Nord e Sud - anno XX - n. 158 - febbraio 1973

Letteratura ma tutto sommato non amava troppo neppure se stessa. Si considerava sempre al servizio di qualche fine extra-letterario... Patetica.» (in Sessanta posizioni, cit., pag. 130); e ancora: « [ ... ] togliere l'edonismo all'attività poetica equivale a sottrarre l'erotismo all'attività sessuale» (p. 136). Si noti inoltre con quanta disinvolta superficialità, nelle pagine su Sartre, Arbasino si chieda: « ... Ma i fini della letteratura, siamo sicuri che debbano coincidere con quelli della pubblica assistenza? Un certo effetto demagogico si può sempre raggiungere, volendo, mediante una grossa bilancia che porta su un piatto i bambini del Biafra e sull'altro piatto la raccolta delle Situations di Sartre ... Ma che nesso c'è fra i due fenomeni? ... Come se un musicista decidesse che la musica non ha senso finché non riesce a debellare il cancro e l'infarto, che mietono tante innocenti vittime ... Come se un pittore smettesse di dipingere sgomento all'idea che i suoi quadri non impediscono il moltiplicarsi degli incidenti stradali né l'abbattimento del Muro di Berlino ... » (ivi, p. 408). Alla luce di tali istanze, si comprende facilmente come il capovolgimento del concetto di santità in quello - moderno? - di masochismo, sia operazione che si presta a tutte le più lepide trovate alla, poniamo, Audy Warhol, l'esponente della più significativa pittura Pop americana, che si rifà, com'è noto, ai modi dell'avanguardia dadaista francese e soprattutto alla tecnica del « ready ma.de modificato», cioè la copia rettificata e dissacrante o di un'opera d'arte o di un. oggetto, o un'immagine, della produzione di massa. In questo filone in effetti si vuole inscrivere quella « contaminatio » storico-linguistica che è,· sembra, una delle attrattive de Il principe costante. Qui tutto viene appiattito ad un presente déjà vu: i prigionieri portoghesi « fanno del Verdi involontario » (p. 11); il giardino della reggia marocchina ci ricorda « una vendemmia Carracci o una spannocchiatura d'Oltre Po>, (ibidem); il re marocchino si presenta come « un banchiere elegante, come un avvocato di potere: sempre 'no, per carità, non alzatevi per me, state pur tutti comodi' ... sempre ' sì, grazie, una piccolissima vodka ben gelata' ... » (p. 17). Si veda in particolare il processo di degradazione cui è sottoposta la pagina in cui Calderon de la Barca ci presenta l'incontro tempestoso tra i due amanti, il generale marocchino Muley e la figlia del re di Fez, Fenice, destinata per motivi di politica internazionale, al principe di Marrakesh. Nell'opera calderoniana il dialogo è piuttosto il concitato monologo del geloso e infelice Muley, cui l'autore attribuisce un'anirna sensibilissima... da marocchino spagnolizzato, laddove Arbasino fallisce il tentativo di fare dell'« operetta», intesa come genere di marca borghese, una satira ideologica realmente orientata: Muley: « Benché io non sia qui « che di passaggio, tuttavia, poiché · « debbo morire, non voglio, o Feni- <, ce, rinunziare a dirti la malattia <, di c~i muoio, e quand'anche i miei « sospetti mancassero di rispetto al- « la tua fama, nessuno che sia ge- « Iosa può esser cortese, poiché le 123

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