Alfredo Testi tana integrata » fornita dall'art. 2 rirr1ane, nell'ambito della legge, del tutto priva di significato. Come si è detto, il provvedimento prevede che l'insieme degli interventi da realizzare nelle singole zone « omogenee » debba essere previamente inquadrato in « piani zonali di sviluppo ». Sembrerebbe questo a prima vista un buon principio, ma esso risulta in realtà generico ad illusorio, sol che si ponga mente al fatto che il piano zonale non può essere un piano « globale », considerata la limitata ampiezza del territorio cui esso si riferisce. Si tratta dunque di un piano settoriale. Ma allora, qt1ale dovrebbe essere il rapporto tra questi « piani zonali di sviluppo», da un lato, e i piani zonali agricoli, i piani comprensoriali t1rbanistici e i piani regolatori comunali, dall'altro? Ma non è questa l'unica zona d'o1nbra gravante su tali « piani zonali di sviluppo». Infatti all'art. 5 la legge dice che « al piano di svilup,po economicosociale della zona ... debbono adeguarsi i piani degli altri enti operanti nel territorio ..., delle cui indicazioni, tuttavia, si terrà conto nella preparazione del piano di zona stabilendo gli opportuni coordinamenti ». In pratica è impossibile capire da un tale testo se il legislatore abbia inteso considerare il « piano zonale di svilu,ppo » condizionante nei confronti di importanti altri piani settoriali, o da questi condizionato. Allo stesso articolo si dice che il « piano zonale di sviluppo » dovrà indicare « la misura degli incentivi a favore degli operatori pubblici e privati», ma non si dice di qt1ali incentivi si tratti e tanto meno si fa menzione dei criteri generali di graduazione da adottare: un'altra indicazione, dunque, vaga e in sostanza inutile. In un articolo seguente, poi (il settimo), la legge prevede la possibilità di redigere per le singole zone montane dei « piani urbanistici ». Non si comprende tuttavia quale possa essere la differenza sostanziale tra tali piani urbanistici « zonali » e i predetti « piani zonali di sviluppo »; i quali, per quanto già detto prima, non possono essere altro che dei piani territoriali, che cioè contemplino le destinazioni ed intensità d'uso del territorio e la localizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi, nonché dei correlati sistemi di infrastrutture e attrezzature collettive. Non viene comunque precisato il valore giuridico di tali piani t1rbanistici «zonali», ed in particolare il grado di vincolo che essi potrebbero esercitare nei confronti della pianificazione co1nunale. Essi potrebbero cioè configurarsi come piani territoriali di coordinamento a livello intercomunale: ma allora, perché reintrodurre con una legge del 1971 una fattispecie già introdotta dalla legge urbanistica del 1942? L'elaborazione dei « piani di sviluppo » e dei « piani ~rbanistjci » sono dalla legge affidati, come si è detto, ad un nuovo organismo, la Comunità montana, governata dai rappresentanti dei Con1uni ricadenti in ciascuna zona. Tali Comunità dovrebbero introdurre t1na dimensione de1nocratica (o, come 44 Bibiiotecaginobianco
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