Emma Giamnzattei genza « negativa ». L'opera confessa a chiare lettere la sua matrice letteraria, riproducendo fedelmente, nel titolo e nella struttura, il dramma di Calderon de la Barca del 1639, tanto che potremmo parlare, più che di una « riscrittura», di una « lettura», neppure troppo forzata, dell'opera barocca: li, Don Fernando, principe quattrocentesco del Portogallo, nel tentativo di realizzare il suo sogno colonialista e religioso - la conquista di Tangeri, Marrakesh e Fez - viene fatto prigioniero dagli « infedeli »; e, pur potendo riavere la libertà a patto che la città di Ceuta sia ceduta ai marocchini, in nome della fede, accetta la schiavitù e la tortura che lo porteranno alla morte. Qui, nel romanzo einaudiano, Arbasino capovolge l'idea del martirio attraverso accorgimenti formali, volti a denotare la decisione eroica di Don Fernando sul versante individuale come isterismo e dispettoso masochismo (nel senso proprio di deviazione sessuale) e, nell'economia della vicenda, come vero sopruso colonialista. Ora non è il caso d'indugiare a dire in quale ambito culturale nasca e che cosa significhi l'opera calderoniana, dal momento che non è affatto funzionale alla comprensione del testo di Arbasino, cieco e casuale nella sua eversione - come del resto esemplarmente caotica si mostra tutta la cultura messa insieme da questo autore in quel Sessanta posizioni (Milano 1971) che è l'ultimo esempio di un modo salottiero di impossessarsi dell'oggetto letterario. Ma, a voler precisare, dal punto di vista della struttura interna del personaggio-protagonista, 122 ci sembra che già Calderon, prima di Arbasino, si fosse reso conto che il mito religioso permetteva proprio la prosecuzione e la realizzazione del mito nazionalista-individualista: tale è il significato del finale in cui l'ombra di Don Fernando porta i soldati portoghesi alla riscossa. E la domanda che Calderon lascia emergere è: Don Fernando non è forse morto per poi riapparire con tutta la forza mitica che un vivo non può avere? In tal senso, nella figura di Don Fernando si attua il fedele rispecchiamento delle strutture sociali della Spagna controriformistica e barocca ove, come è largamente acquisito, la religione cattolica offre la mediazione fra colonialismo-capi talismo e l'idea di monarchia. Nel '72, se da una parte Arbasino sembra mostrarsi sordo a quanto, nella parabola, gli appare deperito alla luce della cultura contemporanea, dall'altra, adopera proprio questo materiale, ridicolamente stantio quando non venga ricondotto a se stesso e al suo tempo, che costituisce così la leva determinante per quel rovesciamento del mito, essenziale alla sua seri ttura sin da Piccole vacanze. Con questa operazione che svela l'eterno elemento, per così dire, eliogabalico della Storia, divenuta perciò non-Storia, Arbasino si può permettere di fare della letteratura un gioco che non prevede né soluzioni ideologiche né funzioni costruttive né, dunque, responsabilità cli sorta. Le sue affermazioni in proposito ormai sono chiare: « C'era una volta una lettera tura che non amava i Beatles e i Rolling Stones:
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