Mariano D'Antonio e lo sviluppo dei consumi e degli investimenti nell'area più avanzata hanno mostrato che quell'ostacolo poteva essere superato, relegando in una posizione ancora più periferica l'economia meridionale. Negli anni '60, sostengono ancora i meridionalisti, la mancata industrializzazione del Mezzogiorno ha provocato indirettamente un'accelerazione della dinamica salariale, rendendo il costo del lavoro insostenibile per le stesse imprese industriali più efficienti del Centro-Nord. I lavoratori dipendenti di queste imprese, infatti, si può correttamente sostenere, hanno monetizzato - hanno cioè convertito in aumento dei salari monetari - tutte le diseconomie ambientali (i c.d. costi sociali), provocate dallo sviluppo squilibrato, e quindi riconducibili - ad esempio, l'urbanizzazione caotica, l'ipertrofia del settore dei servizi e anche le inefficienze della pubblica amministrazione - alla mancata soluzione del problema meridionale. Si può tuttavia obiettare a questa diagnosi, che negli anni '60 le imprese industriali dell'area più avanzata hanno dimostrato ancora una volta una notevole capacità di adattamento spontaneo a questi fenomeni: esse hanno fatto leva, ad esempio a metà degli anni '60, tanto sull'intensificazione degli investimenti e sulle modifiche nell'organizzazione del lavoro - cioè hanno puntato su un recupero di produttività per abbassare il costo da lavoro; quanto hanno fatto pressione sulla pubblica amministrazione (specie le amministrazioni locali) per migliorare le condizioni ambientali. Ed ancora recentemente, una intelligente linea d'azione suggerita dal proprietario di una grande industria italiana, per diminuire la conflittualità operaia, è quella che mira ad un fronte comune degli imprenditori del Nord e dei sondacati operai contro gli « sprechi » e le « rendite », che condizionano negativamente l'attività produttiva e le condizioni di vita degli operai settentrionali. Non pare cioè che le soluzioni trovate per rianimare il saggio di profitto nel decennio scorso - e quelle che si vanno cercando sostanzialmente sulle stesse linee per uscire dalla crisi attuale - siano orientate in senso meridionalista, e cioè tali da far posto ad un organico sviluppo industriale del Mezzogiorno. La posizione dei meridionalisti - che affermano in termini strettamen te economici la « centralità» del problema meridionale - si trova quindi ad un bivio: o si ammette che il mercato - la forma di organizzazione economica dominante in Italia - recupera continuamente le contraddizioni dello sviluppo dualistico e rimette in posizione sempre più periferica l'area meridionale, e si ammette perciò che bisogna battere una strada diversa da quella fin qui seguita; oppure si è costretti a fare appello ad argomenti come « la solidarietà nazionale », « le esigenze di 44
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