Nord e Sud - anno XX - n. 158 - febbraio 1973

LETTERA TURA La costanza di Arbasino di Emma Giammattei L'ultimo romanzo di Alberto Arbasino, Il principe costante (Torino 1972) che segue, ad appena sei mesi di distanza, La bella di Lodi (Torino 1972), qualifica in forma molto esplicita la tendenza alla « bella fabella » di questo scrittore, quarantenne « enfant terrible » della nostra letteratura. Ma, è da precisare, tale tendenza si esplica letterariamente mediata, nel senso che Arbasino non crea e non vuole creare, sembra, né tipi né situazioni tipiche, essenziali nell'allegoria della «fabula», ma quelli e queste manipola con sovrana ironia dopo averli assunti ora dalla letteratura del passato, ora dalla cultura contemporanea dei mass media, còlta nelle ·sue punte di estrema degradazione. Arbasino infatti, com'è ben noto ai suoi numerosissimi recensori, è so-lito recuperare il reale già tipizzato e la parola già massificata, già fal,sa. E pertanto in tale prospettiva, il suo romanzo canonico e determinante resta ancor oggi quel Super-Eliogabalo (Milano 1969) che è la personificazione stessa della decadenza, della eversione della Storia operata senza finalità ideologiche, solo per il gusto della rovina kitsch: il protagonista del romanzo è appunto Eliogabalo, figura emblematica della decadenza dell'Impero Romano e del concetto stesso di Decadenza, che per Arbasino non è, come per tutti i normali fruitori di una normale cultura, una fase della storia bensì « una dimensione costante dell'animo umano, il Decadentismo, che per di più è uno strumento di conoscenza molto più acuto del NeoClassicismo e capace di operare molto più a fondo che non il semplice Classicismo » ( SuperBliogabalo, cit., p. 232), insomma « nozione / da non sputtanare / collegandola a pseudo-categorie / pseudo-storiche [ ...] » (ivi, p. 317). Lo vediamo, questo Eliogabalo, guidare il corteo imperiale da Roma alla villa al mare, travestito da Monica Vitti, vezzeggiato orribilmente da tre mam.me-baldracche, molto « parioline» (p. 32) e accompagnato da un odiato precettore « (Roman? Jakobson ?) » (p. 35) che, alla fine, provocherà la sua morte e deificazione. E si può dire che tutto il romanzo mimi il ritmo di questo sganghera:- to corteo, ove Eliogabalo interpreta la Dr-Decadenza, cioè il sistema Finale in cui si compongono e si annullano tutte le Storie, secondo lampanti connotazioni: omosessualità, violenza, istrionismo, accompagnati 119

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