Nord e Sud - anno XV - n. 107 - novembre 1968

Note della Redazione stria italiana ha bisogno di porti efficienti, economici, veloci. Il 90% delle materie prime - ha ricordato Vittorio En1iliani sul «Giorno·» - ci giungono attualmente via mare e oltre la metà delle 11ostre esportazioni passa attraverso i porti. Mentre però gli altri paesi europei hanno investito grosse cifre, e le hanno investite sapientemente, onde Rotterdam assolve oggi ben degnamente al ruolo di principale sbocco· marittimo delle « regioni forti» dell'industrializzazione euro·pea, e mantiene saldamente il priniato mondiale per volume di traffici ammodernando· co·ntinuamente le sue strutture e dotandosi di attrezzature nuove man mano che l'aggiornamento delle tecniche del maneggio della merce e della navigazione lo esigono; mentre Marsiglia ha dilatato i suoi 1noli verso Laverà e, con grandi opere di bonifica, ha utilizzato i terreni prima paludosi di Fos per nuove strutture portuali a servizio dell'industria (soprattutto chimica e di raffinaz.ione); mentre Amburgo, Anversa, Le Havre o, fuori del Mercato Comune, Londra (con i nuovi moli per traffici « containerizzati » di Tilbury ), Liverpool, i porti dell'Inghilterra nord-orientale, attuano vasti programmi, in Italia 110n si è andati oltre alcuni interventi di « risanamento» né si può dire che si abbiano idee sufficientemente chiare circa la strategia da seguire per risolvere il problema dell'adeguamento dei porti alle esigenze dello sviluppo industriale, della dilatazione del commercio internazionale e dell'evoluzione tecnologica dei traffici marittimi. Lo stesso ministro della Marina Mercantile, Spagnolli, concludendo il dibattito sul bilancio del suo dicastero alla Commissione traspo·rti della Camera, ha riconosciuto che il « Piano per i porti » varato nel 1965 e in base al quale sono stati destinati agli scali nazionali 75 miliardi (anticipo di uno stanzian·zento che avrebbe dovuto toccare i 260 miliardi, ma che non è stato ancora completato) non. può considerarsi un « piano di sviluppo» dei porti, ma solo un piano atto ad ovviare alle più antiche e più avvertite carenze det porti italiani. E c'è da aggiungere che, per il fatto d'essere stata suddivisa fra troppi porti, e non ooncentrata a favo re di quei soli, pochi grandi porti nazionali in grado di giocare un ruolo di spicco nei traffici internazionali del nostro paese, la cifra stanziata finora è apparsa ancor più inadeguata. A sollecitare ulteriorn1ente un impegno concreto, fattivo ed esauriente dei poteri pubblici a favo re dello sviluppo del sistema portuale italiano sono anche intervenuti, negli ultimi te1npi, alcuni fatti nuovi che, in gestazione già da anni, sono maturati quasi d'improvviso in seguito a vicende politiche internazionali. La crisi di Suez, da un lato, e le stesse esigenze di econo·micità del trasporto marittimo, hanno fatto esplodere il f enonieno del gigantismo delle petroliere. Sui mari navigano navi sempre più grandi (si sono superate le 300 mila tonnellate di portata lorda), che richiedono fondali sempre più profondi e attrezzature portuali sempre più efficienti. Nel no,stro paese sono pochi i porti che possono· accogliere navi da 90-100 mila tonnellate e nessun porto può accogliere quelle da 200 niila tonnellate. Dato che l'Italia è tributaria ai trasporti marittirni della totalità delle sue importazioni petroli! ere e che l'industria italiana della raffinazione e , delle lavorazioni petrolchimiche è divenuta ormai uno dei pilastri dell' appa43 . iblioteca.ginobianco

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