Gli Stati Uniti nel Mediterraneo ture egiziane dipendono, pii1 che d·a iniziative di Washington, dalle oscillazioni della politica del Cairo, alla ricerca di strumenti per rendere meno soffocante l'abbraccio dell'orso sovietico e me110 coattiva politicamente la spinta dei fautori della nuova « guerra santa » ad Israele. E va forse aggiunto che gli americani finora non hanno dato segni di voler condurre fino in fondo una offensiva di « recupero » del Cairo: anche episodi recenti, come gli accordi con la dittatura greca per la base navale del Pireo, messa a disposizione della Sesta Flotta, e l'interesse posto alla crisi anglo-maltese, hanno confermato piuttosto che l'attenzione americana resta, per il momento, sostanzialmente strategica. L'Unione Sovietica, dal canto suo, non è rimasta inerte davanti alle iniziative americane. Ger11salen1me ha smentito più volte i contatti diretti tra Golda Meir o altri esponenti israeliani con emissari sovietici, ma è noto come Mosca stia tentando cauti approcci con Israele, che potrebbero costituire il prelt1dio ad una politica più articolata, diretta a parare il rientro degli Stati Uniti sulla scena medio-orientale. Proprio la natura strategica della risposta americana ha messo in luce alcune contraddizioni interne alla politica che sinora Washington ha perseguito nel Mediterraneo. L'accordo con il regime di Atene ha rafforzato la posizione dei colonnelli: non solo in patria, ma anche nelle rivendicazioni nazionaliste che la Grecia avanza nel Mediterraneo orientale. Più in generale, nel momento in cui il Mediterraneo centro-orientale è diventato un mare di confronto diretto tra i due bloccl1i, la Grecia, o la Turchia, o Malta, possono gettare sul piatto del migliore offerente la loro particolare posizione geografica. Aumentando i giri di valzer e la disinvoltura in fatto di collocazio11e internazionale: la Grecia stringe legami concreti con i paesi balcanici comunisti, Mintoff mantiene un atteggiamento apertamente ricattatorio nelle trattative con Londra. Davanti a queste manovre, al rialzo della posta, gli Stati Uniti si trovano in condizioni di crescente clifficoltà. Una volta impostata la loro presenza nel Mediterraneo essenzialmente su considerazioni di equilibrio strategico, piuttosto che di opportunità politiche, sono costretti, nel migliore dei casi, a fare bt1on viso a cattivo gioco: il che significa, spesso, cedere nei confronti dei ricatti nazionali. È fin troppo evidente, insomma, che un puro e semplice aumento della presenza strategica non è in grado di riequilibrare, soprattutto nel medio e lungo termine, la penetrazione politica dell'Unione Sovietica. C'è il rischio, anzi, di una tendenza alla balcanizzazione del Mediterraneo, di un ·moltiplicarsi delle spinte centrifughe a carattere nazionale che cominciano ad essere operanti anche in paesi, come l'Italia, più solidamente inseriti nel quadro europeo ed occidentale. 107 Bibl.iotecaginobianco
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