« Nuova » e « vecchia » industrializzazione in C a,n pania Tra il 1951 ed il 1969 l'occupazione nel settore tessile è diminuita in Campania, in termini assoluti, di 8 mila unità (circa il 40% ), pari a quasi il 4% dell'intero decremento di occupazione verificatosi a livello nazionale (oltre 200 mila unità lavorative in meno). Va detto, però, che in termini relativi il tasso medio annuo di decremento fatto registrare dall'industria tessile campana (-2,6%) risulta inferiore, tra tutte le regioni italiane unicamente a quello della Liguria ( - 8,2 %) e della Lombardia ( -2,9% ). Attualmente l'occupazio11e si aggira intorno alle 13 mila unità (la Campania occupa la settima posizione tra le regioni italiane, dopo la Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto, Emilia e Friuli), pari al 2,3% dell'intera occupazione nazionale del settore tessile ed al 4,0% dell'occupazione complessiva dell'industria manifatturiera campana. E si può affermare che tra il 1951 ed il 1969 roccupazione nel settore presenta uno sviluppo territorialmente ben definito: « regressi in tutte le regioni centro-settentrionali, ad eccezione dell'Emilia, Toscana e Lazio, progressi anche sensibili (Puglia + 5,7% in media all'anno) ma partendo da cifre assolutamente modeste, in tutte le regioni meridionali, eccezion fatta per la Campania, dove l'industria preesistente, la più grande tra le regioni del Sttd, ha subito per contro flessioni superiori alla media del Nord » 10• Tutto ciò trova una spiegazione nella circostanza, cui si è fatto cenno, che l'industria tessile campana è rimasta sostanzialmente legata a lavorazioni tradizionali, mentre le produzioni della nuova industria tessile (lavorazione delle fibre artificiali e si11tetiche) non si sono ancora adeguatamente sviluppate, malgrado vi siano alcune preesistenze di rilievo: più antica quella della SNIA Viscosa a Napoli, più recente quella della Rhodiatoce a Casoria. Si contano, infatti, attualmente una nova11tina di unità Ioca,li operative con un numero di addetti superiore a 1 O (erano 115 al censimento del 1951 e 116 a quello del 1961). In genere si tratta di unità locali, in buona parte di origine e tradizione locale, realizzate in prevalenza prima del 1950. In particolare, delle aziende superstiti, 50 operano nel settore della canapa, unità locali di din1ensioni minime ad eccezione di 7 unità operative che possono essere considerate medio-piccole; circa 30 lavorano la seta ed il cotone e di queste 3 possono essere considerate di media dimensione ed una, le Manifatture Cotoniere Meridionali, di grande dimensio~e. Quali dunque le prospettive? Non vi è dubbio che anche per i prossimi anni bisogna continuare a prevedere processi di ristrutturazione, ed al limite di riconversione, soprattutto nei comparti del cotone e della 10 LUIGI BRUNI, Aspetti della dinamica strutturale delle industrie manifatturiere nelle regioni italiane, SVIMEZ 19i0. · 89 Bibiiotecaginobianco
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