 11ell 1 a11imo di molli nost,-i amici. T. C. ATTENTI A MALI PASSI Caro Direttore, la lettura dei due editoriali apparsi nei numeri di marzo e di aprile di Europa Federata ha posto una do– manda alle nostre coscienze di fede– ralisti: « Può essere il . federalismo strettamente legalo all'attuale poli– tica governativa? ». Questa domanda alla quale dai due editoriali viene data una peren– toria ed invero piuttosto sommaria risposta affermativa, ci ha condotti a riconsiderare ed a rimeditare la ge– nesi e la natura del Movimento di cui facciamo parte e ad una conclu– sione difforme da quella prospettata nell'organo ufficiale del M. F. E. Il federalismo attivo è sorto in Ita– .lia nel mondo clandestino della Re– sistenza, ancor prima che essa desse vita a quella piattaforma di collabo– razione che fu il C. L. N.; è una istanza quindi storicamente non con– formista avanzata da uomini che han– no ·pagato il loro non conformismo e che mentre erano posti al bando del– la vita nazionale hanno sentito la ne-' cessità di proporre un allargamento delle strutture nazionali in una strut– tura super-nazionale, onde permet– tere un più ampio e salubre respiro ai popoli della vecchia Europa, or– mai soffocati economicamente e spi– ritualmente da barriere superate, ar– tificiali, antieconomiche. Questa qualità storica del nostro Movimento è per noi tuttora una esigenza insopprimibile; solo uno sfor– zo congiunto dei popoli europei, un moto che sorga dal basso, dalle cel– lule vive e doloranti di questa nostra società Europea, potrà realizzare la unificazione strutturale del vecchio Continente. Legare il destino del M.F.E. ad un determinato indirizzo politico. go– vernativo necessariamente contingente ed inevitabilmente contrastante col– l'indirizzo di per lo meno alcuni dei futuri soci della comunità è un gra– ve errore cui d. opporremo con tutte le nostre forze, perché riteniamo che il M.F.E. possa svilupparsi solo con un'armonica azione effettuata in pie– na solidarietà in tutti gli ambienti europei. Siamo d'accordo con Europa Fe– derata che il federalismo non può non essere democratico; la democra– zia che viveva un tempo nei limitati confini della polis e ieri in quella degli stati nazionali tende ora per fisiologica necessità a raggiungere confini sem.pre limitati ma più ampi; se è vero, quindi, che la 9emocrazia non può non essere . federalista co– sicché il federalismo è niente altro che un a,petto di essa, il primo do– vere di chi guida il federalismo or– ganizzato deve essere quello di assi– curargli le maggiori possibilità di pe– netrazione sociale per lo sviluppo della democrazia stessa. L'etichetta governativa che ci sem– bra si voglia qui applicare al M.F.E. oltre e più che suscitare quella di– sarmonia e quell'urto con sistemi go– vernativi di altri paesi a cui abbiamo più sopra accennato, ·costituirebbe so– prattutto col conseguente richiamo al– la praxis politica di una determina– ta classe dirigente, un impermeabile diaframma tra il M.F.E. ed il po– polo europeo, per cui il M.F.E. sa– rebbe in tal caso irrimediabilmente e preconcettualmente respinto da vasti ambienti popolari ed intellettuali che quella praxis di governo non ac– cettano. Il federalismo è e deve restare un fenomeno rivoluzionario, nel senso etimologico della parola. Se sarà posto come alfiere di que– sta o quella combinazione governa– tiva esso perderà ogni mordente e si esaurirà in una improduttiva funzio– ne protocollare ed accessoria di una determinata e sempre discutibile espe– rienza governativa. Noi crediamo che purtroppo anche il federalismo stia attraversando in Europa e più accen'luatame-:!l in Ita– lia quella crisi involutiva che deter– minati interessi hanno provocato in tutti gli isti(uti e le idee sorte dalla Resistenza e consacrate nelle costitu– zioni europee. La ragione ci conforta assicuran– doci che tale fenomeno negativo sarà presto superato, la coscienza ci im– pone di lottare anche in questo set– tore contro i tentativi di restaura– zione del conformismo, cioè in ef– fetti della reazione conservatrice. Ecco perché denunciamo a tutti gli altri militanti del M.F.E. il fer– mento in noi provocato dalle recenti prese di posizione dell'organo fede– ralista. Doll, LELIO BARBIERA ANGELOTULLI Prof. VINCENZOVALENTE Prol. !VANO BONTURI Bari

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