Giorn,ale a più voci sensi nella ·sinistra d.c. che avrebb·e dovuto vedervi una conferma, se non addirittura uno scavalcamento delle tesi di Piccoli a sinistra; ottenere il consenso della stampa di informazione che avrebbe dovuto presentare, e in tal senso non sono mancate so]Jecitazioni, il discorso co-me una riaffermazio11e della tradizionale· chiusura della DC nei confronti del comunismo. Ma orn1ai è chiaro che Rumor nella DC non fa storia. Tutti aspettano le elezioni per chiudere la squallida parentesi della sua segreteria, un'esperienza che si caratterizza per le carenze di direzione politica manifestatesi negli ultimi anni. Anche per questi motivi non hanno alcun rilievo, ai fini di una v~lutazione delle prospettive post-elettorali, le ripetute prese di posizione dell'on. Rumor sul problema del comunismo. Discorsi come quello• pronunciato nel marzo del 1966 alla Camera in occasione del dibattito sulla fiducia al governo Moro (v. in proposito La DC nellà fase integralista in « Nord e Sud», n. 138, maggio 1966) e documenti come quello distrib·uito ai membri della direzione dopo l'assemblea nazionale di Sorrento, nei quali il problema dei rapporti con il PCI poteva apparire posto in termini di strategia politica, si sono dimostrate modeste repliche di ordine tattico all'unificazione socialista. Non così Piccoli, cl1e negli ultimi due anni ha lavorato attivamente per definire il ruolo della DC nelle situazioni nuove che si sono venute creando nel _paese. All'inizio egli sembrò orientato verso posizioni integraliste. Durante la crisi ministeriale del 1966, nel corso della quale Rumor, Fanfani e Scelba tentarono di togliere a Moro la guida del governo, egli pose con forza il problema. Riferendosi alla riunione della direzione d.c. del 26 gennaio, egli fece all' « Espresso » queste dichiarazioni: « Qualcuno doveva dirle certe verità. Le ho dette io. Non credo che sia stato· un colpo di scena per nessuno. Erano cose che maturavano da un pezzo, dentro e fuori il partito, e che tutti avevano già capito. Ci pensavo, mentre mi avviavo alla Camilluccia, in macchina con Rt1mor, ma non sapevo ancora che avrei parlato così. Poi, quando ho visto seduti intorno al tavolo i miei colleghi ed ho ascoltato un paio di discorsi generici sui franchi tiratori, sulla scuola materna, sulla· programmazione economica, quasi stessimo partecipando ad una di quelle co·nversazioni da caffè dove si parla sempre d'altro e mai delle cose essenziali, mi ha preso come un senso di angoscia ed ho avuto paura per il mio partito. Non ho più resistito, ho parlato. Franchi tiratori? ho detto. Scuola materna? Correnti d.c.? Ma guardiamo in faccia alla realtà. Questa è una crisi profonda, che ruota intorno a fatti ben più grossi. C'è stato• il Concilio ecumenico e ci sarà l'unific~zio·ne socialista: il Concilio rischia di togliere alla Democrazia Cristiana l'unzio·ne canonica; l'unificazione so-cialista minaccia di toglierci il potere. Il Vaticano ci lascia, il Quirinale ci incalza. Come reagire a tutto questo? Vedo un partito spaesato, preoccupato soltanto di tirare avanti alla· meno peggio, di riparare le falle con dei pezzi di cartone che durano quei che durano, un partito che non discute più di· politica ma solo, di qual~he sottosegretariato. Dobbiamo decid~re se vogli~mo essere il grande partito po1 polare che siamo sempre stati o una succursale, magari un po' moderata, della socialdemocrazia. Nel primo caso, do·bbiamo stroncare _fin dal principio 57 Bibliotecaginobianco
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