Nord e Sud - anno XX - n. 158 - febbraio 1973

Letteratura storica di una classe sociale che dalla guerra era uscita effettivamente snervata e svuotata. Ora, gli ultimi due romanzi, La bella di Lodi e Il principe costante, servono anche a far rileggere i suoi primi esperimenti, lasciandoci cogliere un graduale movimento verso l'Inautentico come cifra e come alibi stesso della scrittura arbasiniana. Difatti La bella di Lodi, con cui Arbasino è entrato nella rosa dei finalisti del « Premio Campiello '72 », è l'oscena ballata che lo scrittore oppone al mito della « bella ricca che sposa il giovane povero », fornendoci una interpretazione fallica della società contemporanea e della lotta di classe: il romanzo, come ci informa l'autore in una nota preliminare (p. 6), parte dal racconto omonimo pubblicato sul «Mondo» nel 1961 e dalla sceneggiatura per il film omonimo eseguita nel 1962 con Mario Missiroli. La vicenda - non è inutile ricordarla data la sua eloquen te omogeneità strutturale con l'ancora più recente Principe costante - ruota intorno alla figura volitiva di Roberta, ricca possidente terriera del lodigiano, di lontana estrazione contadina, nel momento in cui incontra Franco, meccanico squattrinato e molto « maschio >~ con la passione delle macchine di grossa cilindrata e, a tempo perso, attore girovago... Roberta è piuttosto insoddisfatta dei tipi che si incontrano tra via Montenapoleone e Portofino, di quelli, per intenderci, troppo ben vestiti; Franco, da part~ sua, comincia subito ad amare di Roberta, oltre. che il corpo magnifico, il Dunhill d'oro massiccio, che ruba dopo una notte d'amore, e la MG, che renderà inservibile nello scontro che registra, alla fine, la resa di entrambi ad un rapporto sessualmente appagante. Roberta ha il capitale, Franco ha la materia prin1a, « l'amore come forza-lavoro » (p. 158): l'affare, dunque, pur dopo varie peripezie, deve per forza concludersi, dal momento che « ormai si tratta di un investimento. oltre che affettivo, anche economico, per tutt'e due » (p. 159). L'intenzione demistificante e beffarda traspare sin troppo chiaramen te da questa trama che vorrebbe essere il preciso contrario di una love story, e che invece, secondo noi, rappresenta solo la versione più moderna e certo più scalza di una tradizione che risale a romanzi quali Il padrone delle Ferriere. È necessario infatti che una mitologia sia realmente operante nell'ambito della cultura contemporanea all'autore perché il ribaltarne semplicemente i termini assuma un significato immedjatamente innovativo e provocatorio: Arbasino, invece, non ha fatto che ricontestualizzare storicamente un mito oggi marginale, rendendolo, con le sue mani, un'occasione pericolosa ai fini di un'informazione-guida nei confronti del lettore meno provveduto. In tal senso, si potrebbe affermare senza rimorsi che il modello di questa operazione è nientemeno quel Padre Bresciaru così ben stigmatizzato da Gramsci come esempio di una letteratura. con~otata da spirito farisaico e assenza di storicità (cfr. Letteratura e vita nazionale, Torino 1966, p. 148). Anche ne Il principe costante, è un mito obsoleto, quello della santità, a far le spese di una siffatta intelli121

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