Nord e Sud - anno XV - n. 99 - marzo 1968

Girola1no Cotroneo entendu, c'est le marxis,ne qui est visé ». E siamo così arrivati al punto centrale del discorso: se fino· al 1945 per Sartre, come lui stesso e la fedelissima Simone de Beauvoir hanno spesso testimoniat9, non· esisteva il problema della storia, dal mom.ento in cui ha comin-~to ad occuparsene, sotto la spinta della passio-ne politica, ha dato il via ad una evoluzione di pensiero che lo ha portato ad una progressiva identificazione della storia col marxismo: da quando cioè egli ha ab-bandonato, se non proprio rinnegato, 'il Cogito cartesiano-husserliano e le categorie fenomenologiche, ha fatto sempre più uso per la spiegazione della realtà storica delle categorie marxiane, sino alla pressoché totale adesione degli ultimi anni, in cui la diversità si è ridotta alla considerazione che « les 'superstructures' constituent des régions relativen1.ent autono1nes » al di sopra degli elen1enti materiali della vita degli uomini, dei rapporti di produzione, della prassi. Vero è che la rivista ufficiale del marxismo francese lo ha definito, per b·occa d'André Gisselbrecht, un « allié infidèle, encombrant et fantasque » che ha spesso sottoposto i suoi a1nici comunisti « au régime de la douche écossaise », anche se nelle questioni politiche contingenti, specialmente in quelle di questi ultimi anni (Vietnam, San Domingo, il gollismo) esiste, ha scritto Jean Rony, « une convergence riche de promesses » fra le sue posizioni e quelle del marxismo militante francese; vero è che lo stesso Gisselbrecht lo ha visto molto più vicino teoreticamente a Hegel che non a Marx, in quanto per ciò che concerne i fondamenti della storia la sua teoria poggerebbe sul concetto di « negatività» e non su quello di « contraddizione »: atteggiamento da cui quindi verrebbe quel privilegio esplicativo assegnato da Sartre alla « rareté » da lui considerata come motore negativo de]la storia ( « La nouvelle critique », 1narzo 1966); ma a parte qualunque, e qui del resto inopportuna, discussio·ne sulla maggiore o minore ortodossia marxiana di Sartre, di cui del resto ci si è aro.piamente occupati anche in Italia, come ha fatto nel suo Sartre e il n1arxismo Pietro Chiodi, a parte questo, dicevamo, ci pare significativo di un preciso atteggiamento mentale il fatto che contro lo· strutturalismo francese contemporaneo egli si richiami continuamente e costantemente non a se stesso, ma a Marx: ed jn questo forse Sartre si dimostra più coerente e senza dubbio più consapevole del significato anche politico dell'ondata strutturalistica di quanto _no-nlo siano tutti quegli studiosi marxisti (e pensiamo ovviamente non già ad Althusser, ma agli stt1diosi italiani) i quali, come ha giustamente o·~servato Giuseppe Galasso, credono « di poter contenere quell'ondata invasandola nel recipiente marxista, previa adeguata elasticizzazione del recipiente stesso » dimostrando così di attraversare un periodo di crisi, che è soprattutto « crisi della fiducia in sé», che è « crisi morale assai prima che p·olitica o politico-culturale» ( « Nord e Sud>>, novembre 19Q7). .Ora, per tornare all'argomento principale del nostro discorso, questo radicalizzarsi di Sartre nel marxismo, questo suo identificare lo storicismo col marxismo, sta a nostro avviso alla base della rivolta antisartriana e antistoricistica degli intellettuali francesi: delusi del marxismo essi sono delusi della storia, perché a loro Sartre aveva insegnato che il marxismo era 74 Bibliote·caginobianco

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